di Carlo Nannini (Kiddo)
Il mondo del giornalismo di settore, nel nostro caso quello motociclistico, è molto vicino a quello dello spettacolo. Saper presentare al meglio un paesaggio, un prodotto, raccontare con un’immagine una storia sono le doti di chi per mestiere immortala con parole o foto una parzialità per descrivere l’insieme.
Una giratina sul Passo più vicino a casa, quello del Giogo, giusto per scaldare l’olio e andare a vedere la prima neve, la moto parcheggiata sul piazzale asfaltato alla fine della strada che lo collega col Passo della Colla, sterrata e chiusa al traffico, una fanghiglia nevosa per l’occasione. Un rapido colpo d’occhio, una posa quasi involontaria e l’abitudine della fotografa rende la scena evocativa, magica: la Multi sembra appena uscita dalla sterrata, il pilota si rilassa contemplando un altro orizzonte da affrontare.
Ovviamente non senza un minimo di mancanza di pudore posto la foto sui social ricevendo vagonate di elogi al manico (soprattutto da parte di altri multistradisti) di complimenti, di commenti sulle potenzialità della moto e su chi, sapendo come si fa, riesce a sfruttarla al meglio. Mi sento un eroe venerato dal pubblico, che grogiola fra centinaia di like it anche se poi, più per timore di essere messo nel mezzo e magari invitato a partecipare a itinerari estremi, raduni invernali con tendata, escursioni avventurose che per reale correttezza e amore della verità, devo avvisare che la foto, quasi incolpevolmente, è costruita, fasulla. A guardare bene, la moto è pulita; niente fango; niente sgrondature di acqua.
Mi dispiace deludere il mio pubblico, ma ho preso la Multi proprio per non andarmi a complicare la vita oltre la bella girata su asfalto o strada bianca. Tutto questo mi ricorda una delle prime lezioni che ho imparato: la fotografia, non è, una rappresentazione della realtà.