Un bellissimo tour dalla Toscana alla Puglia, e anche oltre, attraversando da nord a sud un’Italia meravigliosa lungo le strade e i luoghi che furono cari ad Andrea Pazienza, nel trentennale della sua scomparsa. Prima parte: da Montepulciano a Alcatraz.
Così come Jimi Hendrix e Freddie Mercury sono state le più grandi perdite nel mondo della musica, così come Jarno Saarinen e Gilles Villeneuve lo sono state in quello degli sport motoristici, così Andrea Pazienza ha lasciato un vuoto incolmabile nel mondo dell’Arte. E per Arte, con la A maiuscola, intendiamo tutto uno spettro che va dal disegno, alla pittura, al fumetto, e soprattutto alla letteratura.
Andrea Pazienza guardava il mondo intorno a sé, lo assorbiva, lo analizzava, poi lo raccontava con lucidità estrema usando mille forme diverse, e lo faceva fin da bambino. Andrea Pazienza, figlio di Enrico, raffinatissimo acquarellista e professore di educazione artistica, aveva un talento mostruoso (“So disegnare qualsiasi cosa in qualunque modo” scriveva in una nota autobiografica del 1981), inventava linguaggi, era un istrione, era un poeta. Ah dimenticavamo: era anche un motociclista. E’ anche per questo che lo amiamo, e che abbiamo deciso di andare a vedere in moto i luoghi che lui amava, ripercorrendo un po’ a ritroso la sua vita, dalla Toscana alla Puglia.
Andrea Pazienza ha abitato da settembre 1984 a giugno 1988 a Montepulciano. Aveva scelto di vivere lì: prima in centro, poi in campagna, vicino al Tempio di San Biagio, della cui vista dalle finestre si vantava, e che ne ospitò il matrimonio con Marina Comandini. La Toscana e i paesaggi della Val d’Orcia sono nei suoi lavori di quel periodo. “Toscana meridionale. Provincia di Siena. Uscita Chiusi – Chianciano Terme. Albeggia. Una serena provinciale della Toscana, tra crete e boschi e campi ondulati, in una mattina dura e frizzante, insultante, spietata ” (Gli ultimi giorni di Pompeo, 1987).
I moltissimi amici che andavano a trovarlo lo raggiungevano lì, nella casa di San Bartolomeo, quella che Roberto Benigni (che gli dedicò Il Piccolo Diavolo) definì “Villa Fumo”, dove (non ci piace ricordarlo) Andrea Pazienza è morto a 32 anni, il 16 Giugno del 1988.
Sono passati trent’anni e il nostro giro comincia da lì.
Da Firenze a Montepulciano giochiamo in casa, imbocchiamo la SS2 Cassia verso Siena spippolando sui comandi al manubrio della Honda Africa Twin dotata del cambio DCT, pochi chilometri per abituarsi alla mancanza di leve frizione e cambio, e ci tuffiamo nel solito incomparabile paesaggio toscano ben felici di poter guidare curandosi solo di dosare il comando del gas. Monteriggioni, Buonconvento, San Quirico, Pienza. La differenza questa volta la fa muoversi dentro scenari per noi noti con negli occhi i tanti disegni in cui Andrea li ha sostanzialmente riprodotti, gli alberi contorti, le zolle, le curve dolci, i cipressi. Andiamo alla giusta velocità, quasi lo vediamo, il Paz, muoversi per quelle stesse strade a cavallo della sua Yamaha di allora, alla scoperta dei dintorni, in compagnia della moglie o di amici.
A Montepulciano abbiamo l’opportunità di incontrarne uno dei più cari, Giulio Pellegrini. Il quale ci racconta appunto di avere condiviso con Andrea lunghi giri in motocicletta per la val d’Orcia, e ci mostra il borsello della sua Ducati Scrambler 350 sul quale Paz gli volle disegnare la sagoma di Zanna. E per noi sarà la prima emozione di una lunga serie, toccare quell’oggetto, per il suo proprietario preziosissimo e di enorme valore affettivo. Giulio ci racconta di Andrea, sembrano inezie, ma già nei pochi giorni successivi decantano, si mostrano per quello che sono, questi racconti: una roba densa, la testimonianza di un’amicizia profonda, il ricordo sincero e caldo, come fosse ieri, come fosse ancora qui, di Andrea Pazienza, il desiderio di vederne preservata la memoria e correttamente interpretato e decodificato il lavoro artistico.
Libera Università di Alcatraz
Alcatraz è un nome che evoca evasione. Nel senso di fuga. Libera Università di Alcatraz è il nome che Jacopo Fo ha scelto di dare al luogo in cui nel 1981 decise di vivere e fondare quella che oggi è un sacco di cose: ecovillaggio, centro agrituristico, modello di ricettività a impatto zero sul territorio. Ettari di bosco curati con dedizione, costellati di opere d’arte colorate e vitali, con tante tante memorie dei grandissimi Dario e Franca. Recuperate dall’abbandono, tra i boschi e le rogge sono disseminate una serie di piccole e medie strutture, un tempo invase dalla vegetazione, nelle quali oggi è possibile soggiornare, immersi nella natura, lontanissimi dalla fretta, quasi obbligati a tempi lenti e rispettosi. Niente tv, niente lussi, molto silenzio e – se lo si desidera – tanta buona e variegata compagnia. Centro di aggregazione, Alcatraz si è sempre caratterizzata per la proposta continua di una miriade di iniziative culturali, corsi di formazione, incontri, lezioni, aperte a chiunque voglia gestirsi un poco di fatti propri in pace col mondo e col prossimo.
