Se è vero che ogni viaggio ha la sua storia, l’ Iran è la storia. Un paese in controluce con forti contrasti d’identità, con uno sguardo ad occidente ma che preserva il passato.
Testo e foto di Giampiero Pagliochini
[wp_geo_map]Di botto la moto si ammutolisce, mancano 20 km all’imbarco di Ancona, controllo: il regolatore se n’è andato e il tempo disponibile non è tantissimo, vado e m’imbarco.
La disponibilità del personale della nave è encomiabile, mi aiutano a ricaricare la batteria cosicché quando sbarcherò a Cesme, in Turchia, avrò la possibilità di arrivare ad Izmir, con la speranza di risolvere il problema.
Due giorni di navigazione mi separano dall’arrivo, girovagando per la nave conosco Antonio, un ragazzo italiano che lavora ad Izmir, gli spiego il problema e lui invia un SMS ad un suo amico spiegandogli cosa mi è successo: massimo due giorni e avrò il pezzo nuovo.
Antonio mi porta a casa sua, c’è Giuseppe che mi aspetta, sale in moto con me e ci rechiamo alla via dei meccanici di moto, un classico di questi paesi dove ogni mestiere ha un’area definita. Da uno di loro trovo un regolatore di un Dominator, e vai, per me è facile sostituirlo e così mi rendo conto anche del problema un positivo a massa.
All’indomani salutati i due amici, piego verso Konie, la mia meta è la Cappadocia. A sera arrivo Goreme, sosterò per due giorni, giusto il tempo di visitare gli antichi siti caratteristici di questa land turca.
Sveglia mattiniera, fa freddo, è settembre ma da queste parti le correnti che battono l’altopiano anatolico si fanno sentire. A sera dormo ad Ercincan dopo aver attraversato passi oltre i 2000m con neve ai lati della strada.
Frontiera turco–iraniana, come sempre un via vai di persone e camion, non prima di aver immortalato il monte Ararat, sempre innevato.
Dormo a Makù, a 30 km dal confine. L’Iran, al di là delle notizie che fanno eco in occidente, è un paese ospitale, a volte l’insistenza delle persone è assillante, ma questo non può venire meno alla loro disponibilità, e poi riscopro quel qualcosa che rende felice le mie tasche, il prezzo della benzina, costo che è sempre di 160 delle vecchie lire.
La strada scorre via veloce, l’habitat intorno si modifica man mano che scendo a sud, a Zanjàn, una città dove tutti si dedicano alla costruzione di coltelli. Imbocco l’autostrada, o meglio provo, ma la polizia mi ferma: è vietato, poi il poliziotto mi fa capire che se gli concedo un giro allora si può fare e così lo accontento.
200 km mi separano da Theran, decido di fermarmi.
Solita sveglia mattiniera e giù verso sud, evito la capitale, decido per una sosta al ritorno, faccio benzina e vengo costretto a sostare, il gestore dell’impianto mi fa accomodare e vuole sapere di tutto, ma la simpatia ha il sopravvento così mi offre il pranzo e delle banane da portare con me, e mi lascia andare.
Il ragazzo è minuto, ma l’uniforme militare lo mimetizza, mi chiede un passaggio, fa 80 km in sella alla moto, a volte lo guardo dallo specchietto, è contentissimo, quando scende vorrebbe regalarmi qualcosa, mette la mano al cuore e mi saluta, che dire, lascio alle sensazioni parlare, viaggio da solo e una compagnia è sempre ben accetta.
Un nugolo di gente mi attornia, sono ad Isfahan, cerco di comunicare in inglese per la direzione dell’albergo, ma nessuno lo parla, poi si fa avanti un vecchietto Rampapur: tu italiano? Io ho lavorato per sette mesi a Milano nel 1966, ma questa che moto è? Una Yamaha replico. Quindi sale in moto con me e mi accompagna all’albergo, la sera sarò suo ospite a cena.
