Il nostro Francesco Corsini (Franz) fiorentino DOC, ci svela alcuni aneddoti di una Firenze segreta, ma a portata di tutti i visitatori
Arte, Storia, Cultura, buon cibo e belle strade, la culla del Rinascimento, coi suoi monumenti e i suoi musei, è una meta classica per i motoviaggiatori di tutto il mondo. Il nostro Franz, che nel capoluogo toscano ci è nato e ci vive, vi invita a parcheggiare e vi porta a spasso per il centro, alla scoperta di piccole storie di una Firenze segreta.
Firenze è una roba che quando ci cammini dentro lo devi fare a testa alta. Per l’orgoglio di essere nato in mezzo a tanta bellezza ma anche perché a guardarsi i piedi si perdono pezzi di storia. Piccoli particolari, a metà tra leggenda e realtà, che forse non tutti conoscono.
La Berta
Santa Maria Maggiore, a metà strada tra la stazione e il Duomo, è una delle chiese più antiche di Firenze. Tutt’intorno negozi, alberghi, autobus. E lassù in alto la “Berta”.
La chiamano così ma nessuno sa bene chi sia. Sta lì da prima dell’anno mille, ha visto passare i Lanzichenecchi, Dante, Lorenzo il Magnifico, il Granduca Leopoldo, Garibaldi, La Pira, Benigni, e pure il sottoscritto, e lei sempre lì isolata, misteriosa. Pare fosse una popolana che si affacciò da un pertugio della torre al passaggio di un condannato al rogo, ingiuriandolo: “Non dategli da bere, sennò non brucia!”. E lui, che già gli giravano e tutto sommato aveva poco da perdere, le rispose per le rime: “Ma vaffanculo brutta stronza, tu possa rimaner pietrificata costassù!”.
Oh, funzionò.
Il Perseo
Fatevi largo tra i turisti e andate sotto la Loggia dei Lanzi in piazza della Signoria, al cospetto del Perseo. Lavorare in fonderia non è una passeggiata oggi, figuriamoci nel 1500. Benvenuto Cellini ci sputò sangue per fondere la statua in un unico blocco, racconta lui stesso che a un certo punto si scatenò un temporale che fece abbassare la temperatura, e per consentire che il metallo rimanesse liquido buttò nella fornace tutti i mobili e le pentole di casa sua. Il risultato è il capolavoro che tutti conosciamo.
Aspettate, non allontanatevi: sul petto ha una fascia con inciso il nome dell’artista. E fin qui… Ma gli artisti sono estrosi e pure un po’ megalomani, e Cellini mica si poteva accontentare di metterci una semplice firma. “Per evitare ogni dubbio che l’abbia fatto io ci metto anche il mio autoritratto!”.
Salite sulla Loggia e andate dietro la statua. Guardate la nuca, l’elmo alato e i capelli che ne fuoriescono. Se nelle giornate assolate la luminosità del cielo vi creasse difficoltà, traguardatela attraverso le gambe della statua posta alle spalle del Perseo, il gruppo di Polissena, che vi farà da schermo. E vedrete apparire…
E’ lui o non è lui?
Lì a due passi c’è un altra storia particolare. Una storiella anzi, piccola piccola, trenta centimetri scarsi che sono lì da qualche secolo a portata di mano di chiunque, eppure i turisti tutto il mondo ci passano accanto ignari, e magari la fotografano da lontano senza saperlo.
Narrano le cronache che lui passasse di lì per caso, e avendo in tasca martello e scalpello così come noi abbiamo il cellulare, si divertì a riprodurre in quattro e quattr’otto il volto di un usuraio condannato alla pubblica gogna. Altri dicono che fu il risultato di una scommessa con amici che lo sfidarono a dare dimostrazione di bravura picchiettando sulla pietra alla cieca, con le mani dietro la schiena. Storia o leggenda? La verità è che nessuno sa di chi sia quel volto e chi lo abbia realizzato, ma ai fiorentini piace credere che lo scalpellino fosse proprio lui: Michelangelo.
Lo sberleffo
Da piazza della Signoria andate verso il Duomo e seguitene il perimetro sul lato sinistro della facciata. All’altezza di via de’ Servi, alzate lo sguardo verso il cornicione lungo la fiancata della cattedrale, più o meno in corrispondenza della fila di turisti in coda per salire sulla cupola. Su in alto vedrete una testa di mucca. Strano, che ci fa una mucca su una chiesa? La versione ufficiale dice che sia un omaggio agli animali che con la loro fatica contribuirono al trasporto dei materiali da costruzione. Voce di popolo invece vuole che quella testa cornuta e rivolta verso la bottega di un macellaio (o di un fornaio secondo alcuni) sia stata messa lì da un capomastro o addirittura dal Brunelleschi stesso, che del bottegaio si trombava la moglie. Lo sapete, da queste parti prendere per il culo è un’arte.
Messer Filippo
Fate altri due passi, ripassate davanti alla facciata e andate sull’altro lato, oltre il campanile di Giotto. Lungo la strada, in una nicchia del palazzo dei Canonici, c’è una statua ottocentesca del Brunelleschi. E’ a naso all’insù che guarda la sua cupola, e gli manca solo il fumetto: “O fatela voi un’altra così se vi riesce!”. Già, perché messer Filippo l’ha tirata su con una tecnica, di cui non ha lasciato scritti o disegni, che ancora oggi è oggetto di studi per scoprire il mistero di quel miracolo architettonico.
Grilli
Continuate a osservare la base della Cupola, noterete che su uno solo dei lati del tamburo ottagonale che la sorregge c’è un ballatoio in marmo. E gli altri sette? Pare che tal Baccio d’Agnolo, il marmista, chiese un parere allo scalpellino di prima che passava di lì: “Allora icché te ne pare?”
“Bel troiaio, pare una gabbia pe’ grilli!” rispose Michelangelo, incazzoso come sempre e noto per non mandarle certo a dir dietro. Baccio poverino ci rimase male, e di fare gli altri sette gli passò la voglia.
Occhio a dove si parcheggia
Ormai siete sul lato posteriore della cattedrale, guardate in terra stavolta, e vedrete che sulla grigia pavimentazione c’è un disco di marmo bianco. Allontanatevi, non si sa mai: fu esattamente lì che il 27 gennaio del 1601, colpita da un fulmine, cadde la palla che stava sulla sommità della lanterna della cupola. Due metri di diametro e venti quintali di rame, se ci avete parcheggiato la moto spostatela più in là, date retta.