di Davide Bacciotti e Claudio Resta
[wp_geo_map]Un viaggio non è solo un attraversamento di luoghi,una visione di paesaggi,ma è anche la conoscenza, seppur superficiale, di popoli e genti. Un viaggio come questo,in territori che portano ancora le cicatrici di conflitti e tensioni recenti,è anche e soprattutto un viaggio nei rapporti tra persone,così vicine e così diverse tra loro.
Un viaggio tra uomo e uomo nel quale noi, sostenendo l’asilo di Betlemme, non abbiamo voluto essere solo spettatori.
Il 14 ottobre con l’aereo atterriamo a Mersin, nel sud est della Turchia. E’ notte e l’aria è calda, l’esatto contrario di come l’avevamo lasciata a casa. Abbiamo preferito spedire le moto in container per guadagnare tempo, diversamente avremmo dovuto attraversare i Balcani e poi la Turchia, oppure traghettare in Grecia. In ogni caso sarebbero stati necessari almeno tre giorni di viaggio in più. Come sempre le pratiche doganali sono lunghe ed estenuanti.
L’agenzia alla quale ci siamo affidati fa il possibile per consegnarci velocemente le moto ma, tra uffici che pretendono bolli e visti, pause caffè e poi pause pranzo, riusciamo ad aprire il container solo alle quattro del pomeriggio.Fra un’ora sarà buio, così la giornata è andata . Anche quest’anno (l’anno scorso in Namibia e prima ancora in Mali) ci siamo proposti di abbinare al viaggio un’iniziativa umanitaria e, conosciuto Don Peppino Barbesta, padre spirituale dell’Associazione Lavoratori Credenti di Lodi, la scelta è caduta sull’asilo da lui voluto e costruito nel campo profughi di Aida, alle porte di Betlemme.
Per dare maggior risalto e visibilità alle nostre iniziative abbiamo dato vita a un team e a un sito Internet www.raidforaid.com e interpellando amici, bussando a più porte, e mettendo in atto varie iniziative siamo riusciti a raccogliere i fondi (euro 10.000) che verranno utilizzati per completare “ l’asilo di Betlemme”.
Quest’anno oltre a Cristina, Roberto, Adrasto e Claudio, miei storici compagni di viaggio, all’avventura si è aggiunto Don Silvio, sacerdote motociclista di Piacenza della parrocchia di San Lazzaro: ulteriore elemento di curiosità. Il mattino successivo, finalmente, premiamo lo start e il viaggio, almeno quello motociclistico, può veramente iniziare. Viaggiamo in direzione nord est, verso il biblico monte Ararat, che da qui dista “ solo” 1200 km. Dal livello del mare la strada, seppur impercettibilmente, sale costantemente.
Ci troviamo così a costeggiare le rive del lago di Van, un vero mare interno fiancheggiato da cime imbiancate di neve. Lungo la strada il traffico è scarso e solo la presenza di numerosi cantieri ci costringe a rallentare la marcia e ad affrontare lunghi e pericolosi fuoristrada di terra che in caso di pioggia sarebbero diventati degli scivolosissimi pantani. Entriamo in territorio curdo, e la presenza dei militari turchi diventa un’abitudine. Lungo il nostro percorso incontriamo numerose caserme, ex check-point e camionette blindate. Superiamo un paio di passi a quasi 3000 metri poi, appoggiato su una vasta pianura, isolato e maestoso, vediamo il monte Ararat. La cima, con i suoi 5000 e più metri, eternamente imbiancata, è coperta da nubi.
Arriviamo a Dogubayazit, una cittadina ai suoi piedi famosa, oltre che per la vista e i trekking sull’Ararat, anche per l’ Ishak Pasa Sarayi, un palazzo che, adagiato su una rupe a pochi kilometri dal paese, riassume in sé tutte le caratteristiche del palazzo delle 1000 e una notte. Saliamo alla costruzione per un primo reportage fotografico poi, non contenti, Silvio, Roberto ed io, la mattina successiva ci svegliamo prima dell’alba e alle sei siamo nuovamente sulla rupe dell’ Ishak Pasa Sarayi per goderci lo spettacolo del sorgere del sole. Questa mattina l’Ararat è completamente sgombro da nubi, uno spettacolo tanto insolito quanto grandioso. È il punto più a est di questo viaggio: l’Iran dista appena 43 km. In questi primi giorni, dove altitudine e latitudine potevano crearci qualche problema climaticamente, siamo stati fortunati.
