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Sud America in moto: quando le emozioni viaggiano in quota – Terza Parte

Quarantadue giorni di viaggio in sella alla moto tra le mille meraviglie del Sud America. Terza Parte.

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Testo e foto di Giampiero Pagliochini

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La seconda parte del viaggio prevede un lungo trasferimento fino a Viña del Mar, dove ci attendono degli amici, tra di noi c’è necessità di sostituire degli pneumatici in cambio dei tassellati usati fino ad ora, l’unico che non opta per il cambio sono io che sto affrontando il viaggio con dei misto stradale off per arrivare fino ad Ushuaia. Vedremo se la mia teoria diventerà realtà, sono fiducioso.

Viña del Mar è un luogo turistico sulle rive dell’oceano, ci sono buoni ristoranti e pesce a volontà. Non ci mettiamo molto a scoprire un ristorantino gestito da un connazionale amico di conoscenti italiani, non sono sorpreso, questo mondo è sempre più piccolo.

La giornata promette bene, il sole affonda i suoi raggi, imbocchiamo la statale 5, ma amaramente, dopo pochi chilometri, facciamo i conti con la pioggia. Nella giornata con la tappa più lunga, 780 km fino a Temuco, non smette mai di piovere, fa freddo e rimpiangiamo le Ande.

Trascorriamo la notte all’hotel Nicolas, e il giorno dopo il tempo non è cambiato. La pioggia continua a tratti fino a Puerto Montt, dove subiamo un’altra doccia fredda: l’imbarco per Chatien partirà tra 2 giorni e non come da programma domani, non resta che fare i turisti concedendoci un meritato riposo.

Salpiamo da Puerto Montt destinazione Chaiten; viaggiamo di notte su una chiatta datata, carica oltre ogni limite, dormiamo su poltrone stile aereo. Il luogo dove attracchiamo è tetro, ci sono quintali di cenere ovunque perché l’anno prima, dopo un letargo di circo 9ooo anni, il vulcano si è risvegliato e ha riversato migliaia di tonnellate di cenere. La popolazione è stata evacuata ma qualche irriducibile è rimasto così il governo, di fronte a tanta ostinazione, ha pensato di bandirli. Un lenzuolo appeso ad una casa recita, “Il governo ci nega luce e gas, siamo qui solo per la patria”. Parole sante, che costatiamo di persona quando ad un bar chiediamo una colazione.

 

Sud America in moto : La Carrettera Austral

Siamo sulla Carrettera Austral, voluta dal Generale Pinochet, un’opera immensa, utile a collegare la Patagonia cilena al resto del paese.

Viaggiamo in mezzo a montagne conifere e quando guardo l’orologio sono le 18. “Ammazza quanto siamo scesi a sud!”. Qui è ancora giorno pieno, lo sarà fino alle 22, quando ci saluterà un tramonto favoloso a Porto Ibanez, sul lago General Carrera per i cileni, Bunos Aires per gli argentini – stranezze sud americane che ritroveremo più avanti giorni dopo.

Chile Chico è l’attracco del traghetto, prima di fare frontiera con l’Argentina, ufficialmente siamo in Patagonia e quando dici Patagonia due nomi fanno la storia di questa land: la Ruta 40 e il Glaciar Perito Moreno. Sfruttando il tramonto australe decidiamo di fare sosta a Bajo Caracoles, un pequeno pueblo sulla Ruta 40. Detto così potrebbe sembrare una sosta obbligata per dormire, in realtà no perché prima di questo agglomerato a sinistra si devia per Cueva de las Manos, Caverna delle Mani. Qui, sulle pareti di una gola attraversata del fiume Pinturas, sono disegnate scene di caccia, animali della land, figure geometriche e ovviamente mani. La datazione è stata stimata a circa 10.000 anni fa e apparterrebbero a popolazioni indigene che hanno vissuto in questo territorio. Nel 1999 questo sito archeologico è divenuto Patrimonio dell’Umanità.

