Questo non è il racconto della mia prima volta in moto, bensì delle mie due prime volte.
Essendo queste distaccate di circa 13 anni, ognuna ha la dignità di essere citata in questo scritto, anche perché ognuna ha tutta l’enfasi e lo status per potersi definire “la prima”.
La prima, prima volta:
Mi padre era in “CHIPS” della Stradale, e proprio per questo non mi aveva mai portato in moto. Credo ci fu un’episodio in cui venni portato in Vespa di corsa al pronto soccorso, perché mi ero staccato un dito, che mi fu miracolosamente riattaccato regalandomi tutta la sensibilità sulla leva della frizione, che avrei sfruttato in seguito e che ancora sfrutto.
Levato quel cruento episodio di cui non ho fortunatamente memoria, avendo tre anni, all’età di 5 anni venni lasciato qualche giorno presso la famiglia di un collega di mio padre. Marco era allora un giovanotto che si occupava amorevolmente delle moto della Polizia Stradale di Piazza Prealpi a Milano. Come meccanico ufficiale era anche appassionato di Moto Guzzi e aveva uno Zigolo che teneva nella sua casa di famiglia su a Monte Penice. Fu così che un giorno mise il figlio Paolo davanti, seduto quasi sul serbatoio e io sul sellino posteriore per portarci a fare un giro. Detto così adesso pare una follia, ma a quell’epoca non era raro andare in moto in tre, in quattro e chissà se non oltre.
Fatto sta che mi strinsi fortissimo a lui, e ricordo perfettamente la paura e la gioia di quel primo giro. Il vento nei capelli, la velocità che mi pareva pazzesca, la strada che scorreva di fianco e le curve dove sembrava di toccare terra anche se in realtà saranno state appena accennate.
Scesi estasiato e chiesi più volte a mio padre di portarmi a fare un giro, ma avendo a disposizione solo la moto di servizio, non mi portò mai.
La mia seconda, prima volta:
Da quell’episodio dei 5 anni non salii mai più su una vera moto. Provai diverse volte – chiaramente di nascosto di mio padre – alcuni motorini, qualche Ciao Piaggio, un paio di Innocenti Lui, un Califfone Atala. Ma mai ad esempio il mitico Fantic Caballero, troppo moto e quindi troppo vietato per me.
L’occasione si presentò all’età di 17 anni. Eravamo io, la mia ragazza di allora e gli amici a una festa all’aperto vicino al capolinea del 19 (posto famoso per la presenza di quello che per diversi anni divenne il mio locale preferito, dal nome proprio “Il Capolinea”, locale fantastico dove convergevano i jazzisti provenienti da tutto il mondo. Chet Baker ci registrò un disco dal nome “At Capolinea” tanto per darvi un’idea). Ma torniamo alle moto. Finita la festa, quasi al tramonto, decidemmo di accettare un passaggio da un paio di amici che erano venuti in moto. Ed ecco la mia seconda volta. Ero sulla sella posteriore di una Aermacchi HD 350, una moto vera, mitica, rombante e vibrante. Così quella domenica pomeriggio dei primi di un giugno salii su una moto come una dozzina di anni prima, vento nei capelli, emozione pura e felicità. E mentre tornavamo a casa dissi a me stesso: mi comprerò presto una moto.
E così feci da lì a poco!