Da oggi scendiamo verso sud, verso il deserto siriano dove non piove da anni. Riprendiamo il viaggio e incontriamo una coppia di strampalati motociclisti olandesi. Stanno viaggiando “ solo” da un paio di mesi. La loro meta? “ Solo l’Australia!”. Nella marcia di avvicinamento alla Siria attraversiamo la valle del Tigri le cui sponde sono punteggiate da tanti piccoli paesi con numerose abitazioni scavate nella roccia. : una Cappadocia in miniatura .
Molte di queste antiche cittadine, tra cui la splendida Hasankeyef, rischiano oggi di scomparire a causa di un progetto che prevede la costruzione di una grande diga. Un progetto che stravolgerà la geografia della regione, oltre che la vita e le abitudini dei suoi abitanti.. Oggi le autorità locali, e anche molte organizzazioni internazionali, si stanno adoperando per salvare questo piccolo patrimonio riuscendo, per ora, a rimandare l’inizio dei lavori. Attraversiamo un territorio poverissimo: l’industria è inesistente, i proventi della regione arrivano solo dai pochi turisti che si spingono fin qui e l’agricoltura, in una terra arida, soddisfa appena il bisogno personale.
Arriviamo alla dogana siriana e, mentre compiliamo vari moduli e passiamo in rassegna più uffici pagando balzelli non precisati, sfilano davanti a noi persone dall’età indefinita. Uomini e donne dai visi segnati, dall’incedere lento e incerto, dai volti tristi e rassegnati.Mi riesce difficile pensare che qualcuno riesca ad uscire da una realtà fatta di piccoli villaggi isolati, dediti principalmente all’allevamento, dove la scuola più vicina si trova a 100 km e il primo ospedale forse a 300. Una vita i cui confini sono ben definiti e spesso non più lontani di quanto si possa andare a piedi.Quando riprendiamo il viaggio arriviamo a Palmyra, il più importante sito archeologico del Paese.
Una visione in mezzo al deserto : restiamo tutti a bocca aperta. La strada si snoda a fianco delle rovine romane lambendo il tempio di Bel, la lunga via colonnata e lo splendido teatro, fino ad arrivare alle pendici del castello ottomano che, adagiato sulla sommità di una collina, domina la valle e la città sottostante offrendo un panorama di straordinaria bellezza. Durante il tour nel sito archeologico conosciamo un simpatico motociclista spagnolo, Alvaro. L’abbigliamento è alquanto singolare e molto poco tecnico, la moto è una rabberciata stradale che ha visto sicuramente tempi migliori. Eppure, alla faccia delle apparenze, sta girando in Medioriente da circa sei mesi ed è appena arrivato dall’Iraq! Viaggiando in questo modo si incontrano personaggi incredibili: a volte squinternati e squattrinati avventurosi che sbarcano il lunario in giro per il mondo, altre volte uomini stanchi dell’ordinarietà che si prendono una lunga pausa di riflessione. In ogni caso persone stimolanti, che escono dal guscio, e che accrescono, in noi viaggiatori, la voglia di conoscere e di esplorare.
Nel nostro pellegrinaggio mediorientale visitiamo anche il Krak dei Cavalieri, una maestosa fortezza crociata, poi entriamo in Libano dove ci aspettano Assaad Boutanos e Ziad Addad, due vecchi compagni di seminario di Don Silvio. Assaad è oggi un civile che lavora presso l’ambasciata italiana a Beirut mentre Ziad, presi voti, è il Padre Superiore della casa dei Vincenziani di Beirut, dove siamo ospiti nel nostro soggiorno libanese.
