Purtroppo in Ucraina abbiamo avuto parecchie difficoltà per trovare connessioni di rete.
Dopo varie tappe siamo arrivati a Lugansk, nei pressi del confine russo. Il tempo è ottimo, fa parecchio caldo e vento forte, in compenso le strade sono in pessime condizioni di manutenzione; riusciamo a rispettare le tappe ma, ogni giorno, dobbiamo guidare oltre le ore previste.
Oggi ci siamo presi pure una multa, per aver percorso una nuova rampa autostradale non ancora aperta al traffico, la “contrattazione” con i poliziotti ci ha limitato i danni…
Speriamo di poterci aggiornare un po’, più spesso e con un maggior numero di foto.
La partenza nella sezione reportage
[wp_geo_map]Stalingrado
Dopo una lunga sosta alla dogana russo-ucraina, finalmente arriviamo a Volgograd (Stalingrado).
Proseguiamo domattina per il delta del Volga dove ci prenderemo un paio di giorni di riposo.
Qui nella foto, il classico e monumentale ingresso a tutte le città.
Astrakhan
Ci lasciamo alle spalle Stalingrado il traffico è caotico, l’aria …”che ve lo dico a fare”! Le auto si diradano e un forte odore acre ci accompagna per chilometri e chilometri, mentre la stada si snoda tra enormi stabilimenti siderurgici abbandonati e semi distrutti; è spettrale. Il suono del motore e le mani che stringono le manopole, mi tengono saldo alla realtà; altrimenti, attraverso la visiera, sembrerebbe di vedere un film alla Mad Max.
Adesso la strada è una sola e punta dritta verso Astrakhan, il film va esaurendosi lasciando spazio a praterie e pascoli. Si ricomincia a respirare, apro il casco e riempio i polmoni di aria fresca; il caldo è attenuato da un forte vento da ponente che soffia senza sosta da giorni.
Nel niente delle praterie, che ormai hanno lasciato posto alla steppa sabbiosa, un caffè ci rimette al mondo; è un piccolo bar/locanda gestito da una famiglia di ceceni. Fuori imperversa una mezza tempesta di sabbia, ma non è cosí drammatica.
Il paesaggio, sempre più arido, ricorda le infinite distese algerine, finché ad est non appare il Voga avvolto da un verde lussurreggiante. È imponente!
Qualcuno lo reputa il confine tra il continente europeo e quello asiatico, se così fosse questo breve sterrato che mi ha fatto raggiungere la riva è Europa; l’altra sponda è l’Asia. Per un momento non so se mi trovo in Russia o a Istanbul.
Due notti di sosta qui ad Astrakhan ci vogliono per riposare e fare la necessaria manutenzione ai mezzi; una ventola di raffreddamento di un’Africa Twin è K.O., oggi, domenica, non se ne trovano, per adesso rimediamo con una ventola da PC.
A 8 giorni dalla partenza il conta km segna sempre gli stessi numeri, è rotto…il GPS segna quasi 4000km da casa. Il ritmo è stato serrato, ma fino ad oggi è un lungo trasferimento. Da domani, con l’ingresso in Kazakistan, inizia ciò che più è interessante…
Kazakistan
La dogana Russa-Kazaka e’ puntuale e precisa, siamo comunque fuori in non meno di 3 ore.
E’ ancora parecchio caldo ma ci dovremo abituare. D’ora in poi si scende a sud.
Arriviamo ad Atyrau piuttosto stanchi, ci aspettiamo una città poco più grande di un villaggio: e’ una delle più grandi città petrolifere del paese, con alberghi da sogno e palazzi da 100 piani. I prezzi sono ben oltre il nostro budget, finiamo in una topaia di periferia.
Il giorno seguente proseguiamo per Beyneu, le moto corrono veloci sulla strada piuttosto buona che costeggia la ferrovia; ecco che comincia a farsi largo la steppa e il deserto. Troviamo alloggio in un moderno caravanserraglio per camionisti.
Beyneu è ai confini della realtà, luogo di trasportatori oltre a poche case in mezzo al nulla più assoluto.