 

Rientrati al pueblo non resta che rifornirci e poi restare tra le mura. Il vento fa sentire tutta la sua forza, a tratti l’idea che mi balena in testa è di essere nel classico paese del Far West, c’è sempre qualcosa che sbatte, di sicuro il sibilo del vento è l’unica cosa che non manca. Ci concediamo una cena a base di Cordero patagonico, poi andiamo tutti a nanna.

La Ruta 40 me l’avevano raccontata in tutte le salsa, off duro, vento che ti sbatte a destra e a sinistra, polvere quanta ne vuoi. Personalmente, nulla di ciò mi scompone, essere motociclisti vuol dire affrontare anche questi disagi. Con questo spirito ci mettiamo in marcia verso sud, vorremmo arrivare a El Calafate, ma vuoi l’impeto degli agenti atmosferici, vuoi le tante fermate per scattare una foto, una per una foratura e un’altra per distacco del cavo batteria causa le tante vibrazione per il terreno impervio, a sera non andiamo oltre Tres Lagos. Alle 10 c’è solo qualche cane che gironzola per il paese, fa freddo, consumiamo un pasto ad un osteria dove incontriamo operai che stanno costruendo la nuova Ruta 40 che sarà tutta asfaltata.

El Calafate è sinonimo di Perito Moreno, è tra le prime attrattive del pianeta, e anche il simbolo dell’Argentina. Con un fronte di 5 km e uno spessore di 60 m è un ghiacciaio in movimento, avanza di 2 mt al giorno per poi cadere a pezzi nel lago Argentino. Questo momento è quello che ogni turista vorrebbe immortalare. Per poterci arrivare, ci sono varie modi anche in moto come abbiamo fatto noi, altrimenti ci si può rivolgere a una delle tante agenzie di El Calafate che organizza escursioni.

 

Con la città alle spalle proseguiamo per la Ruta 3 che ci porterà di nuovo in Cile, per poi ritrovare la Ruta 40 e giungere a Punta Ares. Qui allestisco una piccola officina ai margini della via, proprio davanti all’hotel, per un’ultima manutenzione alla moto; faccio il cambio dell’olio e dei filtri. La stanchezza comincia adesso a farsi sentire; non manca molto alla meta ma mai abbassare la guardia, qualsiasi insidia può compromettere il viaggio.

Le emozione ma anche le contraddizioni non sono finite. Quando traghettiamo lo stretto di Magellano una riflessione viene spontanea: l’argentino che vuol viaggiare per Ushuaia lascia l’asfalto nella sua terra e ritrova la pista per tutto il Cile, per poi, fatta frontiera, ritrovare di nuovo l’asfalto. Quasi un sorta di ripicca che metabolizzerò due giorni dopo, dopo aver dormito a Rio Grande sull’Atlantico. Al mattino la prendiamo comoda, siamo coscienti che è l’ultima tappa. Dopo aver superato il Lago Fagnano e Paso Garibaldi, nulla a che vedere con l’eroe dei Due Mondi, si giunge ad Ushuaia. All’ingresso della città campeggia la scritta Bienvenidos che prendiamo d’assalto a suon di scatti fotografici, come cimelio dell’impresa. Questa è la città più a sud del Mondo, la Fine del Mondo. La parvenza di estremo ha innescato una competizione con i cileni, che non riescono a farsene una ragione, visto che il lembo di terra più a sud appartiene a loro. Ora è chiara la spiegazione di quei 100 km di pista che uniscono le Due Argentine con in mezzo lo stretto di Magellano.

Prima di stivare le moto nel container e spedirle in Italia ci concediamo un’escursione in catamarano sullo stretto di Beangle, dove famiglie di Pinguini e Orsi Marini popolano i vari isolotti.

Quando l’aereo decolla un flash mi riporta a Lima ovvero a 10.000 km prima. Provo un senso di emozione infinita, in effetti tante sono le cose viste e vissute nei 42 giorni di viaggio; Adios Ushuaia.

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