Per due giorni lasciamo le moto in garage e giriamo nel piccolo e martoriato Libano in compagnia di questi nuovi splendidi amici. Visitiamo Byblos, meta del jet set internazionale negli anni 60, Baalbek , una splendida città romana, la valle della Bekaa, balzata alle cronache perché controllata da hezbollah, il gruppo paramilitare autonomo che oppone resistenza a Israele, e il parco della foresta dei cedri, il cui albero millenario è presente anche sulla bandiera nazionale. I nostri amici ci raccontano di come, negli ultimi decenni, il Libano sia stato teatro di continui conflitti.
Eppure non si vedono le ferite della guerra. Beirut è piena di alberghi, tutti nuovi, di grandi palazzi moderni, di attività commerciali e di vita. Moltissimi, giovani e meno giovani, animano le vie della città nelle ore serali. Solo dalla presenza dei numerosi check-point e dei militari si capisce quanto sia instabile la pace. Quando lasciamo Beirut, diretti a Damasco, Ziad ci fa un ultimo regalo chiedendo ospitalità per noi nella casa dei Vincenziani situata nel cuore della capitale siriana. In Siria le foto di Bashar Al-Asad, l’attuale presidente e figlio di Hafiz Al-Asad , presidente dal 1970 al 2000, anno della sua morte, campeggiano ovunque cercando di mostrare in lui un uomo amichevole, benevolo e lungimirante.
Anche a Damasco, in mezzo al traffico caotico, emergono i cartelloni della propaganda. Oggi, a pochi mesi di distanza, quegli stessi cartelloni sono travolti, come buona parte del mondo arabo, da un vento nuovo che mette in discussione l’amicizia, la benevolenza e la lungimiranza dell’uomo di potere. Nel nostro passaggio non ci siamo accorti di nulla. Niente lasciava presagire quanto oggi sta accadendo. Parlando con la gente non abbiamo riscontrato insofferenza, anzi, in più di un’occasione ci è stata evidenziata la “grandezza” della Siria.
Tornando al viaggio, Damasco è una città antichissima nel cui centro storico, circondato da mura, sono racchiusi i principali tesori. In molte città arabe, e anche qui, i campanili delle chiese svettano al fianco dei minareti, ma solo una voce si libra nel cielo alle sei del mattino: quella del muezzin,” la concorrenza” come la chiama Silvio, che regolarmente ci dà la sveglia.
Di Damasco ricorderemo sicuramente la grandiosa moschea degli Omayyadi, il caratteristico mercato coperto (suq), dove ci siamo piacevolmente persi tra le vecchie botteghe, e la gente, sempre disponibile, sorridente e cordiale.
È lontano lo stereotipo che molti, in occidente, hanno del mondo arabo.
Probabilmente anche qui, come a casa nostra, ci sono diversi tipi di persone e accomunarle tutte in un’unica matrice è sicuramente sbagliato. Lasciamo Damasco e la Siria ed entriamo in Giordania. Attraversiamo Amman, la capitale, percorrendo l’autostrada che ad un certo punto si infila proprio nel centro cittadino con tanto di semafori, attraversamenti pedonali e ingorghi. Un inferno, esattamente come Damasco. Quando ne usciamo e riusciamo ad imboccare la Kings Road , la strada alternativa all’autostrada che taglia il Paese da nord a sud, ci immergiamo immediatamente in una realtà completamente diversa. Il paesaggio è desertico, la realtà rurale.
La strada, scivolosissima, corre su un altopiano affacciato sul Mar Morto e quando se ne discosta lambisce un profondo canyon che regala scorci veramente suggestivi. Dopo tanti rettilinei finalmente troviamo un po’ di curve e saliscendi.
Vorremmo regalarci qualche piega al limite dando un po’ di gas, ma l’asfalto brilla in controluce come un pavimento appena lucidato, e così la prudenza ci induce a guidare in… punta di acceleratore! Giungiamo a Petra, la perla della Giordania, che ormai è notte. Cerchiamo le camere in qualche albergo, ma sembrano tutti pieni. Ci spiegano che è alta stagione e che sono tutti esauriti. Sembra impossibile, ma al settimo tentativo cominciamo a ricrederci. Mentre ci incamminiamo verso le moto e cominciamo a pensare di passare la notte sotto le stelle, si avvicina un tassista che ci propone l’appartamento di un fantomatico cugino. Non abbiamo molte alternative e un po’ malincuore, conoscendo questo tipo di personaggi (che puntualmente cercherà di spillarci altri soldi), affittiamo per una notte “ l’appartamento”. Il mattino successivo, di buon’ora, arriviamo all’ingresso del sito archeologico di Petra. Ero stato qui 13 anni fa e immediatamente mi rendo conto che, rispetto al passato, ci sono molti più turisti.