Da l’idea di essere un villaggio alla fine del mondo.”Very bad” mi dice uno tizio dalla cabina del suo enorme TIR, “the road is very bad”; si riferisce senza mezzi termini alla strada che ci porterà, il giorno dopo, verso il confine uzbeco.
Dopo pochi chilometri, le parole del camionista rispecchiano la realtà: 60km di polvere e sassi ci portano alla frontiera che passiamo nelle solite “comode” tre ore. E’ un primo assaggio di quanto ci aspetta per 3000km in Mongolia…
Nukus non ci lascia alcun ricordo, mentre Kiva da sola per adesso vale il viaggio. Arriviamo con le moto proprio sotto le mura a ridosso delle quali troviamo un B&B dove dormire.
Ottimo! Arriviamo un po’ umidi per aver preso qualche goccia d’acqua, ma niente di preoccupante. A cena un paio di svizzeri mi raccontano del loro viaggio attraverso la via della seta, utilizzando mezzi pubblici…io senza le mie due ruote non farei neanche cinquanta chilometri.
Attraverso un ponte di barche ci immettiamo sulla strada principale per Bukhara, non sappiamo che ci aspettano 100 km di buche profonde come crateri; siamo provatissimi e anche i mezzi lo sono, due giorni a Bukhara ci rimetteranno in sesto e avremo tempo per fare della buona manutenzione.
Samarcanda
Samarcanda, la meta sognata da tanti viaggiatori è qui fuori dalla visiera del casco.
I viali ombreggiati da enormi alberi ci accolgono mentre, un’occhio alla strada e l’altro alla mappa, cerchiamo il piccolo affitta camere che ci ha indicato una ragazza italiana incontrata a Bukhara.
Desistiamo e la soluzione taxi è sempre la migliore.
Finiamo vicino al mausoleo dov’è sepolto Tamerlano, governatore e grande condottiero al cui nome è legato il rinascimento della cultura del Medio Oriente; staremo nella sua Samarcanda per un paio di notti, per poi puntare su a Nord, di nuovo verso il Kazakistan.
La manutenzione delle moto a Bukhara è stata fondamentale, quella strada infame li ha messi davvero a dura prova; serriamo cuscinetti di sterzo e tutta la “bulloneria” di carene e telaietti reggi borse, ungiamo catene (la mia Guzzi è estranea a questo) e verifichiamo tutti i livelli dei liquidi.
A parte il fango raccolto per strada e i quintali di polvere che le ricoprono, le moto sono come “nuove”.
Samarcanda è meravigliosa. Le strade, dove regna un traffico “creativo” e “fantasioso”, sono una roulette russa; infatti da qualche anno in Uzbekistan, è vietato l’uso di qualsiasi mezzo a due ruote nelle città. Chissà perché…?
Di nuovo in Russia
Dopo aver riattraversato il Kazakistan eccoci di nuovo in Russia per il “giro di boa”. Barnaul è una città caotica.
Dopo una mezza giornata passata in un taxi riusciamo a recuperare tre gomme tassellate e le montiamo in una officina/garage sperduta nella periferia della città.
La quarta tassellata proveremo a trovarla sulla strada che ci porta a sud, verso il confine mongolo.
Il caldo dei giorni passati e le strade distrutte ci hanno provato, due giorni di sosta ci servono anche per recuperare.
La latitudine e i temporali ci danno un mano con le temperature che adesso sono decisamente più accettabili.
Credo che questo sia l’ultimo aggiornamento possibile, da ora in poi ci saranno solo steppe e laghi fino ad Ulaanbaatar.
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Finalmente in Mongolia
Cari Amici di Moto On The Road, nel mio ultimo aggiornamento mi sbagliavo; la Mongolia non e’ solo laghi e steppe, ogni tanto si incontrano piccole cittadine alcune delle quali offrono connessioni internet piu’ o meno decenti.
Da Barnaul, dove vi ho scritto, l’ultima volta ci siamo spostati verso sud, Tashanta ormai e’ la meta piu’ ambita di questi giorni, posto di frontiera tra Russia e Mongolia.
All’arrivo resto basito: Tashanta non e’ altro che una gruppo di case/capanne lungo la strada che porta nella terra di Gengis Khan. Finiamo per dormire in una capanna con sette “letti”, una stufa e un tavolo senza sedie, illudendoci fosse tutta per noi: il tempo di occupare tutti i letti con giacche, caschi, bagagli ed entra un camionista con la sua borsa, evidentemente non saremo soli.
