testo e foto Maurizio de Biasio
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Catapultati con un Boeing dall’altra parte del mondo, Daniela ed io ci ritroviamo a calpestare, per la prima volta, il continente nero; la Motina ci ha preceduti, ed è li, da qualche parte in un magazzino a Cape Town che ci aspetta… Non sapremo mai se contenta o meno di queste trasferte intercontinentali, ma se non altro, almeno può vantare di essere una delle poche motociclette (non so quanto effettivamente sia un primato invidiabile) ad aver fatto girare le sue ruote e bruciato benzina in tutti i continenti della terra. Spero che le possa bastare come soddisfazione …
Trentacinque giorni è il tempo che avevamo a disposizione per “incontrare l’Africa”, scoprirla, ed esplorarla a modo nostro come facciamo di solito; ma di questi trentacinque, ce ne sono voluti almeno trenta prima di riuscire ad ambientarci un tantino e a capire qualcosa di più di questo grande e ancestrale continente.
Per quanta esperienza di viaggio si possa avere, quando si giunge in un luogo totalmente inedito, si attivano automaticamente quei meccanismi di allerta, di studio, di attenzione, che vanno a interessare luoghi, situazioni, persone, atteggiamenti, talvolta perfino le espressioni dei singoli individui, per comprendere al fine se si è graditi o meno, se si è al sicuro, oppure se è meglio alzare i tacchi, anzi, le ruote, e togliere il disturbo rapidamente.
Abbiamo viaggiato attraverso il Sudafrica, il desertico suolo Namibiano, e il più inospitale territorio del Botswana. Luoghi veramente unici e dispensatori di mille emozioni, come il delta dell’Okavango per esempio (un fiume di oltre 1000 km che sfocia nel deserto … solo in Africa!); o le dune di sabbia rosso-arancio di Sossusvlei nel deserto del Namib e i suoi meravigliosi scenari di natura morta; o le donne Herero, con il loro caratteristico abito coloniale (ma a 40°C non fa caldo con tutte quelle sottogonne?).
E le donne Himba? Con il corpo ricoperto da una mistura di burro, ocra e spezie! Forse potrebbero sembrare un po’ “turistiche” quando estraggono il telefonino dall’unica cosa che le veste, il gonnellino di pelle, ma nelle capanne di fango sterco e paglia, assieme a capre e pecore, ci vivono per davvero!
Il parco dell’Etosha, meravigliosa concentrazione di animali in libertà, ma non paragonabile comunque all’emozione di viaggiare con la tua moto lungo la Trans Kalahari Highway, ed essere affiancato da uno struzzo con quella sua buffa corsa da cartone animato!
Attraversare il deserto con poca benzina, e riuscire a farcela… anche questa è un’emozione, una conquista! Riposarsi la sera, con la tua moto al sicuro protetta da un filo spinato, oppure da una guardia armata, oppure da una fitta rete di cavi di corrente elettrica che sovrasta il muro del tuo B e B, davanti a due fantastiche birre ghiacciate e dire: “Anche oggi è andata!”, non ha prezzo!
Questo viaggio in terra africana, ci ha fatto dono di momenti intensi, belli, difficoltosi, irripetibili, ma di sicuro assolutamente unici. Forse grazie anche a Motina, che anche questa volta si è digerita 9.800 km senza perdere un colpo e chissà ora cosa starà pensando dall’interno di quel comodo e accogliente container che la sta portando a casa. Forse è meglio non saperlo…
Il nostro itinerare nel continente, in realtà, ci ha condotto solo fino a quella che io definisco “la porta dell’Africa”. Il nord della Namibia e il Botswana, infatti, ci hanno dato un assaggio di cosa veramente può essere l’Africa, l’Africa nera! Noi, a essere sinceri, questa realtà l’abbiamo appena sfiorata, un po’ forse come quei viaggiatori che a bordo di autobus 4×4 ci hanno spesso superato…
Una cosa di sicuro l’abbiamo imparata. In Africa, l’unica cosa veramente certa, è che non c’è proprio niente di certo!