Le famigerate zone 30 stanno prendendo sempre più piede. Guardiamo cosa sta succedendo in Europa, gli scenari, le soluzioni, e le diatribe tra i favorevoli (pedoni e ciclisti) e i contrari (tutti gli altri, pennuti compresi).
La questione dei limiti di velocità è un tema da sempre molto sentito in Italia. Il sottoscritto ha un’età per ricordarsi di tal ministro Enrico Ferri che un bel giorno istituì l’assurdo limite di 110 in autostrada, come pure si ricorda l’altrettanto assurdo obbligo di appiccicare sul retro di ogni veicolo un adesivo rosso indicante la velocità massima (sulla Vespa avevo un bel 90). Da allora poco è cambiato in tema di provvedimenti a pene di segugio e in termini di biechi opportunismi elettorali, e stenderei un velo su una classe politica che prima, al grido di “ce lo chiede l’Europa”, stanzia fondi per l’istituzione delle zone 30 (a Bologna destinati 613.000 euro), e poi, visti i sondaggi, emana una direttiva contro il comune che quei fondi correttamente usa.
Buoni gli intenti, meno i rimedi
Lo scopo del provvedimento, almeno quello dichiarato, è di “mitigare le differenze di velocità esistenti tra pedoni e traffico motorizzato”, in altre parole evitare per quanto possibile incidenti dalle gravi conseguenze per i soggetti più fragili, pedoni e ciclisti prima di tutti. Difficile non essere d’accordo sugli intenti ma decisamente opinabili le soluzioni, anche se va detto nella maggior parte dei casi le zone 30 riguardano aree residenziali all’interno della cerchia dei viali o delle tangenziali, oppure vie a senso unico con frequenti attraversamenti pedonali o presenza di scuole, e comunque per lo più strade dove arrivare a 30 all’ora è già difficile se non impossibile. Se poi si pensa che la velocità media di attraversamento di un grande centro urbano si attesta tra gli 8 e i 16 kmh (a seconda delle fasce orarie), ecco che tutta la faccenda potrebbe anche assumere i contorni di una questione di lana caprina.
Pro e contro sulle zone 30
Eppure il dibattito impazza, e sui social, che ormai sono uno specchio fedele della società, si leggono le tesi più fantasiose, per esempio che in bicicletta “si sfreccia ben oltre i 30 kmh” (mi pare un po’ ottimista, io in discesa e col vento in poppa, forse…), o le previsioni più catastrofiche (copincollo a caso): “ti tamponano perché stai andando più lenta di una lumaca”, “si creano file di decine di auto con autobus nel mezzo che magari saltano due o tre corse”, “macchine della polizia o ambulanze bloccate”, “un motorino curvando decelera e viene travolto…”. Ora, a me le zone 30 così come sono concepite non piacciono neanche un po’, ma sinceramente non mi pare che a Bologna o altrove stia succedendo tutto questo.
I favorevoli al provvedimento invece recitano una specie di mantra ricordando sempre le altre grandi città europee: “saranno mica tutti scemi a Parigi o a Helsinki o a Zurigo?”. Certo che no, però ci si dimentica di una cosa: in Italia siamo italiani, non svizzeri, con tutto quel che culturalmente ne consegue. E in Svizzera non ci sono né la Ducati, né la Ferrari, né circuiti permanenti, anzi le gare sono vietate per legge. Però producono ottimi orologi a cucù (cit. Orson Welles, Il Terzo Uomo).
Controlli a tappeto: ma dureranno?
C’è un altro aspetto che si tende a dimenticare ma che secondo me è il punto dirimente di tutto il dibattito: le famigerate zone 30 non sono frutto di un’alzata d’ingegno dell’ultim’ora, ma esistono da anni in molte città d’Italia. A Cesena dal 1998, per dire. Ma allora perché tutti si sono agitati solo dopo che il provvedimento è stato preso a Bologna? Semplice: perché a Bologna oltre a mettere i cartelli hanno anche deciso di fare controlli accurati con pattuglie e telelaser. Il che, in un Paese abituato a considerare qualsiasi tipo di regola con una certa elasticità, ha scompaginato tutte le carte.
E qui si arriva al nocciolo della questione: a un mese dall’entrata in vigore delle zone 30 il comune dichiara una diminuzione del 16% degli incidenti. Beh, a parte la dubbia validità di una statistica basata su così pochi dati, è abbastanza ovvio che se con le buone o con le cattive i limiti li fai rispettare certi risultati li ottieni per forza e gli incidenti diminuiscono. Sarebbero probabilmente diminuiti anche facendo rispettare il limite di 50, e ancor più diminuirebbero col limite a 20 o a 10, fino ad azzerarli del tutto col limite a 0 kmh, vietando cioè la circolazione ai mezzi a motore. Paradosso per dire che sbandierare questa diminuzione come una grande vittoria pare un po’ come vantarsi per il calo della forfora dopo che ti hanno obbligato a raparti a zero. E grazie al kaiser verrebbe da dire.
Soluzioni
Per quanto istintivamente venga spontaneo fare la ola davanti alle imprese di Fleximan non è quella la strada giusta, non in una società evoluta. E trasferirsi in Germania per sfogare cavalli e frustrazioni sulle loro autostrade senza limiti di velocità pare scomodo. Serve piuttosto una presa di coscienza da parte di tutti, soprattutto sulla necessità di darsi e seguire le regole del vivere civile, servono ragionamenti a lungo termine sulla necessità di modificare le abitudini nella quotidiana mobilità urbana, e serve la consapevolezza che non esiste classe politica migliore dei propri elettori (cit. Cicerone). In poche parole l’auspicio è che siano applicati e fatti osservare limiti congrui per le tipologie di strade senza aggiungerne altri inutilmente più restrittivi e oltretutto ancora più difficili da (far) rispettare.
E adesso scusate, devo andare a ritirare una raccomandata, e temo sia una di quelle con la busta verde. Nel caso qualcuno avrebbe mica un flessibile da prestarmi?