Non lo saremo per niente, pochi istanti ancora ed entra un’intera famiglia di Kazaki, nonna compresa, si lanciano sui tre letti, non invasi dalle nostre cose, cacciano il camionista e si sistemano. Passiamo la notte con loro e di buon mattino ci presentiamo in frontiera.
Lasciamo la Russia sotto una pioggia non troppo pesante ma fastidiosa, l’ultimo cancello che ci aprono non lascia dubbi: da li in poi una striscia di terra e fango.
I primi chilometri sono particolarmente emozionanti, gli occhi mettono a fuoco tutto ciò che per mesi hanno visto su guide, riviste, foto e internet.
Il percorso non e’ particolarmente difficile e siamo presto a Olgji, dormiamo in casa di una famiglia che affitta stanze e faccio tardi a chiacchierare con due tedeschi; sono li da una settimana in attesa che gli spediscano un giunto cardanico nuovo per uno dei loro BMW GS1100.
Stanno andando in direzione opposta alla nostra, ma con questo inconveniente dovranno puntare dritto verso casa.
Scendiamo ancora a sud fino a Khovd per risalire verso Ulaangoom; avremmo potuto raggiungere questa città molto più brevemente dalla zona di frontiera, ma la regione delle montagne dell’Altai offre paesaggi mozzafiato che sarebbe riduttivo provare a descrivere, lascio e lascerò’ l’arduo compito alle foto che sono riuscito a fare.
Chilometri di polvere e paesaggi da sogno
Per arrivare ad Ulaangoom la pista non e’ sempre stata buona, ogni tanto sabbia, parecchie pietraie e diversi guadi, proprio quelli che credo abbiano dato fastidio alla mia Guzzi che, il mattino seguente, non ha avuto intenzione di partire se non con il vecchio sistema del “ponte sul motorino di avviamento”, chi ha una Guzzi, sa di cosa sto parlando.
Con la prua ad est mi lascio alle spalle la regione dell’Altai ma le emozioni di cio’ che vedo sono indescrivibili; la natura ha una presenza prepotente e dominante, praterie sterminate, montagne dai mille colori e mandrie di bestiame a perdita d’occhio.
La media e’ ovviamente bassa, intorno ai 30 km/h, la pista talvolta e’ distrutta e spesso e’ obbligatoria una sosta per non perder la retta via e ritrovarsi nel nulla. Nonstante la quota, il caldo si fa sentire, e’ fondamentale avere acqua in abbondanza.
La Guzzi fa i capricci e dopo una sosta decide di non partire piu’, per fortuna non sono solo e con una buona spinta rieccoci in cammino.
Ci accampiamo vicino ad un corso d’acqua e appena sceso il sole siamo già a dormire.
Guzzi e Uaz…che esperienza!
La Guzzi riparte a spinta e mi porta fino a Tes dove, appena fatta benzina a motore acceso, decide di spengersi definitivamente!
Tester alla mano capisco (anzi non capisco) che non c’e’ niente da fare.
In un pomeriggio di caldo e polvere, organizzo un trasporto con un camion verso la prossima grande cittadina, Moron, nella quale spero di trovare un meccanico o qualcosa del genere, per provare a capire e risolvere il problema…
Concordo con una tipa e alle 6.30 del mattino, dopo aver smontato la tenda, sono pronto a caricare la moto sul camion che arriva alle 9. La puntualita’ mongola se la gioca con quella magrebina, e’ dura trovare un vincitore!!!
Parto con la tipa, il fratello e’ al volante su un camion Hyunday che cade a pezzi, la moto pare ben fissata e inizamo a saltare sulle piste mongole.
Pochi chilometri e siamo gia’ fermi per una foratura. Gli altri sono sullo stesso percorso ma non arriveranno fino a Moron, ci sono circa 400km, arriveranno la in 3 giorni.
