Ci sono luoghi, Paesi, territori che più degli altri si prestano ad essere mete privilegiate del motociclista. Itinerari che uniscono al piacere della guida anche forti motivi di interesse, naturalistici, storici, culturali, paesaggistici.
Agli immediati confini italiani esiste una piccola perla che appartiene a questa categoria, e siamo sicuri che siano in pochi, tra i lettori, a capire al volo di che paese si tratta.
Per questa ragione abbiamo deciso di dedicare a questa nazione una visita, da poter raccontare, un itinerario tra i molti che potrebbe offrire.
Il Paese di cui stiamo parlando è la Slovenia, un tempo particella di confine dell’ex Jugoslavia, oggi orgoglioso stato membro dell’Unione Europea. Due milioni di abitanti in un territorio ampio e assolutamente preservato dal punto di vista naturalistico: ecco la formula giusta per una vacanza tranquilla, divertente.
Un po’ come spesso accade nei ristoranti, soprattutto fuori dall’Italia, proporremo un “menu”, descrivendolo nel dettaglio, ma suggerendone anche altri, certi di incontrare l’interesse e l’approvazione di chi poi li proverà.
Ma andiamo con ordine: inforcata una divertente Kawasaki Versys (e quanto si sarebbe rivelata “divertente” l’avremmo verificato al meglio nel corso del viaggio) abbiamo coperto l’unica parte noiosa del viaggio: la lunga, diritta autostrada che porta al confine di Nova Gorica, la nostra porta per la Slovenia.
A chi ha già avuto modo di visitare questo Paese – e, più in generale, quelli che venivano chiamati “est europeo” – in un’epoca precedente alla loro entrata nell’ambito comunitario o, ancora precedentemente, nel periodo sovietico, resteranno colpiti al passaggio di quella che era la frontiera – oggi completamente smantellata – dirigersi al primo distributore e fare benzina (e acquistare la “Vigneta”, l’adesivo da mettere sulla moto che ci darà la possibilità di evitare i pagamenti casello per casello, 7,5 € per una settimana) pagando con l’Euro, la moneta europea, divisa monetaria ormai anche della Slovenia. Questa – ancora una volta – sarà senz’altro una piacevole sensazione, l’avvertire che, aldilà delle attuali differenze linguistiche, apparteniamo tutti ad un’unica popolazione dove non ci sono confini.
Fatto carburante (ad una media di dieci/quindici centesimi al litro in meno che in Italia…), identificato l’itinerario da percorrere per arrivare alla prima tappa del nostro viaggio, sistemata nella borsa da serbatoio la cartina con evidenziati i passaggi, si parte alla scoperta di questo micromondo diviso tra verde e azzurro appena aldilà del nostro estremo confine orientale.
Il paesaggio non ci mette molto a cambiare di aspetto, la strada (ottimo l’asfalto, nuovo e dal buon grip!) inizia a serpeggiare costeggiando le acque dell’Isonzo, la strada è larga, le curve non sono impegnative ma danno soddisfazione e la “kawa” inizia a farsi apprezzare per la maneggevolezza e lo spunto nei rari sorpassi che si rendono necessari.
Ogni incrocio con altre dueruote (non molto frequenti, per la verità) si suggella sempre con il rituale saluto, a differenza di quanto spesso accade a casa nostra, così come la correttezza degli automobilisti che, all’apparire del faro della moto, tendono a spostarsi leggermente a destra per agevolare il sorpasso, anche questa un’abitudine che, purtroppo, in Italia non è molto frequente.
I cinquanta chilometri tra Nova Gorica e Kobarid, la nostra prima tappa, scivolano quindi morbidi sotto le nostre ruote, con lo smeraldino delle acque del fiume ad accompagnarci nel percorso facendosi vedere, invitanti, qua e là. Il percorso stretto dalle rocce finalmente si apre in una ampia vallata. Ancora pochi chilometri ed è possibile identificare, su un’altura dominante il paese, la sagoma riconoscibile del sacrario di Sant’Antonio dove riposano le spoglie dei soldati italiani che persero la vita nella disfatta di Caporetto.
VISITA A KOBARID – CAPORETTO – vedi la gallery
La visita al luogo della Prima Guerra Mondiale dal nome forse più famoso per noi italiani, si esaurisce in un paio di ore al massimo, tra la visita al Museo e quella alle trincee restaurate nel “museo all’aperto” di Kolovrat, poi di nuovo in sella per proseguire verso il nord. Bisogna tornare di nuovo verso l’ingresso al paese per iniziare ad “attaccare” la salita morbida che in poco più di venti chilometri ci farà salire di circa duecento metri di altitudine arrivando ai 434 m.s.l.m. di Bovec, dove passeremo la notte.