La città offre scorci spettacolari e le tombe, scavate nella roccia, sono effettivamente maestose. Tuttavia credo che Petra offra il meglio di sé nel siq, il lungo e stretto canyon che introduce alla città, e che crea un’atmosfera suggestiva alimentando l’attesa di scorgere, alla fine del percorso e tra le fenditure della roccia, El Kezneh, la tomba più famosa e fotografata al mondo. Per la prima volta, dopo tanti giorni, passeggiando tra le rovine, sentiamo altre persone parlare in italiano. I turisti vengono accompagnati nel sito dalle guide, e per chi è stanco o ha problemi di mobilità ci sono cavalli che tirano carrozze, asini e cammelli… ma allora la prossima volta entro in moto !!! Nel 1997, la prima volta che sono stato a Petra, c’erano due ragazzini che, con una bancarella improvvisata, vendevano bottigliette di sabbia, e più in là una bambina vendeva scatolette di metallo veramente artigianali. Oggi ci sono almeno una ventina di bancarelle e negozietti i cui prodotti, di qualità indubbiamente migliore, sembrano comunque tutti uguali. Uguali anche a quelli che potremmo trovare in qualche mercatino etnico vicino a casa.
Nel pomeriggio riprendiamo le moto e andiamo verso il deserto di Wadi Rum.
Mentre ci avviciniamo nella mia mente scorrono le immagini del kolossal omonimo che, all’inizio degli anni 60, ha reso note le gesta eroiche di Lawrence d’Arabia . La mattina noleggiamo una Jeep con autista e passiamo una splendida giornata nel deserto.
Ammiriamo la brutale bellezza di Wadi Rum: dune di sabbia, canyon, archi di roccia, graffiti. Enormi monoliti di roccia fuoriescono dalla sabbia e come sentinelle, immobili e silenziosi, dominano l’orizzonte. Come Lawrence, al tramonto, andiamo la conquista di Aqaba e del suo meraviglioso golfo.
Purtroppo non potremo fermarci: Israele e i bambini dell’asilo di Betlemme ci aspettano, e così, di buon’ora il mattino successivo ci presentiamo in dogana.
Gli israeliani ci accolgono con mille domande. Quando poi vedono i timbri delle dogane attraversate sui nostri passaporti, i cui Paesi non sono propriamente amici, diventano ancora più sospettosi: smontano i bagagli, controllano le moto e, a causa del nostro inglese stentato, si scocciano anche un po’. Pazienza.
In quattro ore ne veniamo comunque fuori: Welcome to Israel ! Risaliamo lo Stato fino al Mar Morto, dove ci concediamo l’esperienza del bagno “ galleggiante” .
Questa sera dormiremo Betlemme, a fianco della chiesa della Natività. Mentre ci avviciniamo a Gerusalemme l’aria diventa fresca e il cielo cupo. Attraversiamo la città sotto la minaccia di un acquazzone che, fortunatamente, non arriva.
Le indicazioni per Betlemme scarseggiano e i dubbi di essere sulla strada giusta svaniscono quando, improvvisamente, appare “ il muro”… che separa Israele dai Territori Palestinesi. Spiegare le ragioni che hanno portato alla costruzione di questo abominio mi riesce impossibile. Ma il muro c’è, con tutta la sua forza dirompente. Betlemme è appena di là. Arriviamo sul sagrato della chiesa della Natività. Nella piazza antistante c’è una festa con musica e balli. Decidiamo di fare una doccia veloce e poi buttarci nella mischia.