A Baiantes il camion si rompre e “I’m sorry we can not arrive in Moron” dice la tipa sorridendo mentre siamo a bere del the dentro una gher. Mi girano le scatole ma non posso far niente, finche, dopo appena 4 ore, il fratello non si presenta con un amico che guida un Uaz: ” camion camion” e capisco che dovremo trasferire la moto da un mezza all’altro. Il pianale in legno dell’Uaz scricchiola non poco quando la bestia di Mandello ci si parcheggia sopra. Bisogna rinforzare il piano e quindi andiamo dal falegname del paese “Tara’ ” e ci arrangiamo per il meglio.
Alle tre del pomeriggio siamo pronti a partire, ma non avevo capito bene cosa sarebbe successo di li a poco:’ dobbiamo caricare altre 4 persone, falegname compreso e un trasloco per Moron.
Finiro’ per viaggiare sul cassone dell’Uaz per 300km di piste insieme al falegname e alla moglie, accucciato sotto al mia Guzzi sommerso dalla polvere.
Arriviamo a Moron alle 4 del mattino, congelati e spezzati dai colpi delle balestre dell’Uaz, facciamo letteralmente irruzione in casa di parenti che, felici di vederci, preparano un bel riso e carne bollita, alle otto del mattino crollo sul tappeto di una stanza adiacente.
Con l’aiuto del falegname smonto lo smontabile e con le misere conoscenze elettriche che ho, provo a vedere cosa sia successo. Smontiamo e puliamo ben bene il motorino d’avviamento e come per magia, tutto quello che non funzionava i giorni prima (luci, frecce, contagiri etc etc) si rianima.
Mi ospitano per due giorni come se fossi un figlio, finche’ non mi raggiungono gli altri.
Anche se un po’ in ansia per la moto non perfettamente a posto, l’esperienza di un viaggio/trasloco su di un Uaz, attraverso le piste mongole, in compagnia di mongoli e’ stata indimenticabile.
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Lasciata Moron, mi dirigo verso nord, il lago che confina con la Russia deve essere uno spettacolo. Ho deciso di provare la moto su questo tratto di strada, sono ”appena” 100 chilometri per verificare che tutto funzioni a dovere e in caso contrario rientrerò a Moron e vedrò di risolvere il problema nel caso capitasse.
L’arrivo è suggestivo, nuvole nere e cariche di pioggia ad est e il sole ad ovest, che illumina questa immensa distesa d’acqua.
Il lago durante il periodo invernale diviene una lastra di ghiaccio spessa fono a 120 centimetri e, fino a pochi anni fa, era transitato dai camionisti per arrivare al confine russo. Dopo una decina di loro finiti sul fondo, hanno vietato il transito.
La pista per arrivare qui è tempestata di lavori in corso. A volte si avanza con difficoltà ma lo scenario è così affascinate che la voglia di andare avanti sembra non aver fine.
Gli ultimi 8/10 chilometri per arrivare al campeggio sono durissimi, una pietraia aguzza mista a fango in un saliscendi ai limiti del tracciato da trial. Spesso le sospensioni arrivano a fine corsa e i colpi ai cerchi sono inevitabili.
La moto si comporta bene e, rientrato a Moron, decido di proseguire per l’itinerario previsto: giù a sud verso il lago bianco, attraverso montagne e praterie senza fine. Lo spettacolo è guastato da una giornata di pioggia infinita e insistente, la pista si fa difficile e i guadi sono ormai una costante; la temperatura è scesa vertiginosamente anche perché la quota è oltre i 2000 metri.
Alla fine di una lunga salita fangosa, c’è un ristoro per viaggiatori, sono congelato, ci sono non più di 5 gradi, la pioggia continua e tra i mille occhi che mi osservano dalle finestre, mi fiondo dentro. E’ l’equivalente di un autogrill, chiedo se è possibile dormire e vista l’ora ci fermiamo. Il freddo della notte e’ infame.
Intravedo il lago bianco dalla pista di nord: è meraviglioso.
Dopo un po’ di spesa al piccolo market sulla riva occidentale, ci sistemiamo in una gher e pernottiamo. Le rive del lago sono costellate di pietre nere come la pece, la presenza del vulcano è palese e prepotente.
Cambio le candele e faccio un po’ di manutenzione, la spia della batteria ha ripreso a farmi sussultare ma, con tutti i dovuti riti scaramantici – che e’ bene non specificare, ma noti a tutti… – pare che non vi siano problemi.
