Lungo viaggio attraverso tutta la Mauritania via Naouakchott fino a Nouadhibou, la seconda città del Paese a ridosso del confine con il Sahara Occidentale.
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Testo e foto di Marco Ronzoni
Ma perché la sabbia del deserto è così soffice sotto le ruote della moto ma sotto la schiena sembra granito? Sta diventando chiaro quando usciamo dalle tende, dopo una notte a dir poco scomoda. Il flusso di veicoli, seppur minimo, non si è mai interrotto, così come i controlli dei poliziotti alla luce delle piccole torce. Ad attenderci ci sono la R80 che non vuole più partire e la borsa deformata della moto di Pier che va sistemata ed affrancata. A pochi metri da noi alcuni uomini nei tipici abiti del deserto stanno scaldando del te su un piccolo braciere, mentre altri due, dopo aver costretto un bue dalle lunghe corna a sdraiarsi su un fianco, lo sgozzano con un lungo coltello. Fumanti fiotti porpora schizzano dal profondo taglio della gola finché la bestia lentamente muore dissanguandosi ed annegando nel proprio sangue. Assisto alla scena ad occhi spalancati e bocca aperta mentre i macellai decapitano il bue, lo sventrano, lo eviscerano, lo scuoiano e lo fanno a pezzi per essere venduto ai “clienti” del posto di blocco.
Di buon mattino il rumore del motore della R80 che non si avvia sveglia tutto l’albergo, misto agli improperi di Mimmo che armeggia tra candele, bobine e puntine. Ricorriamo ai cavi della batteria per fare ponte con una macchina e far partire l’assonnata GS. Speriamo. Filiamo dritti verso la frontiera col Sahara Occidentale. Oggi è domenica e non ci dovrebbe essere il solito casino. L’uscita dalla Mauritania è abbastanza indolore. In un’oretta Police, Douane e Gendarmerie ci fanno riempire moduli e timbrano passaporti senza chiederci nemmeno un’Ouguiya. Finalmente fuori, dobbiamo affrontare i circa cinque chilometri di “terra di nessuno”, la fascia cuscinetto tra i due Paesi che è un vero disastro.
Pneumatici e sospensioni delle moto sono messi a dura prova da pietre acuminate, sabbia e buche abissali. Giunti alla frontiera d’ingresso nel Sahara Occidentale (ricordo a tutti di evitare accuratamente di chiamarlo così mentre si circola in Marocco) ricominciano i controlli ma anche questa volta il dentro-fuori da venti uffici si sbriga in un’altra oretta e senza esborso di Dirham. E’ mezzogiorno. Siamo in Marocco e possiamo dire “finalmente”. Già, finite le strade bombardate o insabbiate, finite le preoccupazioni di imboscate e rapimenti, finita la benzina di uno strano colore marrone che non si sa mai se e dove la troverai. Ora è tutto in discesa, anche se stiamo salendo verso nord… Guideremo ancora parecchio tra due ali di deserto, interrotto a volte da maestose scogliere sull’Atlantico, un deserto così diverso da quello mauritano, dove la sabbia e le dune saranno solo coreografiche e non più invadenti.
Adoro questi luoghi, tanto remoti quanto attraenti, e mi piace essere qui ancora una volta. Le città continuano ad essere divise da centinaia di chilometri, ma i punti di ristoro e di rifornimento sono ben scadenzati. Ciò ci permette di viaggiare con più tranquillità, almeno finché l’R80 non ci riporta alla cruda realtà mettendosi a fare i capricci. L’accensione, uno degli interventi più corposi che ha subito, continua a dare problemi. Le vecchie parti ammalorate sono state sostituite con pezzi usati di un modello precedente e sono il motivo di maggior preoccupazione per tutti. Mimmo con bravura e tenacia miste a disperazione riesce a farla proseguire, ma è piuttosto angosciante. Un incessante freddo vento trasversale ci fa procedere sbandando. La temperatura è sorprendentemente bassa e chi, come me, non possiede abbigliamento super tecnico triplo strato con riscaldamento e aria condizionata, deve guidare intirizzito come un idiota in t-shirt e bermuda sorpreso dalla neve su un passo alpino in estate… Passiamo il bivio di Dakhla, dispiaciuti di non percorrere ancora una volta la sua spettacolare penisola, e puntiamo verso Laayoune. Le ombre si stanno già allungando e proiettano le nostre sagome verso il deserto. La sera arriva in fretta ed anche il buio. A circa duecento chilometri da Boujidour siamo in piena notte. Guidiamo in uno scenario affascinante, con la luce di tutti i fari di cui disponiamo che illuminano a fatica l’asfalto davanti a noi. Sappiamo che l’Oceano è lì alla nostra sinistra ma non si distingue, nascosto da un profondo buio interrotto solo da una magnifica stellata.
Raggiungiamo finalmente Boujidour con il solito ultimo posto di blocco da superare. Entriamo in città. E’ strano vedere come la nera e solitaria strada che ci ha portato qui, improvvisamente diventi un vialone a sei corsie delineato da suggestive luci blu ed illuminato a giorno da ordinati lampioni. E pensare che fino a qualche anno fa era solo un villaggio di pescatori.
To be continued…