Quando usciamo dall’albergo sono solo le 9.30 ma nella piazza non c’è più nessuno: la festa è già finita e il palco dell’orchestra smantellato. Il paese è deserto, nessuno nei vicoli, e gli esercizi commerciali sono tutti chiusi. Non si respira un’aria serena. La mattina visitiamo la chiesa della Natività, un luogo magico dove comunque, a causa dei troppi pellegrini, trovare un attimo di raccoglimento è difficile. Quando usciamo, sul sagrato, ci aspetta suor Luisa che ci accompagnerà all’asilo per il quale abbiamo tanto lavorato. Siamo emozionati, il nostro lungo pellegrinaggio attraverso tutto il Medio Oriente è giunto al termine. Finalmente conosceremo i bambini e potremo donare loro i disegni e i braccialetti che i bambini degli asili di Piacenza hanno preparato. Mentre ci avviciniamo e attraversiamo il campo profughi di Aida, “il muro“ si manifesta in tutta la sua ingombrante presenza. L’area è in ampio degrado, adiacenti al muro cumuli e cumuli di immondizia e, a pochi metri di distanza, l’oasi felice dell’asilo. Quando il cancello si apre e udiamo le grida dei bambini un brivido ci scorre lungo la schiena.
Sono lì, nel prato, che stanno giocando … ma appena varchiamo il cancello le moto catalizzano la loro attenzione e, lasciati i giochi, ci corrono incontro. Che accoglienza! Abbiamo visto posti splendidi e conosciuto persone fantastiche ma per me, e anche per i miei amici, è sicuramente questo il momento più bello del viaggio, la foto da ricordare. Suor Rosanna, la Superiora, e le altre sorelle ci fanno visitare la struttura, alla quale mancano ormai solo le concessioni governative per essere perfetta. Poi torniamo dai piccoli per giocare un po’ con loro e, appena prima che tornino alle loro case, li invitiamo a salire sulle moto. È gioia allo stato puro e, nella confusione generale, dobbiamo stare attenti che non si facciano male e che tutti abbiano la possibilità di salire su una moto. La nostra missione è compiuta, i sorrisi dei bambini e la loro felicità, il nostro più grande traguardo. Personalmente ho regalato a mia figlia Camilla, di soli cinque anni, tanti altri piccoli fratelli e sorelle con i quali, forse un giorno, potrà incontrarsi e ricordare quest’esperienza. Oggi un suo disegno, come gli altri dei bambini di Piacenza, arreda le pareti dell’asilo di Betlemme a sancire un’unione e una fratellanza cui, spero, le generazioni future riescano a dare un seguito.
Una fratellanza così forte che mi auguro possa abbattere, e non solo materialmente, quel “muro” che oggi chiude Betlemme e i suoi bambini in una prigione a cielo aperto. A noi resta il tempo per visitare Gerusalemme con le sue genti dai culti così diversi (cattolici, ortodossi, musulmani, ebrei) e la sua old city, tra le cui mura albergano i maggiori simboli delle più importanti religioni: Muro del Pianto, Moschea della Roccia e Santo Sepolcro. Una città che da sola vale un viaggio, ma anche una città dove la presenza di militari in stato di allerta è opprimente e ossessiva. Sull’aereo che ci riporta a casa Roberto ed io fantastichiamo già nuove avventure: il viaggio è appena terminato …. e noi vorremmo già ripartire !
