Un’analisi delle tante sfaccettature del “collezionismo” (virgolette d’obbligo). Capitolo 1: dentro e fuori la mostra scambio di Novegro tra gioiellieri, furboni, e commercianti onesti. E una carrellata di possibili “affari”.
Un mese fa si è tenuta la mostra scambio di Novegro. E io ci sono andato.
L’evento nasce oltre 50 anni fa con il nome di Autosogno. Erano gli anni della grande Milano da bere (altro che “f… e fatturato” alla Milanese Imbruttito, ai tempi sì che c’erano vere fighe belle donne e il vero fatturato) e pochi anni dopo la mostra si è aperta anche alle moto (e poi anche alle bici). Erano tempi, quelli di 40 anni fa, in cui il collezionismo era fatto da persone che amavano i mezzi che collezionavano; tempi in cui, salvo rare eccezioni – la Ferrari 250 GTO di Violati già passava di mano per un miliardo di lire, che allora era molto più di 1 milione di euro di oggi – un cultore del meccanicamente sano & bello poteva avvicinarsi al motorismo d’epoca senza ipotecare il futuro della sua genia per le prossime 3 generazioni.
Ancora sino agli anni 2000 si poteva transitare tra gli stand (o meglio, le tende) degli espositori con quel gusto ludico fatto di passione e competenza; fermarsi a parlare con gente che magari aveva fatto 1.000 chilometri per esporre un Falcone 500 del ’50 proponendotela al costo di uno stipendio (magari due, se bella bella).
Ora è cambiato tutto. La Mostra Scambio è diventato il supermercatino-dell’accozzagliadipezzidiferro, trasformandosi nella Fiera degli Accumulatori Seriali. Novegro è come quei proverbi popolari che ogni tanto l’amico saggio ti sciorina: “gallina vecchia fa buon brodo” oppure “si stava meglio quando si stava peggio”. Ma tu sei cresciuto e da tempo hai capito che la gallina vecchia non fa buon brodo: fa SCHIFO; e che quando si stava peggio, non si stava meglio, si stava dimmer…
Per alcuni aspetti Novegro è uguale.
Personaggi e interpreti della Mostra Scambio di Novegro
A questi happening del “collezionismo” si presentano sempre almeno 3 categorie di affaristi: i gioiellieri, ovvero coloro che – tentano di – piazzarti ad un prezzo orbitale il mezzo che sognavi da giovane, ma che non ti potevi permettere perché manco gli stage c’erano.
Quelli-che-sono-più-furbi-di-tutti, cioè quelli che – per motivi sconosciuti – si ritrovano tra le mani dei mezzi carciofi e che invece tentano di convincerti di avere in mano la moto con la quale Mike Hailwood ha vinto il TT del ’78.
E infine i commercianti onesti, che magari ti sparano cifre purtroppo impossibili per il collezionista umano, che però hanno un riscontro di mercato.
C’è poi una seconda classificazione, e uso il termine classificazione in senso di antitesi tra classi sociali: vi sono coloro che stanno all’esterno, esposti alle intemperie, e quelli che stanno all’interno, comodamente seduti su comode sedie, climaticamente appagati e con una spocchia che mollami. Tra i primi, i duri & puri, trovi ancora qualcuno con cui discorrere con passione, oltre che intavolare la levantina e sempre divertente arte del mercanteggiare.
Quando invece tratti con quelli all’interno, hai la sensazione, anzi la certezza, che della tua passione non-gliene-fotta-nulla e che la loro disponibilità temporale sia volta solo per rifilarti il pezzo esposto. Il top è stato un tizio che esponeva – ristampati e della dubbia liceità riproduttiva – libretti di officina di tutte le marche: chiedeva 25 euro per il libretto di uso & manutenzione del Caballero MK26 (8 pagine) e alla offerta di prenderne 20, ha risposto che “lì all’interno le cose non funzionano così”. Top. Si è riportato a casa un libretto in più.
Per fortuna non tutti sono così: c’erano i ragazzi del Registro Storico Ancilotti, sempre disponibili e entusiasti di parlare dei mezzi da Regolarità, la Libreria dell’Automobile del compianto Giorgio Nada, e altri appassionati veramente competenti con mezzi a prezzi onesti.
Comunque, sia chiaro: “Affari” non se ne fanno più. Almeno tu, misero vagabondo alla ricerca del sogno perduto. Chiarito questo, ho selezionato una quindicina di pezzi degnamente proposti dalle 3 categorie sopracitate.