Tsetserleg con i suoi tetti colorati ci da il benvenuto sotto un bel sole. Il telaietto che tiene la borsa di sinistra s’è spezzato di nuovo; fortuna vuole che trovo un saldatore appena fuori della pensione dove dormiremo.
Smonto tutto in un lampo, ormai e’ la terza volta, il saldatore si avventa sul pezzo senza guanti ne maschera e in uno sfrigolio elettrico ripara quello che ormai ”regge l’anima con i denti”.
Nonostante abbia alleggerito tutto, i telai delle borse hanno accusato i quasi 2500 chilometri di piste e hanno evidenti segni di cedimento.
Se decidete di venire fin qui, partite “leggerissimi”.
In mezzo ad una folla allegra ed entusiasta stamani è iniziato il Naadaam, la festa nazionale mongola. Lo stadio è gremito di gente e all’esterno si accalcano venditori di ogni genere alimentare.
Più in la i banchetti con la peggior produzione cinese, sembrano non finire mai. Si respira gioia e pace, tutti salutano e sorridono, nei loro bellissimi abiti tradizionali, mentre i lottatori se le danno di santa ragione dentro l’arena!
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Lasciata Tsetserleg e i festeggiamenti per l’indipendenza del paese (quest’anno è il novantesimo anniversario…come la Casa Madre di Mandello!!!), la piccola Karakorin ci accoglie sommessamente; qui la festa è già finita.
Dormiamo nella Guest House, che un francese mi indicò il giorno di ingresso in Mongolia dalla Russia, mentre eravamo entrambi in fila per i soliti controlli.
Le uniche due facce europee in un mare di occhi a mandorla: impossibile non scambiare quattro chiacchiere! Lo incontro appena parcheggiata la moto. Xavier è un veterinario che si occupa dei cavalli che la Guest House mette a disposizione per le escursioni nella zona.
Mi informo da Xavier, lui vive qui 6 mesi l’anno e conosce bene la zona: “e’ un piccolo monastero sperso sulle montagne a sud-ovest della città”, dice, “lo puoi raggiungere costeggiando il fiume, non ci sono strade (strano, penso io), o tieni il fiume a destra o a sinistra, poi al ponte di legno vai verso nord, comunque non ci puoi arrivare vicino, dovrai camminare per un paio di chilometri”. Informazioni scarne ma fondamentali!
Scelgo la riva sud, sulla mappa pare che dopo 60/70 chilometri ci sia un villaggio. Infatti lo trovo! Benzina e via di nuovo. La pista è per la maggior parte buona ma alcuni tratti sono vasche di fango disegnate dai profondi solchi dei copertoni dei 4×4, si fa fatica ad avanzare e a stare in piedi, un paio di guadi assai profondi e le pietre aguzze di una colata lavica sono la ciliegina sulla torta, ma tutto fila per il meglio e in serata siamo ospiti in una gher all’inizio del cammino per il monastero. Fuori diluvia, domattina spero di poter salire al monastero con il sole.
Sono le 7, il sole splende e l’aria frizzante diventa torrida e satura di mosche appena lasciato il campo; la salita è assai ripida, e dopo un breve tratto s’infila nel bosco; voci sentite la sera prima parlavano di 2 chilometri, altre di 3, alla fine i chilometri sono 5. Il tempio è tutt’ora luogo di culto, uno dei pochi del paese, e il suono dei corni dei monaci per annunciare l’inizio della meditazione rimbomba in tutta la valle.
Il posto è incantevole ma infestato di mosche che non danno tregua.
Rientriamo al campo poco prima delle 12, la signora che ci ha ospitato ci prepara un paio di frittelle e una volta saldato il conto siamo di nuovo persi in mezzo ad una natura davvero incontaminata. Decidiamo di tornare a Karakorin per la pista di nord, sempre lungo il fiume, e’ molto più scorrevole e in serata intravediamo la città.
