Monica Ledda entra in una Turchia accogliente ed emozionante. Conosce donne di diversi paesi con cui condivide opinioni e citazioni.
I confini rimangono, nell’immaginario comune o quantomeno nel mio, qualcosa di misterioso, da conoscere, talvolta da superare o persino da abbattere. Essi assumono nella mia mente un aspetto astratto, non tangibile. Per questo, quando mi approccio al confine con la Turchia, il mio animo è in subbuglio. Sebbene non sia che una mera formalità, il fatto stesso di attraversarlo da sola con la mia moto mi mette di buonumore. Tant’è che quando mi chiedono la “Green Card” (obbligatoria portarla con sé quando si entra con un proprio mezzo), gli mostro il mio “Green Pass”.
L’ingresso in Turchia
Ma a parte questa piccola svista, come dicevo, l’attraversamento non richiede più di un quarto d’ora e presto mi ritrovo in Turchia, dove, per prima cosa, cerco un negozio per acquistare una sim telefonica. Mi fermo nel paese più vicino che incontro e noto subito una bancarella di pesce in mezzo alla strada, dove un urlante signore fa di tutto per attrarre clienti mentre cerca di rinvigorire con un po’ di acqua i suoi oramai sbiaditi cefali. Mentre mi godo la scena, il proprietario del negozio di tessuti di fronte a dove ho parcheggiato, esce e mi chiede se voglio un tè. Ecco, ora mi sento davvero in Turchia.
Attraverso lo stretto dei Dardanelli
Scelgo di entrare in Asia non dal Bosforo, ma attraverso lo stretto dei Dardanelli, che divide il mar di Marmara a quello Egeo. La mia prossima meta è Canakkele, un paese di cui so poco o nulla se non che è vicino ai resti dell’antica città di Troia. Già proprio quella narrata da Omero nelle vicende dell’Iliade e dell’Odissea. La città, portata alla luce da Heinrich Schliemann, un tedesco appassionato di archeologia che ne rinvenne i primi resti solo nel 1871, mostra i segni delle diverse stratificazioni che la hanno composta nel corso di ben 5.000 anni di storia. Che le leggende ad essa legate siano vere o meno, di certo la città è esistita e la si può ancora vedere.
La visita al sito archeologico è molto piacevole e rilassante, nonostante le numerose scolaresche incontrate. Ma la vera sorpresa è proprio la piccola cittadina di Canakkele: è vibrante e piena locali dove mangiare qualcosa di buono o solo sorseggiare un po’ di çay, il tè che i turchi bevono a qualsiasi ora e in qualsiasi circostanza. Passeggiare la sera per i vicoli del centro, tra un venditore di cozze e i pescatori sul lungomare, è doveroso, se si vuole assaporare un po’ dell’atmosfera che si respira in questa località meno nota a livello turistico, ma non per questo meno caratteristica.
Verso Ankara
Lasciata la zona costiera, inizia il mio avvicinamento ad Ankara, dove ho già programmato di fare il cambio gomme. Lungo la strada scelgo di dormire in diverse località, alcune degne di nota, altre meno. La città di Bursa, ad esempio, mi ha fatto scappare a gambe levate. Non perché la grande moschea o il suo bazar non meritino una visita, ma perché con i suoi tre milioni di abitanti, i diversi centri commerciale e un traffico incessante che ti snerva appena messo piede (o ruota) in città, mi ha fatto ricordare il motivo per cui ho scelto di lasciare Milano per prediligere le verdi campagne pavesi.
Oppure c’è Göynük, dove, nonostante la pensione in cui sia stata non concorra esattamente al titolo delle migliori che abbia visto, ho soggiornato qualche giorno in più rispetto al previsto. Nascosta in una vallata ricoperta da verdi foreste, nel piccolo paese si possono ancora osservare centinai di abitazioni di epoca ottomana, con la tipica facciata bianca e le finestre in legno.
La tomba di Hazrat Akşemseddin, un influente insegnante del periodo ottomano morto nel 1459, è meta di pellegrinaggio da parte della popolazione locale. In un clima di rilassatezza e tranquillità, ho goduto di un po’ di riposo e di belle passeggiate, prima di arrivare nella caotica Ankara.
Amicizie on line per viaggiatori
Ad attendermi ci sarà Walaa, una studentessa palestinese che vive nella capitale turca da più di tre anni e che sta finendo di laurearsi. Ho trovato Walaa tramite couschsurfing, un sito che mette in contatto persone da tutte le parti del mondo che sono pronte a ospitarti anche solo per una notte.
Ankara, che per abitanti è la seconda città più grande del paese, mi sorprende subito.
E forse non proprio in positivo. Ankara la vedi da lontano, da molto lontano. Quando entro e super il cartello che mi indica l’ingresso in città, guardo il navigatore e vedo che mi mancano ancora 32 chilometri per il centro. Mi guardo attorno e vedo solo sconfinate colline con sconfinati palazzi. Nonostante le sue dimensioni, scopro che è una città tutto sommato ordinata e pulita e soprattutto molto economica.
Divenuta capitale solo nel 1923 per volere di Atatürk, primo presidente della Turchia moderna, Ankara è il cuore culturale e politico del paese, ma perde in bellezza e fascino che lascia invece alla ben più famosa Istanbul.
Ma io ho una guida personale in questi giorni che mi farà sentire comunque a casa in quella che lei stessa definisce “International house”. Si perché Walaa condivide la casa con una ragazza dal Libano, una dalla Somalia, una dal Gibuti e una dalla Turchia, tutte coinvolte in progetti di internship attraverso i loro paesi.
Cosa scegliere? Mi viene in mente De André
La sera parliamo di molti argomenti, alcuni seri e altri più frivoli. Poi a un certo punto accende lo stereo e mi fa ascoltare una canzone araba che le sta particolarmente a cuore che narra di un amore spezzato. Mi chiede di fare altrettanto e di scegliere una canzone italiana che sia rappresentativa. E io mi congelo: mi sembra che dalla scelta della canzone che farò possano dipendere i rapporti diplomatici dei nostri paesi. Mi sembra di avere addosso una responsabilità enorme e di non sapere come gestirla. E poi mi viene in mente e capisco che è l’unica canzone possibile: La guerra di Piero, di Fabrizio de André.
E così, sulle note di una canzone il cui significato sconfina le nazioni e il tempo, mi perdo io stessa tra i miei pensieri, immaginandomi già nella mia prossima meta.
testo e foto Monica Ledda