La strada è esattamente come quella che ci ha portato a Caporetto: ampia, dal bell’asfalto e dalle curve morbide. Di nuovo ci si immette in una gola e il “Soča”, l’Isonzo, ci accompagna sulla nostra destra.
Siamo ancora lontani dal divertimento delle strette curve di montagna, ma è un percorso misto – curve ampie e qualche tratto quasi rettilineo – nel quale è possibile entusiasmarsi con una moto come la Versys, dove si può lasciar potenza al motore e godere di un percorso fluido, in diritto e in piega.
Bovec (ricordiamoci che in Slovenia la “c” senza altri segni va letta come “z”, quindi il paese si deve leggere come “Bovez”) è anch’esso un piccolo paese di mezza montagna, tranquillo e pulito come tranquillo e pulito è l’albergo che ci ospiterà, il Kanin, all’esterno del quale – come spesso capita di vedere in Slovenia – ci sono già parcheggiate alcune moto.
La sosta rappresenta la conclusione della prima giornata di viaggio: la tappa successiva inizierà a segnare la parte più entusiasmante per un motociclista.
È bene non partire troppo tardi per godere delle ore di miglior luce salendo ad una delle due montagne che affronteremo, il Mangart, una specie di balconata che offre una visione sulla sottostante pianura dove sono incastonate le splendide acque – italiane, questa volta – dei laghi di Fusine, vicino a Tarvisio. Ma è bene procedere con ordine.
Il nostro itinerario prevederebbe di doverci dirigere verso Kranjska Gora, località resa celebre per le gare di Coppa del Mondo di sci, e per far questo ci sarà da superare un passo posto a 1600 metri, Vršič. Ma la strada migliore spesso può prevedere piccole varianti….
In questo caso la “piccola” variante è una digressione che in poco più di venti chilometri ci porta fino ad una sorta di belvedere posto agli oltre 2000 metri del Mangart.
Il primo tratto di strada – una decina di chilometri – ci fa uscire dall’abitato di Bovec e ci fa iniziare la “scalata” verso la cima. La strada, anche se non è più larga come quella che ci ha portato fin qui, è comunque bella, i primi tratti sono proprio rettilinei, ma è bello percorrerli a velocità turistica sfruttando l’elasticità del motore della Versys, con il casco in versione “jet” per godere dell’aria e del sole sul viso, guardandosi anche un po’ in giro.
Pochi chilometri, comunque, e poco prima del Castello di Kluže iniziano le vere curve e la vera “arrampicata”.
Anche sotto il sole si sente l’aria che, salendo, si rinfresca, il traffico qui è costituito soprattutto da altri motociclisti o da ciclisti, le auto non sono molte e, quando ci sono, lo spunto della nostra Kawasaki ci permette di lasciarle indietro agilmente. Del resto – come abbiamo già rilevato nei pochi chilometri fatti fin qua in Slovenia e come verificheremo nel prosieguo dell’itinerario – la maggior parte degli automobilisti locali quando si trova le luci di una moto nello specchietto si adoperano per lasciar lo spazio per un sorpasso in sicurezza.
Una decina di chilometri, si passa un ponte e si arriva ad un bivio: prendendo la sinistra si torna in Italia, alle Cave del Predil, a destra invece inizia la vera salita al Mangart, qui la strada si fa più stretta, lo scarso traffico si dirada ulteriormente e… il divertimento aumenta.
Curva dopo curva la strada si inerpica, salendo sulla costa della montagna, spesso immersa nell’ombra del bosco, finché non si arriva ad una sorta di “casello” dove una gentilissima signorina farà capire che, se si vuole proseguire, bisognerà “cacciare” un obolo di 5 euro.
Poco oltre la strada si “apre”, perdendo la vegetazione e rivela, anche attraverso le gallerie che sembrano quasi scavate a mano, la sua origine di ex strada militare. Il fondo non è più tanto bello, ma c’è da aspettarselo da un asfalto che, portando fino agli oltre 2000 metri della sella, subisce forti sbalzi termici nel corso dell’anno. Si alternano così, tratti dove il fondo stradale è bello ad altri dove è rovinato o, addirittura, in un paio di punti, è addirittura assente, costringendo brevissime divagazioni in stile crossistico.
In ogni caso, tra il panorama e il percorso questo tratto è realmente entusiasmante e il numero delle moto che si incrociano lungo questa stretta strada è più efficace di qualunque dimostrazione.
Arrivati al sommo del percorso una serie di spiazzi costituisce il parcheggio naturale, e il numero di veicoli presenti – auto e moto – è un chiaro segnale della popolarità di questo balcone sull’Italia. Sì perché, lasciata la moto e saliti i pochi metri per arrivare al limite della parete strapiombante, il colpo d’occhio sui laghi di Fusine, specchi d’acqua smeraldina anch’essa alle porte di Tarvisio, è veramente spettacolare e i circa mille metri di dislivello sulla verticale del territorio italiano tolgono il fiato.
