Un avvenimento importante, dove attraverso l’arte della fotografia, gli autori cercano di trasmettere idee ed emozioni confrontandosi sul tema della “vita comune – immagini per la cittadinanza” nel più generale contesto concettuale della “cittadinanza attiva”, portando all’attenzione realtà spesso non immediatamente percepibili.
In questo ambito, le tematiche sviluppate sono le più diverse: la condizione urbana, il corpo, il tempo, lo sguardo e la riflessione sull’identità, tematiche che vanno ben al di là dell’approccio prettamente fotografico, essendo di sicuro stimolo intellettuale ed artistico, oltre che d’impatto gradevole anche ai semplici appassionati.
Il programma ricchissimo della manifestazione prevede diverse conferenze, con relatori illustri, come lo storico della scienza Gilberto Corbellini, l’architetto e scrittore Gianni Biondillo, il geografo Franco Farinelli, lo storico dell’architettura Fulvio Irace e tra i filosofi Giacomo Marramao, Francois Jullien, Armando Massarenti, infine l’economista della cultura Pier Luigi Sacco.
La città è un’immensa galleria fotografica, ben 250 sedi espositive, 150 mostre nel circuito Off, con le più importanti location di Reggio Emilia impegnate per un mese, dal Palazzo Magnani ai chiostri di Chiostri di San Pietro e San Domenico, dalla Galleria Parmeggiani a Palazzo Casotti e a Musei Civici, dallo Spazio Gerra alla Sinagoga.
Nel circuito principale, non possiamo non citare la mostra di Henry Cartier-Bresson ai Chiostri di San Domenico, mentre di estremo interesse è la collezione del fotografo di “guerra” Don Mccullin “La pace impossibile-Dalle fotografie di guerra ai paesaggi 1958-2011”, la cui location si trova a Palazzo Magnani.
Nelle sale del palazzo sono esposte ben 160 fotografie di reportage in bianco e nero che ripercorrono le tragedie scaturite nei conflitti bellici; sono inoltre esposte le immagini scattate negli ultimi anni di attività del fotoreporter britannico..
All’interno dell’evento esiste una sezione OFF, la sezione più libera ed indipendente dalla manifestazione di Fotografia Europea, che si pone al di fuori dello spazio riservato ai fotografi di fama internazionale, e che vede protagonisti svariati autori.
Nel nostro giro delle varie mostre di questo circuito minore, segnaliamo il lavoro svolto da Cinzia Tassetto, del gruppo dei fotografi di ReFoto, la cui mostra si trova presso l’Albergo delle Notarie e di cui vi presentiamo una breve introduzione.
Le immagini della fotografa reggiana raccontano della drammatica condizione di vita dei malati di mente presso il manicomio del S.Lazzaro di Reggio Emilia, condizione accumunata alle tante istituzioni manicomiali italiane, definitivamente abolite dalla legge Basaglia del 1978.
Lo scopo di questo lavoro, come ci racconta Cinzia Tassetto, è quello di ricercare gli ambienti, gli oggetti e le atmosfere in grado di rievocare la vita dei ricoverati all’interno del Manicomio.
Di seguito le impressioni di Cinzia:
Mentre ci si aggira in queste strutture si avverte immediatamente il senso di isolamento.
I padiglioni sono isolati.
L’architettura è austera.
All’interno di essi ci sono i cortili chiusi tra le mura, i corridoi lunghi in cui si alternano, tutte uguali, le porte delle celle. I corridoi erano inframmezzati da altre porte che ora sono scomparse: queste si aprivano per richiudersi immediatamente al passaggio dei medici e degli infermieri che accompagnavano pazienti e visitatori.
Il S.Lazzaro nel suo complesso è stato una cittadella a sè stante, reggendosi economicamente secondo una sorta di autarchia agricola.
Si trova ancora traccia dei luoghi preposti alla vita comune: la calzoleria, l’ufficio della posta, i magazzini, la chiesa, il museo e la biblioteca oltre che le cucine e il refettorio.
La vita qui dentro è stata ampliamente documentata dalla fotografia dell’ottocento e del primo novecento, che ritraeva le immagini edulcorate di una realtà in cui tutto appariva perfettamente organizzato, pulito, tranquillo e, addirittura, sereno.
Erano immagini atte più a rassicurare il la cosiddetta società civile, piuttosto che a descrivere le reali condizioni di vita dei ricoverati.
Ma a già partire dagli anni ’40 e ’50 e soprattutto negli anni ‘60, la fotografia ha avuto un ruolo fondamentale nello scuotere le coscienze sulle condizioni dei degenti nei manicomi, con lavori di enorme impatto emotivo che, abbandonando progressivamente il taglio documentale, si trasformarono in vera e propria denuncia.
L’idea di questo lavoro sta nella forza evocativa dei luoghi e degli oggetti ritratti, il cui carattere simbolico lascia ad ogni osservatore la libertà di immaginare fatti, persone, situazioni.
[nggallery id=94] [nggallery id=95] [nggallery id=96]