Chi si spinge verso oriente spesso ricalca il percorso di Marco Polo, per arrivare fino in Cina. Monica forse si ispira di più al percorso di Alessandro Magno. La meta? Ancora un mistero! Noi la seguiremo lungo tutto il suo tragitto.
Ecco il suo primo racconto:
Saluto mia sorella, il suo compagno e mio nipote che sono venuti per accompagnarmi in questi primi chilometri del viaggio. Mio nipote continua a chiedermi se non potevo scegliere di andare da un’altra parte. Ma da un’altra parte di questi tempi è difficile. Tra frontiere chiuse, pandemie, nuove e vecchie guerre all’orizzonte, è difficile immaginare di tracciare una linea retta che attraversi i paesi dell’Asia che conduca fino a est. Così, mi son detta, noi partiamo e poi vediamo dove arriviamo. Per noi intendo io, quarantaquattrenne pavese che ancora deve capire cosa fare da grande e la mia moto, una bellissima KTM 790 Adventure che pare sia più pronta di me per questa “vacanza”.
Ogni viaggio deve cominciare con un traghetto
Ma ecco, ci siamo, un abbraccio, le ultime raccomandazioni e poi via in direzione Ancona per prendere il traghetto che mi porterà fino a Durazzo, in Albania, il primo dei diversi paesi che ho in mente di attraversare prima di arrivare in India. Avrei potuto attraversa i Balcani via terra, ma ogni viaggio che si rispetti inizia prendendo un traghetto, o almeno è così che io me lo immagino. I miei genitori erano sardi e ho avuto la fortuna di passare molte estati in Sardegna quando ero piccola. Andare in vacanza in quei tempi era giù un’avventura: la Fiat 127 blu di mio padre caricata all’impossibile, i panini preparati da mia madre per la sera e tutta la voglia di lasciarsi un anno di lavoro alle spalle per godersi un po’ di mare.
Una volta saliti sul traghetto, tra gente che arrivava in ritardo strombazzando per tutto il piazzale del porto di Genova e uno sgomitamento per prendere i posti panoramici migliori sul ponte, iniziava davvero la vacanza, la vera Avventura. E ho voluto che fosse così anche ora che mi accingo a macinare un po’ più di chilometri in solitaria.
Arrivo in perfetto orario ad Ancora e dopo pochi controlli si sale. Peccato che la nave non sia altrettanto puntuale e solo dopo un paio d’ore di ritardo lasciamo finalmente il porto. Una volta a bordo faccio subito amicizia con diversi motociclisti con cui ci scambiamo itinerari e soprattutto esperienze di viaggio. È sempre bello ascoltare i racconti di chi ha girato il mondo su due ruote e non solo. La notte passa velocemente e ben presto ci ritroviamo smaniosi di scendere e di iniziare la nostra avventura. Illusi. Sì perché i mezzi sul traghetto sono stipati che neanche il creatore di Tetris poteva fare di meglio e non c’è modo di arrivare alle moto.
Nella Terra delle Aquile
Per far scendere i primi mezzi c’è bisogno di smontare gli specchietti dei camion che occupano le prime file con evidente disappunto dei guidatori. Ma siccome ho la fortuna di avere un sacco di tempo a disposizione, aspetto che lentamente arrivi anche il nostro turno per scendere. Fatta l’assicurazione della moto (di solito le polizze non coprono l’Albania) e presa una schedina telefonica, mi avvio verso una piccola località di mare che ho scelto per i primi due giorni di permanenza nella Terra delle Aquile.
I resti architettonici di una lunga dittatura
Kepi I Rodonit (Capo di Rodoni) è una piccola penisola poco a nord di Durazzo in cui è possibile visitare la graziosa chiesetta cristiana del XIII secolo dedicata a Sant’Antonio e il castello di Scanderbeg, una fortezza risalente al XV secolo che si affaccia direttamente sulla spiaggia. Oltre a questo, saltano subito all’occhio i numerosi bunker di cui l’area e l’Albania intera è piena. Sono più di 700.000 sparsi lungo tutto il paese e sono stati fatti costruire, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, per volontà (o paranoia) di Enver Hoxha, a testimonianza del surreale quanto brutale periodo storico di cui fu a capo.
In quello più grande, lungo oltre 70 metri, è stato ricavato un piccolo ristorante in cui è possibile apprezzare una semplice quanto gustosa cucina di pesce.
L’area è molto suggestiva, ma anche piena di rifiuti. Mi domando se il turismo che tanto oggi condanniamo come uno dei carnefici della mercificazione dei luoghi, qui non potrebbe essere utile, magari rendendo più accessibili e puliti luoghi di cui poco o nulla ancora si sa. Ma è solo un pensiero superficiale che, finito di mangiare il delizioso polpo alla griglia ordinato, scompare insieme a un leggero vento che arriva da nord.
Risalgo in sella del mio destriero (la mia moto ovviamente) e torno indietro, domani mi aspetta una giornata più impegnativa e voglio arrivarci preparata: un giro in offroad in compagnia di una guida locale che mi farà scoprire altri angoli di questa terra che ancora conosco così poco.
Ma questo, lo racconterò presto.
testo e foto di Monica Ledda