L’altro racconto: L’asilo di Betlemme, il viaggio di Claudio
“Di quello che ci è capitato, delle difficoltà della strada e della bellezza di quello che abbiamo visto e fatto, vi ha già detto il mio amico Davide. Io voglio raccontarvi il mio viaggio personale perché ognuno di noi vive le proprie sensazioni e difficoltà mentre si muove con gli altri. Non è partito sotto i migliori auspici quest’anno il mio percorso, ero piuttosto scarico psicologicamente e fisicamente: un’influenza mi ha colpito prima di partire insieme ad una forte tendinite al braccio destro (davvero il peggio per chi deve guidare la moto per centinaia di Km al giorno!). Soprattutto ero molto preoccupato per le condizioni di salute di mio padre ricoverato in ospedale a pochi giorni dalla partenza. Ma tutto era ormai organizzato da mesi, le moto già spedite in Turchia, non potevo fare altro che partire. Non so se sono stato un peso per gli altri ma con il passare dei giorni le buone notizie da casa e l’abitudine che si fà anche alla sofferenza fisica, hanno fatto si che l’emozione del viaggio vincesse sul dolore, le preoccupazioni e i sensi di colpa per essere lontano da casa con i miei familiari in difficoltà. Stare con amici veri, conoscere persone fantastiche che ci hanno accolto e ospitato, con un obiettivo cosi importante in luoghi magici e bellissimi come quelli di Terra Santa ha preso finalmente il sopravvento! E per questo un grazie sincero ai miei compagni di viaggio: Ad Adrasto e Davide con cui viaggio da anni e che conosco a fondo: alla saggezza di “Adres” con lui condivido letteralmente anche il letto (e qualcuno diceva che era il reparto geriatrico!) e alla determinazione inflessibile ma fondamentale di Davide nel perseguire gli obiettivi che ci proponiamo. A Cristina e Roberto due grandi viaggiatori e spesso, molto spesso, ad un grande viaggiatore corrisponde una grande persona e loro lo sono: Cristina sempre disponibile ci ha accudito tutti come suoi “mariti” (e forse eravamo davvero troppi!) Roberto che ha già grosse esperienze di questi “raids”, mi ha dato un aiuto anche con i suoi interventi meccanici e si è rivelato un compagno prezioso. A Silvio, Don Silvio, che mi ha trasmesso la serenità di cui avevo bisogno mai come in questa occasione: un grande viaggiatore del mondo e dello spirito. Al ritorno tutti abbiamo avuto difficoltà a rientrare nelle nostre “vite normali”, Silvio ci ha detto che forse non era il caso di tornare a tutti i costi alla “normalità” perché un viaggio cosi ti cambia: ora noi voliamo più alti!”
Grazie infine a tutti quelli che ci hanno aiutato e ci hanno permesso di sostenere l’Asilo di Betlemme e raggiungere il nostro scopo: Viaggiare per bene…!
Notizie in breve
I partecipanti : Bacciotti Davide, Resta “Claudio” Pasquale, Brasi Adrasto, Pasquali “Don” Silvio, Picozzi Roberto e ultima ma non ultima Masserano Cristina
Chilometri percorsi: 4300 quasi tutti su strada asfaltata.
Guide utilizzate : Lonely Planet
Dormire e Mangiare : per dormire si trovano alberghi puliti e decorosi nelle maggiori località. Altrove bisogna accontentarsi . Mediamente con 20/40 euro si dorme in strutture adeguate. In Israele, dove i prezzi sono più cari, una buona soluzione può essere rappresentata dalle comunità religiose che affittano le stanze ai pellegrini. Per mangiare , in luoghi a volte spartani ma puliti, non abbiamo mai speso più di 10/15 euro a testa.
Clima : a parte l’estremo est della Turchia, dove abbiamo trovato anche freddo, il clima e la temperatura sono sempre stati ottimali per viaggiare, il cielo terso e l’aria secca.
Moto : le moto del viaggio erano 2 BMW R1200GS, una BMW R1150GS, una BMW F800GS e una Honda Transalp 700. Tutte le moto hanno viaggiato senza riscontrare alcun problema.
Ringraziamenti
Il team vuole ringraziare tutti i privati che con grande generosità e senso di partecipazione hanno contribuito alla raccolta fondi e in particolare la comunità della parrocchia di San Lazzaro e San Vincenzo de Paoli che con varie iniziative (tra cui una splendida e gustosa “vendita torte”) ha sostenuto “l’asilo di Betlemme”.
Dobbiamo poi ringraziare la Provincia di Piacenza per il patrocinio e Teco srl, Industrial Service srl, Praedium spa , Fiba Cisl, Nordmeccanica spa, Vertere srl, Sesap srl, ITC Ageco srl e Rainbow autotrasporti srl,Nuova Tivo di Montini Antonio, Kreo snc e L’Orto di Bandini Paolo che dimostrando sensibilità e altruismo hanno contribuito a rendere possibile la riuscita di questo viaggio.
ASSEGNO
Il 17 dicembre presso il salone della Parrocchia di San Lazzaro e San Vincenzo de Paoli di Piacenza è stato consegnato ai responsabili dell’Associazione Lavoratori Credenti, a cui si deve la costruzione dell’asilo di Betlemme, un assegno da 10.000 Euro
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