Il nostro Fabrizio Jelmini passa dalla macchina da ripresa alla macchina da scrivere, per raccontare il “dietro le quinte” di una passione.
Quando il direttore e amico Claudio Falanga, con una “chat” amichevole, mi chiese di scrivere un breve articolo riguardo la mia partecipazione al Motogiro d’Italia 2012, la mia perplessità – riguardo lae mia capacità di reporter – mi portò a rispondere: “ direttore non sai in che guaio ti sei ficcato”. A ogni modo accettai.
Ed eccoci qui, io che non faccio parte di questo mondo di parole messe nero su bianco, che già mi ritrovo con la crisi di tutti i professionisti veri che hanno il dubbio di come iniziare.
Ci provo, e quello che ne segue, è quanto sono riuscito a produrre. Vogliate perdonarmi, ma di buon grado apprezzatene lo sforzo.
La mia esperienza al Motogiro d’Italia risale allo scorso anno, grazie a un accordo stipulato con un amico giornalista televisivo e motociclista, che mi chiese di realizzare una serie d’interviste “volanti” sui partecipanti stranieri e non, per raccontare la loro passione per le moto e per la partecipazione a queste gare “classiche”.
Queste interviste sarebbero diventate un documentario per un canale televisivo.
Tornai entusiasta da quell’esperienza. Da viaggiatore potei apprezzare soprattutto la nuova esperienza di viaggiare in motocicletta.
I partecipanti arrivati da tutto il mondo, Australia, Cile, Spagna, Inghilterra, Stati Uniti, paesi nordici, unicamente per condividere una sola passione: la moto!
Fui accettato di buon grado, nonostante il mio mezzo, una vecchia Harley Davidson 883 a carburatore, una moto non canonica per quell’evento.
Essendo una rievocazione, era possibile trovarsi di fronte a pezzi storici, rari e di rara bellezza, un salto indietro nel tempo.
Non mi persi d’animo, con il mio zainetto sulle spalle e con la mia telecamera, iniziai ad avvicinare i partecipanti e a conversare con loro.
Ne uscì, grazie alla loro spontaneità, un lavoro davvero interessante.
Ognuno di loro lasciava trasparire la pura passione in quello che stava vivendo, i loro racconti mi diedero modo di apprezzare ancora di più ciò che per me era stato fino a quel momento un raduno di moto di tutte le età.
Con alcuni di loro instaurai addirittura un ottimo rapporto di amicizia, Alfonso, Carlo, Ambrogio, Giulio, Nicola, Guido, Augusto, professionisti, dirigenti, pensionati, uomini innamorati del proprio mezzo che mi avevano accolto nel loro mondo, fatto di semplice piacere nel condividere questo particolare viaggio.
E’ fantastico pensare, che una passione, più o meno profonda per degli oggetti di ferro, possa accomunare così tante e variegate persone.
In quell’occasione ebbi modo di incontrare un dominatore assoluto degli anni in cui “il Motogiro” era competitivo, una gara di velocità dura, estrema.
Remo Venturi, vincitore della Milano Taranto del ’57 su MV 175cc, si mostrò nella sua schiettezza: gentile, diretto, con una passione sfrenata per le motociclette e una voglia di partecipazione pura.
Ebbi modo più volte di chiacchierare con lui, e anche quando interrotti da persone che gli si avvicinavano chiedendo aneddoti e suggerimenti, mi stupì sempre il suo modo garbato e sincero di accontentare tutti, con quel suo sorriso semplice, ma vero, impresso sul volto.
Quest’anno il patron Massimo Mansueti, presidente del Moto club Pillieri e Liberati, organizzatore del Motogiro, mi riproposto l’invito a partecipare. Ho accettato senza tentennamenti, per essere ancora una volta catapultato in un mondo di passione, amicizia e competitività vera.
Il vedere antagonisti sportivi, aiutarsi nel riparare le motociclette o scambiarsi opinioni riguardo scelte strategiche fa veramente riflettere.
Il piacere di condividere momenti e difficoltà senza battere ciglio ed essere disponibili verso gli altri, fa parte di quel mondo romantico oramai perduto della cavalleria.
Al Motogiro ho trovato questo, la grande voglia di condividere una passione vera, fatta da “uomini” con le loro moto.
Lontano da quello che poi sono stati i risultati agonistici ho scoperto un mondo di amicizia e condivisione, che suggerisco di provare, non fosse altro per dire, “io c’ero”.
Alla prossima edizione allora e chissà che tra una curva e l’altra ci sia la possibilità di incontrarci e di fare una chiacchierata davanti a una telecamera.