Storia di un lungo viaggio in moto negli USA, attraverso otto stati e 10.000 km percorsi.
testo e foto Giampiero Pagliochini
[wp_geo_map]Dopo 24 ore dalla partenza atterriamo a San Francisco, all’indomani girovaghiamo per Little Italy e il quartiere cinese fino all’estremità della città da dove si scorge il Golden Gate e il vecchio carcere di Alcatraz.
Arriva il momento d’incontrare Giulio, l’amico di scuola, siamo nel suo ristorante “Umbria” e guarda caso senza saperlo ritrovo Piero con famiglia, anche lui folignate doc, neanche ci fossimo dati appuntamento. I ricordi vanno e vengono; è l’una di notte quando si va tutti a nanna.
Arriva il giorno di prendere la moto, Michael, in classico stile yankee, ci consegna il 990. Non resta che puntare verso lo Yosemite Park, solcando strade a 3-4 corsie, con limiti di velocità che aleggiano come spauracchi.
Piazziamo la tenda vicino allo Yosemite Lake, un po’ caro ma non c’è alternativa, quelli interni al parco sono full. La moto dà la possibilità di spaziare in lungo e in largo così, per la felicità di Giulio, avvistiamo un orso, poi delle cascate spettacolari incastonate in mezzo alla foresta.
Quando lasciamo lo Yosemite Park la destinazione è la Death Valley. Sappiamo di andare incontro ad un caldo torrido; quando arriviamo a Stovepipe il termometro segna 44°, arrivati a Furnace Creek, 30 miglia più avanti, per la gioia di Giulio, si decide di sostare.
Il giorno dopo, sveglia presto per non farsi prendere dal caldo; superiamo Furnace Creek poi giù verso Badwater, uno dei punti più bassi della terra, -86 metri, non c’è ombra di turisti in giro se non due italiani, Giulio mi chiede di entrare nel lago salato, non si potrebbe, ma più che multarci non fare. Ci fermiamo per le solite foto di rito, la temperatura comincia a farsi sentire, 44°, usciamo da questo catino infernale e saliamo a Zabriskie Point dove si scorge un panorama che abbraccia tutta la land circostante, fatta di rocce che danno l’idea di onde. Proseguiamo per Dante’s Wiew da dove si ammira il monte più alto della vallata (1500m) e il punto più basso, quello del Badwater, la temperatura ora è di 34°; in pochi km dall’inferno al paradiso, altrimenti perché scomodare Dante?
Torniamo al nostro motel arsi dalla calura, per fortuna c’è la piscina e il condizionatore a palla.
All’indomani fuggiamo dalla Death Valley per Las Vegas, dove tutto ha del surreale, la calura del giorno rilega le persone alle piscine degli hotel, poi alla sera una marmaglia di persone si riversa sulla L. Vegas Blvd, neon scintillanti dai colori più strani, personaggi che impersonano miti del cinema e della canzone, ma si incontra anche chi predica contro l’opulenza e la vita sregolata, quasi un paradosso visto dove ci troviamo, ma gli States sono anche questo, come l’albergo pagato 50$ con prenotazione tramite internet per poi sentirci dire 400$ per un’altra notte.
Lasciamo Las Vegas per il Grand Canyon, trasferimento veloce che ci porta in Arizona. Il Grand Canyon si estende per un 400 km, con la parte nord che offre scenari visti mille nei film western. Prima di salire al nord scendiamo a sud verso Flagstaff, nostro luogo d’interesse è il Meteor Crater, tra i crateri più grandi del mondo, con una circonferenza di 4 km e circa 1800 mt di profondità, può ospitare 20 campi di football con 2 milioni di spettatori, a guardarlo dall’alto non dà questa idea, poi quando con il cannocchiale si riesce ad inquadrare la figura dell’astronauta in altezza reale nel punto centrale, ci si rende conto dell’enormità di questa buca, come dice Giulio. La sua conformità, simile al suolo lunare, fu la base per l’allenamento e le prove di sbarco della missione Apollo 11. Una capsula e un parete con tutti i nomi degli astronauti fa bella figura all’ingresso del cratere, unita ad una sala interattiva dove si può simulare un asteroide ed i suoi effetti sui pianeti. Un gioco da ragazzi che appassiona anche i grandi, e infatti abbiamo fatto tardi, prima di riprendere la strada verso Page, la cittadina al nord del Grand Canyon sorta sui lavori della diga che hanno dato origine al lago Powell.
Il paesaggio che ci accompagna durante il tragitto ricorda la Monument Valley che è situata più a nord, siamo nella terra degli Indiani, non più chiamati così ma “NATIVI AMERICANI”, non so se è una forma di riconoscimento a coloro a cui furono sottratte le terre o un modo per cancellare una volta per tutti l’appellativo INDIANO. Di fatto queste popolazioni vivono ai margini della società americana, in fatiscenti case con tetti di lamiera arrugginita.
Il lago Powel richiama un’enormità di turisti con al seguito imbarcazioni dalle misure sproporzionate, come lo sono i camper e le roulotte che spesso hanno come appendice al traino un autovettura, insomma vere case viaggianti.
Qui tutto va moltiplicato, meno il costo della vita compreso quello della benzina, che oscilla dai 60 ai 70 centesimi di €, per non parlare delle strade, senza buche e senza pedaggio, cosa che ha incuriosito anche Giulio facendomi notare questa contraddizione tutta italiana.
Smontata la tenda e caricata la moto puntiamo verso la Monument Valley, accompagnati da un sole primaverile scendiamo nella vallata. Siamo gli unici motociclisti a transitare tra i pinnacoli e le stranezze geologiche di questo luogo, le altre moto, tutte costum restano nel parcheggio. Nel mezzo della Monument, d’improvviso il cielo si fa cupo, pioggia unita a grandine ci costringe ad indossare l’antipioggia, poi tutto si placa e Giulio si prende i meriti: sulla scia delle leggende che ci sono giunte a proposito degli indiani, si è messo a danzare e io non ho potuto che assecondarlo, anche se mi sono sentito un poco scemo.
Mentre ci lasciamo alle spalle lo Utha ed entriamo in Colorado il paesaggio cambia radicalmente, ora ai nostri occhi si presentano praterie verdi con pascoli allo stato brado, saliamo di quota e l’aspetto è quello alpino con stazione sciistiche chiuse, naturalmente siamo in estate.
Dormiamo a Durango altra leggendaria città del Far West, poi di buon mattino si parte per Denver, a sera il contachilometri segnerà 362 miglia, mi stupisco di Giulio non dice mai di no, solo quando lo stomaco batte cassa allora diventa insistente per una fermata che plachi la fame.
Potrete incontrare Giampiero Pagliochini allo stand di MotoOnTheRoad Padiglione 6 Stand 23U