Alcatraz si trova in località Santa Cristina di Gubbio. La raggiungiamo costeggiando il lago Trasimeno fino a Perugia, quindi risalendo per la E45 uscendo a Ponte Pettoli verso Casa del Diavolo (sul serio!). Probabilmente abbiamo le phisique du role giusto, perché lì una ragazza in auto ci affianca e di sua sponte ci indica la direzione per gli ultimi 7 km.
Quando arriviamo è in programma un corso di scrittura destinato ad aspiranti giallisti tenuto da Alice Basso, una giovane donna che sotto le spoglie di talentuosa scrittrice di gialli (a meno di 40 anni è prossima alla pubblicazione del suo quinto libro con Garzanti e ha centinaia di followers entusiasti) nasconde la caratura di un nerd senior editor severissimo. Con un aggettivo di Andrea Pazienza la si potrebbe definire “pispante”, e sarebbe poco. Simpaticissima e vulcanica a dispetto di un fisico minuto, gesticolando come un addetto di pista aeroportuale, e parlando a raffica come Mina in “Brava”, ci ha anche raccontato le sue esperienze sulle due ruote: “In passato mi è capitato di girare in moto scarrozzata da gente brava per posti panoramici e ho capito benissimo perché piaccia così tanto e cosa spinga uno a mantenere un mezzo che necessita di tante attenzioni e sacrifici. Però penso che un giorno qualcuno, anzi, preferibilmente qualcuna, dovrebbe scrivere un articolo sul punto di vista del passeggero”. Stavamo già proponendoci come guida quando lo sguardo del marito ci ha riportato all’ordine.
A sera, dopo un’ottima cena alla lunga tavola comune, avremo modo di seguire un’interessantissima lezione di Gabriella Canova sui tarocchi e sul loro profondo significato archetipico, e sulla possibilità che, correttamente relazionandovicisitivi , le anime possano ritrovare la loro più intima connessione, dentro quel miracolo che è l’universo mondo in cui viviamo.
Ci siamo fermati ad Alcatraz perché Jacopo Fo e Andrea Pazienza erano amici, ed è grazie a questa amicizia che il Nostro ha frequentato assiduamente il posto. Ma non riusciamo a incontrarlo per un soffio, Jacopo, peccato perché sarebbe stato bello parlare con lui di Paz. Vabbè, abbiamo la scusa per tornare.
Sappiamo che Andrea arrivava qui, a volte anche in moto, più o meno pesto o reduce da qualche incontro ravvicinato con l’asfalto (Stefano Benni, che quando lo ricorda parla spesso di Alcatraz, si autodefinirà come suo “compagno di cadute”), non solo per tenervi i corsi di fumetto organizzati dall’iperattivo padrone di casa, ma anche per allontanarsi e recuperare dagli “eccessi” bolognesi, o leccarsi le ferite dopo una delusione d’amore, o con una nuova fidanzata. Riportano le cronache fosse sempre molto atteso, negli anni ’80 era già una rockstar del fumetto, aveva fans (donne soprattutto) che facevano di tutto per incontrarlo. Una locandina che ancora campeggia all’ingresso è esplicativa.
Ai tempi di Tango, il supplemento di satira che per un certo periodo usci con l’Unità, Andrea si ritrovò a far parte del gruppo di A.V.A.J., dove l’acronimo stava appunto a indicare le iniziali di Andrea, Vincino, Angese, Jacopo. Le ceneri di Angese (al secolo Sergio Angeletti) riposano proprio ad Alcatraz, sotto una lapide che riporta il disegno di un cavallo che si chiamava Astarte. Come il cucciolo di mastino protagonista dell’opera incompiuta di Andrea Pazienza.
La mattina successiva, prima di ripartire, facciamo due chiacchiere con Mario Pirovano, e viene fuori anche la generosità di Paz verso tutti, e la sua tendenza a sfidare, a misurarsi, a mettersi in competizione, a spostare l’asticella sempre un poco più in là come quando fece a gara ad arrampicarsi sulla facciata di casa o a saltare dieci sedie messe in fila. A volte con successo, a volte meno. E capiamo, e dopo Montepulciano ne troviamo conferma, e lo constateremo ancora sino alla fine del nostro viaggio, una cosa fondamentale: seguire le tracce di Andrea Pazienza è seguire le tracce di un’energia luminosa e strabordante, anche negli eccessi. Il suo lavoro e le sue caratteristiche umane, la fragilità e la profondità della sua anima producono in chi ne parla (che sia amico, conoscente, appassionato lettore) un enorme rispetto e un istintivo incontenibile senso di protezione per la sua memoria.
Fine prima parte (continua)
Qui la seconda parte: dall’Umbria al Gargano
Qui la terza parte: oltre il Gargano e le sue moto