di Cristiano Ballerio
Una delle cose che più amo è passare il venerdì sera tra amici con qualche birra per “scaricare” le tensioni della settimana, il famoso “San Venerdì” o “Thanks God Is Friday” chedirsivoglia insomma.
Osservando le previsioni per questo weekend però avevo notato che sarebbe stato un fine settembre decisamente insolito: sole e caldo praticamente ovunque, anche sui passi alpini svizzeri….
Più passano gli anni (intesi come età) e più il dubbio amletico mi si ripropone prima di ogni impresa vespistica: ne vale la pena ? Hai davvero voglia di svegliarti presto, prendere la Vespa e fare un tour di 7 – 8 ore in montagna ? Vale la pena saltare un venerdì sera “decongestionante” di sicure risate con Friends & Co ? Vale la pena saltare una bella ronfata tonificante il sabato mattina?
I fatti vanno così: arrivo tardissimo da un tour lavorativo il venerdì (8 ore di guida, in macchina), non esco perché sono veramente un cadavere, vado a letto presto ed il mattino deciderò. Intanto punto la sveglia. Alle 8:00 ho gli occhi a palla e mi accorgo che sto mentalmente pensando a cosa caricare in Vespa, il mio subconscio ha deciso per me senza che me ne accorgessi.
“Svegliarsi presto per andare in Vespa, vale la pena? Ben presto avrò la risposta!”
Il tour prevede che per andare da Gallarate a Monza, anziché fare le solite vie lombarde, si passi dal San Bernardino, dalla Val di Lei e dal Passo Spluga. E sia! Alle 9:34 sono in sella e dopo i primi km la temperatura mi ricorda che siamo pur sempre alla fine di ottobre. Mi fiondo in autostrada per arrivare a Varese il prima possibile, il centro è intasato di shopping-lovers, punto la Valganna e la Desmovespa compie i suoi primi 60.000 km. Auguri!
In Valganna siamo a 11 gradi, azz…rimpiango un po’ il letto.
Passo la frontiera a Ponte Tresa e fino a Lugano è tutta coda di sfizzeri che vengono a fare la spesa in Italia. Ahi ahi, il tarlo fancazzista del “vale la pena?” guadagna terreno nel mio cervello.
Finalmente mi lascio alle spalle Monte Ceneri e Bellinzona e punto il San Bernardino; dopo pochi chilometri in scioltezza mi trovo catapultato in una valle ampia, verdissima, attraversata da un rettilineo grigio chiaro che arriva all’orizzonte,. Il cielo indaco da quanto è limpido, la strada è deserta e non c’è anima viva. Mi fermo, spengo il motore, metto il laterale e mi accendo una sigaretta. Ammiro. Il tarlo fancazzista è vaporizzato.
S, ne vale la pena!
Dieci cento mille e ancora una volta ne vale la pena. Magari non tutti i weekend eh, ma uno ogni tanto…. Da qui in poi gli scenari possono solo che migliorare fino in cima al passo ed infatti km dopo km mi si stampa in faccia un sorriso sempre più ampio. E’ vero i passi si assomigliano un po’ tutti ed a volte ti domandi perché dovresti rifarne qualcuno che hai già fatto. Beh…. che ne so….sono belli, sono fuori dal mondo, sono una sfida per la Vespa, si mangia bene, ti rigenerano. Ogni tanto bisogna, punto!
La salita è come sempre una meraviglia, il tempo è fantastico e la temperatura è mite. Di meglio non potevo chiedere. In cima foto di rito col cartello, come al solito è un onore parcheggiare Desmovespa in parte a ben noti purosangue di razza teutonica, veri “palazzi su ruote”.
Riparto quasi subito per la discesa e la successiva risalita verso la Val di Lei, dove arriverò poco meno di un’ora dopo. Qui faccio un po’ l’italiano “mangiaspaghettimandolino” e attraverso la diga con la Vespa (anche se in teoria sarebbe vietato) e arrivo alla Baita del Capriolo, dove vengo calorosamente accolto dal gestore che subito mi rifocilla con birra bresaola e pizzoccheri (ottimi).
Pranzare all’aperto a 2.000 metri a fine ottobre con vista sulla diga è l’ottima ricompensa per la fatica (che ha fatto la Vespa) per salire fin qui (va bè, lei mangerà dopo…). Mentre mi sto rivestendo mi si avvicina un signore anziano con un labrador e, credo, sua figlia. Rimane a guardare un po’ la Vespa e poi mi dice qualcosa in tedesco. La figlia, capito che non intendevo un’acca, si affretta in mio soccorso: “chiede se è nuova ?” Gli indico la targa con lo “06” ? Chiede poi da dove arrivo e dove sono diretto, sempre con gli occhi incollati alla Vespa. Gli rispondo e sorride. Io gongolo. La figlia: “dice che hai una bella macchina, gli piace molto! Buon viaggio!”
Anche questo è Vespa, ma chi non la guida non lo sa.
Riattraverso la diga e ritorno verso Splugen e quindi il passo Spluga che mi riporterà in Italia. Altra manciata di curve e sono di nuovo nel Belpaese dove ahimè, mi duole davvero tanto ammetterlo, la condizione delle strade è davvero pietosa. La discesa da Madesimo oltre ad avere tornanti strettissimi ha una serie di crateri in gallerie non illuminate che fanno subito chiudere il gas e procedere con moderazione.
Il resto è poi routine da tour post-passi: temperatura che aumenta, cielo bianchiccio, civiltà (siamo sicuri) che avanza, e traffico a tonnellate.
Alle 19:10 dopo 368 km, gran parte dei quali di puro godimento, suono il citofono della morosa. Sono sfatto ma appagato, ho ancora negli occhi i prati ed il colore del cielo.
Si, ne è valsa proprio la pena.
bel racconto, ma sarebbe stato più “fascinoso” con Vespa d’epoca, io ci proverò.
ciao,alvaro