In moto lungo i set cinematografici utilizzati per la serie televisiva del Commissario Montalbano, con la sorpresa di conoscere di persona Luca Zingaretti
“Pronto, Montalbano sono!”
Era il maggio del ‘99 quando la tipica frase pronunciata al telefono dal commissario Montalbano nato dalla prolifica penna di Andrea Camilleri entrò per la prima volta nelle case degli italiani. A dire il vero c’era già entrata tanto tempo prima grazie ai romanzi, ma, diciamolo, in molte meno case.
Da quel giorno 30 puntate spalmate in oltre 15 anni di programmazione hanno fatto della serie del Commissario Montalbano una delle più fortunate nella storia delle fiction televisive. Merito di produttori e registi, merito della bravura di un grande Luca Zingaretti, merito della caratterizzazione di tutti i personaggi di contorno, dalle spalle abituali fino all’ultima delle comparse, ma soprattutto merito della vera assoluta protagonista della serie, presenza fascinosa, costante, onnipresente e mai ingombrante: la Sicilia. O meglio, quella parte di Sicilia, nel sud più profondo in cui si estende la provincia di Ragusa, che lungimiranti amministratori locali e produttori della Palomar hanno pensato bene di valorizzare sfruttando al meglio le potenzialità del mezzo televisivo, riuscendoci così bene che oggi luoghi immaginari come Vigàta e Montelùsa vengono cercati su Google Maps o impostate sui TomTom. Invano ovviamente.
Nonostante nei romanzi Camilleri collochi il fulcro delle sue storie tra Agrigento e Porto Empedocle, nella fiction il paesaggio che incornicia le vicende del commissario Montalbano è quello che va da Vittoria fino quasi a Siracusa, passando per Comiso, Ragusa, Modica, Scicli, Ispica, Noto, e poi giù fino a Porto Palo di Capo Passero. Ed è verso quelle zone che abbiamo puntato la prua della nostra moto.
La nostra base, dalla quale poi ci muoveremo a raggiera giorno per giorno, è il centro di Ragusa; se si esclude la recente apertura dell’Aeroporto Pio La Torre di Comiso, ancora oggi per raggiungere dal continente questo lembo di terra l’unica è arrivare – in treno, auto o aereo – a Catania, e da qui inoltrarsi per vecchie statali che si innestano le une sulle altre, sino a penetrare il territorio che coincide con l’altopiano ibleo. La ss 194 Catania – Ragusa, pur veloce, è immutata da decenni, le ampie curve anche, i panorami pure (pale eoliche a parte), il traffico pesante su gomma la fa da padrone e i sorpassi non sempre sono agevoli, e i buoni propositi per il raddoppio di carreggiata si sciolgono come neve al sole alla fine di ogni campagna elettorale.
Vero è che con molta probabilità è stato anche l’isolamento che ha preservato questo angolo di Sicilia dagli aspetti negativi dello sviluppo “industriale” siculo; da queste parti non si vedono ciminiere e raffinerie (come ad Augusta, Priolo, Gela), solo qualche brutto casermone non finito. Ovunque, nei centri storici, il Barocco domina (il terremoto del 1693 ha spazzato via tutto quello che c’era prima) e la modernità è quella vintage degli anni ‘60-‘70. L’economia è sostanzialmente rurale ma non retrograda; i vini e le produzioni di qualità, l’ortofrutta, il latte viaggiano a livelli quantitativamente e qualitativamente altissimi, vista dall’alto stupisce l’immensa distesa di serre che occupa il territorio, l’enogastronomia di questo territorio è d’élite, basti pensare al gran numero di chef e ristoranti stellati di queste parti. Che comunque eviteremo.
La Sicilia ti contagia immediatamente col suo tempo lento, manca la componente fretta, programmare un qualsiasi orario con qualcuno necessita esercizio di elasticità, l’agitazione si scontra col nulla, come la corrente di un fiume all’incontro con la placida immensità del mare. Siamo alloggiati nel centro città di un capoluogo di provincia, e certo parcheggiare un’auto non sarebbe semplice nemmeno qui, ma la vita e i rumori sono quelli di paese, sono le grida del venditore ambulante di frutta e verdura, sono voci e bambini che giocano la sera sulla rotonda che si affaccia sulla cava S. Leonardo.
Tiriamo fuori la moto dall’ampia rimessa messaci a disposizione dai disponibilissimi titolari della casa vacanze dove siamo alloggiati; ci piace pensare che ancora negli anni ’50 un “massaro” ragusano, nei giorni di festa, vi riponeva il carretto con il quale viaggiava dalla campagna al nuovo alloggio cittadino. La nostra prima meta non può che essere la ormai mitica “casa di Montalbano”, immortalata praticamente in ogni puntata della fiction, un tempo adibita a rimessa di attrezzi, trasformata in abitazione nei primi del ‘900, e oggi rinomato bed & breakfast.
Come si fa a descrivere un odore? Sembra facile, basta paragonarlo a qualcosa di noto e ci si affida all’esperienza di chi ascolta, ma in realtà non è semplice per niente. Che odore ha una rosa? E che ci vuole, profuma di… rosa. Grazie, ma vai a spiegarglielo a un marziano. Ragusa si trova alla sommità di un altipiano a circa 600 metri di altitudine, motivo che la rende particolarmente fresca e ventilata anche in estate; la sp 25 che la unisce al mare è un lungo stradone, più dritto della corda di una chitarra, che scende dolcemente per oltre 20 km. Appena usciamo dalla città e cominciamo a planare attraverso una campagna costellata di rotoballe, masserie e muri a secco, si avverte netto un particolare odore inconfondibile e indescrivibile, è un misto di timo e origano selvatico, erba secca e aliti di mare, retrogusto di caglio, e poi di stalla, con lo sterco di mucca che per qualche ragione atavica invece di risultare disturbante ci riporta a qualcosa che ha a che fare col passato.
Scendiamo verso il mare, dicevamo, e arrivati a Marina di Ragusa prendiamo a destra verso Punta Secca, impossibile sbagliare strada, così come altrove sono indicati i santuari o i monumenti ai caduti, lì la segnaletica non lascia dubbi: “Casa del Commissario Montalbano”. Le finestre ad arco e il mitico terrazzino affacciato direttamente sul mare sono ormai meta di pellegrinaggio, famiglie in posa, comitive organizzate, selfie come se non ci fosse un domani, i negozi di souvenir, bar e gelaterie accolgono volentieri i turisti, questa minuscola miracolata frazione di un centinaio di anime produce da sola il pil della Val d’Aosta.
C’è da dire che il luogo meriterebbe a prescindere, la spiaggetta antistante la casa e quelle vicine (Caucana su tutte), dominate dal faro e dalla Torre Scalambri, un tempo punto di avvistamento e oggi frequentatissimo locale, offrono mare pulito e tramonti da cartolina.
Ci facciamo una nuotata in pieno stile Montalbano, ormai siamo rapiti dalla fiction, ci sembra proprio di vederlo sulla veranda che risponde alla telefonata di Catarella che gli annuncia che qualcuno lo aspetta in commissariato per vederlo di persona personalmente. Allora ci immedesimiamo e lo seguiamo virtualmente mentre con la sua scalcinata Fiat Tipo va da Marinella verso Vigàta, ehm cioè, volevamo dire, da Punta Secca a Scicli.
testo e foto di Francesco Corsini
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