Isfahan è la meta del mondo, così recitava un detto del 1500, una città da visitare a piedi e perdersi tra i tanti negozietti del bazar Bozorg, ma la vera attrattiva è piazza Emam Komeini, cuore di Isfahan, non c’è ora della giornata in cui non ci sia gente che affolli i verdi prati che fanno da contorno alle fontane, o il via vai dei fedeli nella Moschea E’-Emàm, definita la più bella moschea al mondo.
Ma Isfahan è anche vita, i tanti luoghi di ritrovo nei pressi dei ponti, il più frequentato quello di Si o Se, danno l’idea di un forte cambiamento. Frequentati dai giovani, sono il luogo ideale per scambiare quattro parole, o forse di più, tanta è la curiosità della gioventù iraniana oramai proiettata in un cambiamento per molti versi ostacolato da alcuni governanti.
Shiraz è la prossima meta, gli altopiani si stagliano inconfondibili davanti ai miei occhi, un luogo impervio d’inverno tanti sono i cartelli stradali monitori con obbligo di catene, il che contrasta con il caldo di questo periodo, siamo a settembre, figurarsi in piena estate.
Quando giungo a Pasargade, antico sito persiano dove all’ingresso sublime s’incontra la Tomba di Ciro il Grande, resto stupito; il sito si può visitare in moto, non è che oltre al cenotafio di Ciro ci siano altre strutture, solo la fantasia può aiutare il viaggiatore ad immaginarsi la vera Pasargade, una cosa può ricompensare questa deviazione, l’iscrizione cuneiforme che recita “io sono Ciro, il re achemenide”.
Se Pasargade è solo un piccolo punto in una pianura arida, di certo Persepoli ripaga il visitatore alla ricerca di vestigia che videro in questa città governare i più grandi re Persiani, prima che Alessandro Magno la distruggesse in parte. Dimenticata per secoli sotto uno strato di polvere, dagli anni trenta una campagna di scavi ha riportato alla luce i resti della città.
Al parcheggio il custode mi offre uno spazio riservato per la moto, anzi m’invita a lasciare tutto nella sua guardiola, accetto perché la diffidenza sarebbe il maggior affronto. Entro nella città salendo la scalinata dell’Apadana, un susseguirsi di bassorilievi dove sono raffigurate molte delegazioni di popoli anche Etiopi, e la divinità zoroastriana Ahura Mazda, la religione monoteistica più antica. Non è che io sia uno storico ma ogni viaggio lo studio nei dettagli, ed entrare in siti archeologici m’infonde rispetto e conoscenza, così proseguo cercando la Porta delle Nazioni dove erano accolti gli stranieri, porta dove spiccano figure taurine, ma il complesso più maestoso di Persepoli è il palazzo delle 100 Colonne, dove i delegati dei paesi sottomessi erano ricevuti, per giurare fedeltà e pagare i tributi.
Con il sole che tramonta e un “good luck” del custode, lascio Persepoli, ora mi aspetta una doccia calda e un letto dello Shiraz Eram Hotel, la giornata è stata lunga e intensa, anche la mia fedele compagna merita un riposo, l’approssimarsi del contachilometri a 150000 Km implica rispetto.
Shiraz, la culla della cultura, un insieme di viali e giardini alberati, sede di un’importante università dove la facoltà di medicina è tra le più prestigiose dell’Iran.
Lascio la moto in garage e usufruisco dei taxi, un modo economico e veloce per muoversi. Il Bazar-e Vakil è una costruzione nella costruzione, case abitate con giardini e negozi che si fondono in tutt’uno, vivace e accogliente è il luogo dove si possono fare acquisti a buon prezzo.
Proseguo a piedi ed ecco la fortezza Arg-è Karim Khani, una specie di quadrilatero usato come prigione durante lo Scià, una delle torri ha ceduto e ha subito un’inclinazione, esperti di Pisa sono stati chiamati per un sopralluogo, sembra senza esiti positivi.