ULAANBAATAR, RITORNO ALLA CIVILTA’
Mi lascio alle spalle Karakorin lungo una strada veloce ed asfaltata: il primo asfalto dopo migliaia di chilometri di off-road. Ripenso alla bellezza dei monasteri e mi ritrovo nel traffico caotico della capitale; sono senza soldi e devo trovare un bancomat che funzioni. Pochi chilometri verso il centro e il problema è risolto, poi via verso sud per trascorrere gli ultimi momenti nella pace di questo paese. Decidiamo per un piccolo villaggio a 50/60 Km dalla civiltà dove incontriamo due portoghesi un po’ provati; arrivano “via strada” da Lisbona e ci torneranno facendo più o meno il nostro itinerario. Stiamo a chiacchiera una buona mezzora, poi scappano verso UB (qui la capitale si chiama così) cercando di evitare un temporale che è in arrivo. Invece lo prenderanno in pieno.
Il mattino seguente l’arrivo a UB è meno traumatizzante del giorno prima e le parole sentite dire da mille persone, in merito al traffico “impossibile della capitale”, mi sembrano un po’ esagerate. Qui e’ una passeggiata se paragonato al Cairo o a Damasco per non parlare di Tripoli.
FRA GRATTACIELI E MONASTERI, L’ALTRA FACCIA MONGOLA
Per settimane mi sono meravigliato della bellezza della natura di questo paese sterminato, fatto di pascoli, pastori, laghi e fiumi incontaminati e continuo ad esserlo adesso che mi muovo per la capitale a cui fanno da cornice due enormi centrali elettriche (nucleari?), una cappa di smog degna di una capitale europea e grattacieli di un numero indefinito di piani! Il contrasto è impressionante e stento a credere di essere nello stesso paese.
Sono curioso e mi visito tutto il visitabile, turistico e non turistico, ma resto basito quando scopro che nel cuore della città esistono ancora dei monasteri che per diversi motivi sono sfuggiti a quelle che vengono definite le “purghe staliniane” del ’37.
Sono dei gioielli di architettura, delle vere e proprie opere d’arte mal manutenute. Si respira quasi un’aria di abbandono nonostante il biglietto d’igresso e il supplemento foto, costosissimo, pari ad un extra di 2/5 in più sul solo ingresso!. Ma come si fa a non fare foto?
SALUTO LA MOTO LA RIVEDRÒ FRA DUE MESI
Il giorno previsto sbrighiamo le carte nell’ufficio dello spedizioniere eil mattino dopo siamo al terminal container; una città nella città fatta di milioni di container uno sull’altro. Sembrano palazzi multicolore e ci si muove fra essi come se si fosse in una strada di una città. Ne aprono uno e mi fanno segno che è li che metteremo le moto. Stacco la batteria e poi via dentro fra 1000 cinghie, tiranti e strati di gommapiuma che faranno da cuscino fra una moto e l’altra. Un paio d’ore e vedo sparire il carico dietro la pesante porta di ferro!
Ancora due giorni e poi il volo Mosca-Milano ripercorrerà in poche ore gli oltre 13000 Km fatti fin qui.
E’ stata una bella avventura, i quasi 3000 Km di Mongolia sono stati particolarmente duri, almeno per me che di off-road ne avevo fatti si e no 100 in tutta la mia vita. La moto, a parte il mistero tutt’ora irrisolto di un qualche problema elettrico, si è comportata più che dignitosamente, cancellando ogni remora che avevo prima della partenza.
Purtroppo non sono riuscito ad aggiornarvi “day by day”, ma spesso le connessioni erano inesistenti o lentissime e, altrettanto spesso, lo scrivente era cotto come una pera!
Appena tornerò a casa mettero’ molte foto del viaggio su www.motorambler.it, se avete tempo dategli un’occhiata e per qualsiasi informazione non esitate a contattarmi.
Un grazie a Claudio Falanga e a Moto On The Road che mi hanno dato la possibilità di comunicare con voi, a Daniele di Amphibious – Lesmo, a Tony Gialdini – Brescia, a Paolo e Stefano della Serchiomotori – Lucca, a Francesco di Valerisport – Treviso, a Fernando di Blu22Design – Milano, ad Ennio della VEL – Sondrio, a Stefano di SteinDinse GmbH – Germania, ai consigli degli amici di guzzienduro.it e a tutti coloro che hanno in qualche modo contribuito a questa mia esperienza.
Un particolare ringraziamento ad Alessia.
A presto!
Davide
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