Il Mangart naturalmente non è solo questo: non sono pochi quelli che prendono la via del sentiero che li condurrà – con una “passeggiata” impegnativa – alla vetta della montagna, ma il nostro giro deve proseguire: dobbiamo scendere e risalire verso un altro passo. Il tour continua!
Anche in discesa, su questa strada stretta finché non si arriva al “casello” che abbiamo passato entrando in questo parco, la Versys si dimostra maneggevole e divertente, ormai il percorso l’abbiamo un po’ memorizzato in salita e là dove dietro una curva ci sono pezzi di strada che ci mostrano l’assenza di altri veicoli e sappiamo che l’asfalto è buono le pieghe diventano sempre più divertenti.
Ritornati praticamente quasi fino a Bovec arriviamo finalmente al bivio dove, prendendo a sinistra, ci dirigiamo verso il passo di Vršič. Bisogna aggiungere che lungo l’itinerario vale la pena fare anche una piccola tappa per rinfrescarsi con qualche tuffo in alcune piscine naturali formate dal corso dell’Isonzo, rimettendoci in viaggio così rigenerati…
La salita al passo inizia. I cartelli indicano il numero totale di tornanti che la strada offrirà sui circa venti chilometri del percorso: 50 è il numero totale, distribuiti su tutti e due i versanti. Salendo dalla parte della valle dell’Isonzo la quota di partenza è attorno agli 700 metri e la pendenza media è quasi del 10% con punte del 16%, una strada quindi che fa vivere una vera “arrampicata”.
Capita, salendo, di incontrare molti ciclisti che hanno dato la scalata al passo e si può solo essere solidali con lo sforzo che, con tutta evidenza, stanno dedicando alla salita.
Questa strada è nata anch’essa come strada militare nella prima guerra mondiale e, scendendo dall’altro versante, abbiamo la sorpresa di trovare che l’asfalto in molti tornanti viene sostituito da cubetti di porfido che non invitano ad essere troppo confidenti sul loro grip nelle curve, per cui la prudenza si impone.
Arrivati ormai a valle una breve sosta per ammirare (da fermi) il gruppo montuoso che abbiamo appena scavalcato si impone, e sono diversi i viaggiatori che si soffermano per scattare una foto o anche solo per far sgranchire le… zampe al loro amico peloso…
Poco più di 40 chilometri di strada bella ci separano da Kraniska Gora, paese ai piedi di montagne importanti per il “Circo Bianco” che si ferma qua per un “gigante” e uno “speciale” della Coppa del Mondo. È comunque un paese senz’altro più interessante nel periodo invernale che in quello estivo, in compenso da qua la strada torna ad allargarsi e la velocità di rotta può aumentare un po’ mentre ci dirigiamo verso la tappa successiva: il lago di Bohinj.
Per raggiungere il paese faremo anche un breve tratto autostradale, uscendone a Lipce. Qui di solito si consiglia di passare per Bled, una delle tappe del nostro itinerario, noi invece abbiamo preferito, anche per non rifare la stessa strada due volte, seguire un itinerario alternativo che ci ha fatto passare in mezzo alle campagne e ai boschi.
Si tratta di seguire le indicazioni prima per Spodnje Gorje, quindi seguire i cartelli che indicano Krnica, Gorjuše, Jereka, Bohinjska Bistrica, a questo punto con un tragitto di poco più di venti chilometri saremo (quasi) arrivati alla nostra meta, Ukanc, sul lago di Bohinj.
La strada, come si è detto è divertente: traffico quasi inesistente, un misto curve e rettilinei dove si può lasciar scorrere la moto in scioltezza, buon asfalto… ecco, l’unica accortezza è tener presente che queste strade non è molto che sono state asfaltate e, soprattutto nei boschi, può capitare di passare senza preavviso dall’asfalto allo sterrato, magari per poche centinaia di metri, ma per il resto è un bel percorso alternativo.
Arrivati a Bohinjska Bistrica ci rimangono solo una decina di chilometri per arrivare alla meta finale, Ukanc, dove peraltro la strada termina, dove potremo passare la notte all’hotel Zlatorog per dedicarci ad una passeggiata verso uno dei luoghi più suggestivi di questo itinerario: la cascata Savica, 78 metri di caduta cui si arriva con una “arrampicata” di una ventina di minuti lungo gli scalini predisposti nella foresta.
VISITA ALLA CASCATA SAVICA – vedi la gallery
Dopo i percorsi della giornata la salita alla cascata è meglio lasciarla alla mattina, anche perché è il momento in cui le acque sono meglio illuminate dal sole. Una visita da fare al mattino prima di rimettersi in viaggio per la prossima tappa: Bled.
to be continued…
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GALLERY BOVEC
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