Monica è costretta a variare la propria rotta, ma questo non le impedirà di scoprire avvincenti bellezze ai piedi del monte Ararat
La visita a palazzo Ishak Pasha, ai piedi del monte Ararat e a pochi chilometri dal confine iraniano, segnerà la fine della mia permanenza in Turchia e l’inizio di una nuova avventura che non avevo minimamente programmato.
L’Iran è uno dei paesi che avrei dovuto attraversare, ma che in seguito alle proteste iniziate il 16 settembre e che hanno visto l’uccisione di centinaia di manifestanti innocenti, ho deciso di non visitare.
Così, dopo diverse settimane a elaborare possibili rotte che mi avrebbero permesso di proseguire il mio viaggio, ho deciso che avrei puntato verso sud e non più verso est. Ma prima di tornare sui miei passi raggiungendo la costa meridionale del paese, voglio visitare quest’angolo remoto della Turchia che mi regalerà i panorami più belli e suggestivi visti fino a questo momento.
l’imponente monte Ararat con i suoi 5.137 metri
Il panorama di cui gode il Palazzo varrebbe già da solo la visita, ovvero l’imponente monte Ararat che con i suoi 5.137 metri è il più alto della Turchia. Ma tutta la zona regala scenari mozzafiato. Le vette innevate delle montagne circostanti, contrastano con la terra brulla che incontro sotto le ruote della mia moto mentre parcheggio nello sperduto ostello che mi ospiterà per un paio di giorni. La temperatura è scesa vorticosamente e il termostato segna solo pochi gradi. È tempo di provare i nuovi guanti riscaldati presi apposta pochi giorni prima della partenza. Si riveleranno un po’ ingombranti, ma faranno il loro dovere e le mani non mi si ghiacceranno.
La visita al palazzo mi lascia a bocca aperta: sontuoso e con diversi stili architettonici, tra cui quello ottomano, persiano e armeno, sorprende per bellezza e fascino, con i suoi cortili, le infinite stanze e una vista mozzafiato sulle vallate circostante. Da qui respiro già tutta quell’atmosfera medio orientale che troverò anche più avanti nel mio viaggio.
Lasciata questa zona così remota, la mia sola necessità è quella di arrivare il più velocemente possibile sulla costa sud e di riuscire a ottenere le informazioni di cui ho bisogno per lasciare il paese e traghettare verso il Libano.
“…la proprietaria mi coccola come se fossi una parente venuta in visita…”
Guido così macinando centinaia di chilometri al giorno, lasciando scorrere i paesaggi che solo l’Anatolia sa regalare e che ben si prestano a questo tipo di viaggio. Raggiungo quindi, senza neanche accorgermene, un piccolo paesino che si affaccia sul mediterraneo dove i pochi locali ancora aperti, sono frequentati solo da gente del posto. Sono ovviamente l’unica ospite della pensione dove alloggerò e la proprietaria mi coccola come se fossi una parente venuta in visita. Mi prepara dei deliziosi dolci da gustare ancora caldi e mi suggerisce dove mangiare del buon pesce appena pescato.
È da questo piccolo angolo di paradiso che, tramite una rete di viaggiatori conosciuti virtualmente sui social, riesco a mettere insieme i pezzi ancora mancanti per proseguire il mio tragitto. Tra confini chiusi e paesi in guerra, non è semplice delineare la rotta da seguire.
Raggiungo quindi Tasucu, nel sud della Turchia, dove sembra esserci l’unica agenzia in cui poter fare i biglietti per il Libano. I rincari si fanno sentire anche qui e il prezzo è decisamente alto, ma io non ho molta altra scelta se voglio attraversare il Mediterraneo insieme alla mia moto.
“…scoprirò di non essere l’unica moto viaggiatrice sulla nave…”
Così, alleggerito il portafoglio, decido di acquistare il biglietto per il tanto famigerato traghetto per camionisti che fa la sponda tra Turchia e Libano.
Fortunatamente scoprirò di non essere l’unica moto viaggiatrice sulla nave. Conoscerò infatti un paio di ragazzi algerini che, in sella a una BMW R1250GS, si dirigono verso la penisola arabica. Faremo subito amicizia e ci scambieremo racconti di viaggio ed esperienze lungo la strada.
Io e la coppia di algerini saremo gli unici turisti a bordo, il resto dei passeggeri è composto da camionisti prevalentemente turchi e libanesi che fanno avanti e indietro per trasportare merce.
L’aria a bordo è rilassata e i camionisti provano anche a scambiare qualche parola con me, sorridendomi e gesticolando qualcosa che non capisco. Quasi nessuno parla inglese, ma in qualche modo si riesce comunque a comunicare.
“…Basta affacciarsi dal ponte su una delle finestre della cucina e chiedere da mangiare…”
Prima di salire sul traghetto avevo chiesto se fosse possibile avere una cabina e se avrei trovato qualcosa da mangiare, viste le quasi 16 ore di traversata. I ragazzi dell’agenzia mi avevano risposto che dovevo provvedere personalmente sia per la cabina, chiedendo direttamente al capitano una volta salita a bordo, che per il cibo, in quanto non assicuravano ce ne potesse essere per i passeggeri.
Scoprirò successivamente che il cibo a bordo c’è ed è anche molto buono. Basta affacciarsi dal ponte su una delle finestre della cucina e chiedere da mangiare. Dopo mezz’ora il cuoco esce con il vassoio e te lo porge con quello che hai chiesto.
Il primo impatto con la cucina libanese è ottimo: l’hummus con la carne è buonissimo, così come la crema di formaggio e le olive che ci vengono servite per la cena. Il giorno dopo invece chiederò qualcosa di più leggero e mi porteranno del pane arabo caldo con un buonissimo strato di formaggio in mezzo. Delizioso.
Il giorno dopo impiegheremo più di tre ore per poter sbrigare tutte le pratiche doganali e uscire dal porto. Nei fatiscenti uffici troviamo giovani ragazzi che ci aiutano a compilare tutti i moduli e ci salutano calorosamente quando ce ne andiamo.
Una volta fuori dal porto saluto anche i miei nuovi amici algerini a cui faccio un grosso in bocca al lupo con la speranza di rivederci un giorno da qualche parte.
La mia avventura in medio oriente può cominciare.
testo e foto Monica Ledda
Le puntate precedenti:
Dal lago Tuz Golu, alla Cappadocia, prosegue il viaggio di Monica
Monica raggiunge il Nemrut Dagi, in Turchia e prosegue verso sud