Trascorro un pomeriggio nel giardino dove c’è la tomba del poeta Hàfez, il poeta iraniano più amato, c’è un detto che recita “in ogni casa di un iraniano due cose sono presenti primo il Corano secondo un libro di Hàfez”. Può sembrare una battuta ma quando sono avvicinato da tre ragazzi e due ragazze, oltre alle scontate domande, uno di loro, Saman, inizia a recitarmi delle poesie del poeta, la mimica si unisce alla vivacità e ad una parlata armoniosa, ascolto, non capisco nulla naturalmente, ma apprezzo la dedica. Il rituale si ripete, e vengo costretto a passare la sera insieme, intorno ad un tavolo mangiando hot-dog iraniani e bevendo Coca Cola o meglio Zam-Zam come si chiama da queste parti.
Loro sono australiani e neozelandesi, mi osservano mentre carico la moto, mi chiedono se sono venuto dall’Italia all’Iran in moto. Sicuro di rappresentare tutti i motociclisti italiani, rispondo di sì e chiedo il perché della domanda, non c’è risposta, forse ci considerano di un livello più basso.
Attraverso i lunghi viali alberati, dei ragazzi mi si affiancano, mi chiedono dove vado, Kerman. Si offrono di accompagnarmi fino alla strada, rituale di foto e via.
Scelgo di percorrere la strada che si arrampica sulle propaggini dei Monti Zagros, 70 km non asfaltati, per poi scendere verso Neyriz e il lago Bakhtegàan, luogo che ospita o meglio ospitava migliaia di fenicotteri, ma dal 2000, dopo il prosciugamento per siccità, dei volatili non c’è più traccia.
Una lunga lingua d’asfalto si delinea a miei occhi, chilometri e chilometri di luoghi aridi con laghi salati che a volte assumono l’effetto del miraggio. Mi fermo per riposarmi e ammirare il paesaggio, guardo la moto e sì, solo lei può tradirmi, ma so che è impossibile, poi qualcuno si ferma, serve aiuto? No grazie, mi offrono da bere, altri mi danno il loro indirizzo di Kerman, ringrazio e riparto.
Sono a Kerman, ho percorso circa 600 km, è venerdì giorno di festa e tutte le attività sono ferme, sono le tre del pomeriggio, così decido di proseguire per l’antica Bam, altri 200km.
Un ragazzo mi accompagna a una rotonda e mi indica la strada, più avanti mi fermo e chiedo a un gruppo di tassisti la direzione e tutti con la mano verso lo stesso punto esclamano “mostaghim” no rispondo, Bam, ma loro che insistono, così prendo il vocabolario e sì, il tonto sono io, vuol dire dritto, loro capiscono e scoppiano a ridere, mi danno delle pacche sulla spalla e poi con un ‘màshallàh’, volontà di Dio, mi salutano, ripago con una lunga accelerazione e loro che esultano con gradimento.
La strada per Bam e un nugolo di veicoli, d’altronde è l’unica che porta verso il confine pakistano, procedo con cautela, la fretta non serve, tutti che mi suonano e mi salutano, ma l’apoteosi è quando sosto ad un distributore, ci sono degli afgani che vendono banane e vorrebbero fare un bussines con la mia moto, sto al gioco, poi riprendo la strada.
All’Akbar Guesthause mi si fa avanti Mr. Ponjali ex professore universitario che adesso gestisce questo luogo dove fanno meta i turisti come me, quelli senza organizzazione. C’è un parcheggio per le moto, non sono l’unico motociclista, c’è Oeywind un ragazzo norvegese che sta tornando dall’India su una Enfild 350, e poi Ralf e Coriline, partiti due anni fa dalla Nuova Zelanda con due Transalp, è il loro viaggio di nozze.
Il mondo è piccolo, dirlo così sembra un luogo comune, ma quando Coroline mi chiede se conosco Enio Cavallucci è lei a rimanere stupita, si quel “pazzo italiano” che in moto da 4 anni gira in Indocina, l’ho incontrato l’anno passato il Laos, sei entrato in Vietnam? Sì gli rispondo, Ralf vedo che non la digerisce, loro hanno provato in tutti i modi, ma niente le autorità sono state inflessibili.
Bam, una deviazione che ripaga, adagiata in pieno deserto ha una fama che può essere equiparata a quella d’Isfahan, tanta è la maniacale costruzione dell’antica fortezza, oggi oggetto di restauro.