Mostra Scambio di Novegro: partiamo da quello che più si avvicina al concetto di value for money, ovvero mezzi che se acquistati non ti facciamo sentire un perfetto coglione il giorno dopo.
Vacanze Romane
Questa è quella che più si avvicina ad un “affare”. È una Vespa 125-51 del 1954 (quella di Vacanze Romane per intenderci). Conservata – e neanche malamente – è l’ultima versione della “faro basso”, con potenza di ben 4 cavalli, e una folle velocità massima di 75 km/h. Ed meglio così, chiunque ha avuto una Vespa (e tutti abbiamo avuto una Vespa) sa bene cosa significhi tentare di frenare decelerare, figuriamoci l’effetto con dei freni di 70 anni fa. Ritargata, funzionante, chiedevano 5.500 (trattabili). In giro si trovano richieste (indegne) di mezzi così tenuti al 50/70% in più. Ho ancora una PE 200 Elstar da restaurare, altrimenti l’avrei presa.
Vita in campagna
Una simpatica Gori Campagnola 250 del 1980 motorizzata Sachs (purtroppo il 7 marce). Non originalissima (carter motore e adesivi serbatoio), veniva offerta a 3.000 euro (come notasi dal cartellino); purtroppo era radiata d’ufficio, quindi calcolate un 800 euro per la trafila della reimmatricolazione, per cui sarebbe stato onesto portarsela a casa per 2.000. Cosa non impossibile, magari passando dallo stand domenica nel pomeriggio, a mostra finita (piuttosto che riportarsela a casa, spesso molti cedono sul prezzo).
È un simpatico attrezzo al pari di una Bultaco Frontera o di una Laverda Chott, che di cavalli ne ha 5 in più. Una moto così la si usa per andare a passeggio per i campi; nient’altro (non la vedo per fare un triplo scrubbando). Diciamo che è la versione a 2 ruote del trattore di Renato Pozzetto ne “Il ragazzo di campagna”.
Il padre del sottoscritto in plastica piega su Moto Morini 175 T nel 1955
Nel dopoguerra, marchi come Gilera, Moto Morini , Benelli & MotoBi, Guazzoni, Ducati (non pensate alla Panigale, parlo di un altro tipo di Ducati…), hanno contribuito a motorizzare l’Italia a assieme all’immancabile Moto Guzzi. Sino alla riforma del codice della strada del 1959, le moto potevano essere guidate senza la patente e questo contribuì non poco a mettere in moto (in tutti i sensi) un’Italia con poche disponibilità economiche. Sino ad allora, cilindrate come 80, 125 e 175 cc, rappresentavano il mezzo di trasporto per eccellenza.
Infatti nel ’59, contro 1,6 milioni di autovetture, c’erano oltre 3,6 milioni di motocicli. L’introduzione della vituperata norma che imponeva la patente per i motocicli, nonché il fatto che nel ’55 la FIAT produce un affare con 4 ruote che consente di viaggiare mettendo le chiappe al caldo (tal 600…), farà crollare il mercato di quelle che ai tempi erano considerate medie cilindrate.
Più nuova che uscita di fabbrica
Questa Gilera era una 150 del ’54 – già 4 marce – rifatta da capo a piedi che neanche Ivana Trump. Personalmente non amo tantissimo le moto rifatte ex novo; trovo che un mezzo di 70 anni fa debba possedere qualche ruga, però, de gustibus… La 150 fu un successone: una 4 tempi con un discreto numero di cavalli – 7 -, di sana e robusta costituzione, sia di motore che di telaio, con una discreta accessibilità meccanica (una volta, la gente ci metteva le mani nei motori, altro che mettersi a piangere perché il concessionario non ha tempo per cambiarti la lampadina della freccia)
Il telaio solido e confortevole – c’era anche la sella lunga a due posti – e frenata adeguatamente (per l’epoca: quasi tutte le moto anni ’50 e ’60 avevano l’ABS nativo sul bagnato che si attivava solo per la prima frenata: i tamburi si bagnavano e qualsiasi strizzata si desse alla leva del freno, la moto proseguiva imperterrita. Alla seconda frenata invece si bloccava tutto e si finiva per terra direttamente).
La 150 sarà la Gilera più venduta di sempre. Per questa l’espositore chiedeva 4.000 euro, che non sarebbero tantissimi, ma va aggiunta la reimmatricolazione (ca 800 euro) più tutto lo sbatti relativo. Comunque vi era la disponibilità a trattare.
