Lasciamo Addis Abbeba appena fa giorno e ci inoltriamo in un campagna rigogliosa e densamente popolata.
Ai margini della strada file interminabili di persone e mandrie di animali si muovono senza sosta.
Il paese che scorre davanti ai nostri occhi è multicolore e animato. Scendendo a sud attraversiamo vari villaggi in cui si perpetua il culto di Bob Marley, e siamo accompagnati dalla sua musica che viene suonata in ogni dove.
Scopriamo per la prima volta e non sarà l’ultima che trovare il carburante può essere un’impresa, in più di qualche caso dovremo pagare un mediatore per avere il prezioso liquido a prezzo di mercato nero.
Con quest’ansia in più raggiungiamo la frontiera con il Kenia. Il passaggio è rapido , ma siamo molto tesi perché consapevoli della difficoltà della pista che ci attende.
Le asperità sono notevoli e impegnano tutta la nostra attenzione, per percorrere in due giorni una pista sassosa di 500 chilometri, che assomiglia al greto di un fiume.
Ogni tanto un camion stracarico ci sorpassa e le persone appollaiate sul tetto ci salutano sorridendo, soddisfatte di vederci mangiare la polvere sollevata dalle grandi ruote.
Stupiti conosciamo Ciprien: il medico, è stato assegnato all’ospedale della missione. Se questa non è fortuna….
Ringraziamo il cielo per la foratura provvidenziale.
Nei pressi della frontiera con la Tanzania incontriamo dei gruppi di masai che ci appaiono tristi e senza futuro, rasseganti alla miseria, perché non hanno più la possibilità di dedicarsi alla pastorizia e alla caccia.
In Tanzania il posto di frontiera è informatizzato e gli addetti, con cortesia ci fanno passare rapidamente; l’antitesi di quello che abbiamo vissuto in Egitto.
La strada è percora da suggestivi cacciatori in bicicletta che indossano abiti coloratissimi e ostentano una lunga lancia.
Per il nostro validissimo Tommaso questi sono gli ultimi giorni di viaggio che assieme trascorreremo a Dar es Salham, in attesa dell’arrivo di Luana.
Nell’attesa decidiamo di visitare l’isola di Zanzibar che ci lascia stupiti per la bellezza della sua natura, per il forte cinquecentesco e per il palazzo del sultano. Visitiamo il mercato degli schiavi dove ancora si ha ancora l’impressione di sentire i lamenti e le sofferenze degli sventurati rinchiusi nei sotterranei.
Concordi ringraziamo Allah che qui è il Dio che va per la maggiore. Dopo questa paura e una cena poco invitante decidiamo di coricarci con lo stomaco che protesta. Il paesaggio che ci attende il mattino seguente, quando usciamo dalle tende è indescrivibile, il rosso acceso della terra contrasta con il verde smeraldo della vegetazione, in lontananza si scorgono i primi maestosi baobab.
La mancanza di moneta locale e l’impossibilità di trovare banche lungo il tragitto ci impediscono di placare la nostra fame.
Finalmente raggiungiamo Macimba la Plaia dove ci fermiamo per la notte e divoriamo un ottimo pollo arrosto. La prossima tappa è Pemba dove ci attendono le suore Pastorelle alle quali dobbiamo consegnare trecento paia di occhiali che consentiranno a bambini con deficit visivo di poter studiare.
Di prima mattina arrivano decine di persone di tutte le età abbigliate con i vestiti migliori, i capelli acconciati in modo fantasioso, da settimane preparano canti e balli. La festa sarà tutta in nostro onore, la presidentessa non si farà viva.
Le donne cantano e danzano con movimenti sinuosi e ritmici, prendono nel cerchio suor Franca e Luana, e mentre tutti partecipano la musica entra nello spirito e ci unisce in un’unica anima.
Arrivato il momento del commiato ognuno di noi sa di aver lasciato poco rispetto a quello che ha ricevuto. La prossima meta è Ile de Monzambico, deliziosa cittadina coloniale che ha dedicato un giardino alla memoria del turpe mercato degli schiavi; nei pressi del pontile da cui gli sventurati venivano imbarcati verso l’ Europa; durante la visita mi assillano considerazioni sull’attualità del problema non ancora risolto.
La pista che ci aspetta è dissestata e impegnativa tanto che ancora una volta ci troviamo con una gomma a terra, impegnati nella difficile sostituzione di una ruota, che non si vuole separare dal mozzo; arriviamo a notte fonda a Vilanculo, ridente spiaggia sull’oceano Indiano.
La prossima frontiera che ci attende è il Sudafrica.
Il passaggio, facile e rapido, ci consente di recuperare tempo che impegneremo nella visita del parco Kruger, dove accanto allo splendore della vegetazione possiamo osservare un gran numero di animali.
La temperatura si è abbassata notevolmente, non è esagerato dire che fa freddo.
Il viaggio prosegue attraverso immense “town ship”, bidonville di latta riservate ai neri, completamente recintate.
Finalmente arriva il mitico giorno che ci porterà al Capo di Buona Speranza, durante l’avvicinamento, sovrastati da un cielo nuvoloso e da un mare agitato sullo sfondo, penso ai primi intraprendenti navigatori che hanno doppiato il promontorio, battezzandolo in modo augurale.
Sfiorati dai suoi raggi immortaliamo la fine della nostra impresa abbracciati al cartello che indica il capo. Mentre ci godiamo la sensazione bellissima di avercela fatta vedo il cartello che indica la distanza da casa 9100 chilometri.
Ormai sulla via del ritorno in preda all’ansia di abbracciare i pazienti familiari, già un altro tarlo si insinua nelle nostre teste: dove ci porterà la prossima impresa”?
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