Insieme ad Oeywind, Ralf e Caroline, ci rechiamo alla cittadella a piedi, il che ci permette di apprezzare la Bam moderna, fatta di negozi d’ogni bene, luoghi di ritrovo e gli iraniani sempre disponibili, anche quando con Oeywind ci recheremo da un meccanico per saldare il serbatoio, gratis naturalmente.
30000 rial (3€) è il prezzo del biglietto che dà la possibilità di tornare più volte nello stesso giorno, il tramonto è da non perdere, quando il sole svanisce all’orizzonte, la Cittadella assume una scenografia particolare esaltata dai colori dei materiali usati per la costruzione. Le cifre di Bam parlano da sole, era popolata da 11000 persone distribuite in 400 case con 36 torri che si innalzavano verso il cielo, può sembrare strano ma Bam fu un collante di religioni, Zoroastra, Ebrea e Mussulmana, la solita contraddizione che affiora con la criticità degli eventi attuali. Fino a Yadz viaggeremo insieme, si resta un giorno in più a Bam, cosicché all’indomani passeggiamo per la città, forse la quiete del deserto la rende un luogo rilassante la cosa non dispiace.
Alla guesthouse, c’è un via vai di stranieri, francesi, inglesi, austriaci, giapponesi, per un momento tutto il globo è rappresentato, e Akbar spruzza da tutti i pori la sua goliardia, che lo rende più europeo che iraniano, poi ci propone una chicca per la serata, ma sarà una sorpresa. Ceniamo, sempre nella guesthouse, poi tutti in jeep, siamo tanti che a fatica riusciamo a starci, chi con le mani chi con la testa fuori del finestrino.
La Zukhané, tradotto casa del potere, è una particolarità tutta iraniana un luogo, meglio una palestra, dove gli uomini mostrano la loro virilità attraverso prove di forza, tra il profano e il sacro, visto che tutto avviene al ritmo di tamburo scandito da un leader, che canta canzoni epiche e recita poesie di Hafez.
Oeywind fa da battistrada, la sua vetusta Enfild non ha chilometri da vendere, io chiudo la fila, osservo Caroline che alla guida del Transalp sembra una veterana, dalla sua ha 70000 km sulle spalle, più tardi una volta a casa scriverà d’avere dolori alla mano destra per via dell’acceleratore.
Kerman è una città tranquilla, visitiamo il Bazar e accompagniamo Oeywind al bagno Hamam-è-Ebrahim, dove per 20000 rial, in un’atmosfera d’altri tempi, ci si può rilassare sottoponendosi a massaggi degli addetti. Chiudiamo la giornata al Chaykhuné-yè una casa da the situata all’interno del Bazar, dove in un’architettura tradizionale si può mangiare con 15000 rial.
Situata a metà strada tra Isfhan e Kerman, Yadz ci accoglie in un caldo pomeriggio, come si addice ad una città situata in pieno deserto, i lunghi viali alberati, la sua eredità multi religiosa le conferisce un’atmosfera tranquilla. Perdersi a Yadz è cosa semplice, specialmente nella vecchia città, che al pari di Bam è caratterizzata dalle costruzioni in fango dal colore ocra e da un dedalo di viuzze, una nota dell’Unesco considera questa città tra le più antiche al mondo. La visita inizia sempre dal Bazar centro di vita e di affari, tutto si snoda intorno a questo luogo, la Moschea Jamé-il mausoleo di Seyed, la prigione di Alessandro, Khan è Lari una delle case più vecchie di Yadz, per poi ammirare la favolosa facciata del complesso Amir Chakhamagh, e concludere con i siti zoroastriani, Ateshkadè è il più visitato, un fuoco sempre accesso dal 470 d.C. è meta di molti seguaci, a Yadz c’è la rappresentanza più numerosa. Una cosa che non sfuggirà al turista nel visitare Yadz , sono i badgir, un antico sistema per catturare la minima brezza di vento e incanalarla verso le stanze sottostanti, un sistema primordiale di impianto di condizionamento.
È l’ora dei saluti dopo una settimana trascorsa insieme le strade si dividono, io verso Tehran e Oeyvind, Ralf e Caroline a sud verso Isfhan.