Bellissima, durissima, difficilissima
La Husqvarna 250 da cross del 1972 era un affare, alla pari di molte sue coetanee, affascinante quanto ostica da guidare. Lo capivi subito quanto tentavi di metterla in moto: siccome non sempre gradiva essere destata dal letargo, te lo comunicava tentando di distruggerti la caviglia con un contraccolpo alla leva del kickstarter che neanche il miglior Jean Claude Van Damme (mai come il Maico 401 comunque). Se superavi la prima fase senza la necessità di ricorrere ad una radiografia, il resto proseguiva peggio.
Dotata di una trentina di cavalli a circa 8.000 giri, ne erogava un paio sino a 7.800, per lasciare gli altri 28 negli ultimi 200 giri. Ma la vera gioia te la riservata all’atterraggio dopo un salto: gli ammo posteriori, quasi verticali e dall’escursione come quella della sella di un Ciao, riuscivano a farti sentire seduto su un’asse da surf. Ho la sensazione che quando Niki Lauda diceva “la macchina va guidata con il fondoschiena” avesse iniziato a guidare su una Husqvarna 250.
Quella qua proposta è stata oggetto di un recupero maniacale, e visto che non essendo omologata per la marcia su strada non vi era nemmeno la necessità di tutte quelle seccanti e costose pratiche burocratiche, i 5.500 euro richiesti avrebbero potuto avere un senso. Il grugnito del venditore nel comunicare il prezzo lasciava intendere poca propensione alla trattativa.
Il sogno di tutti i 18enni di allora; quelli che amavano sporcarsi di fango, naturalmente
Questa KTM 250 del ’76 era uno s-p-l-e-n-d-o-r-e. Rifatta in modo maniacale (ma come, non hai appena detto che le cose rifatte non ti garbano?? Mbè? Questa mi piace), con una cura per i particolari che rasenta il fanatismo, con tanto di fiche per correre nel Campionato Italiano di Regolarità Gruppo 5, era offerta a 5.500 euro (oltretutto da uno che stava all’interno, pure simpatico e competente).
Se ne trovano a meno, ma molto meno belle. Il “K duemmezzo” era una bestia da 35 cv a 7.500 giri con una gran schiena. I modelli dal ’75 al ’77 rappresentano le icone perfette dell’artigliato dell’epoca: stabili sul veloce, ben ammortizzati (prego osservare i pregevoli Marzocchi al posteriore), ben frenati, praticamente indistruttibili. Con questo mezzo tal Alessandro Gritti* vincerà tutto quello che c’era da vincere: dai campionati italiani, a quelli europei (il “mondiale” verrà istituito solo oltre un decennio dopo), alla Sei Giorni.
Sempre dallo stesso commerciante, questo è un KTM 420, una vera bestia. Accreditato per 45 cavalli, fino a metà gas è alla portata dei più, per via della abbondante coppia. Se però si decide di capire a quanto può arrivare il nostro battito cardiaco prima di azzerarsi, basta girare la manopola posta sulla destra del manubrio e voilà… numeri mai visti sul display del nostro cardiofrequenzimetro.
Ancora più stabile sul dritto del modello presentato prima, anche in ragione delle forche a perno avanzato – cosa che fa una grande differenza – con margini di miglioramento in frenata, è dotato di motore praticamente indistruttibile (anche perché per distruggerlo bisognerebbe tirargli il collo tanto, ma tanto tanto… e qui torniamo al discorso dell’accelerazione cardiovascolare). Il modello qui proposto a 5.000 euro – valore più che onesto – era dotato dell’optional dell’epoca della tabella portanumero posteriore con vaschetta per gli attrezzi (o per quello che ti pare…) e di un bel paio di Corte&Cosso al posteriore.
Un mito, oggi come ieri
*Alessandro Gritti inizia a vincere i primi campionati a 19 anni e gli ultimi a 46. Ha vinto 2 Sei Giorni, un Vaso d’Argento, 14 titoli nazionali tra cross, regolarità e enduro, 5 europei. In carriera ha portato a casa oltre 400 vittorie. Quando pensi a un Campione, pensi a Lui.
(nella seconda parte: proposte per chi ha soldi da buttare spendere, e superaffari. Per chi vende)
Testo e foto di Marco Cesare Canella