di Kiddo
Sta per cominciare un’altra stagione sportiva e non è possibile fare a meno di ricordare Marco Simoncelli. E una visita terribile e bellissima ai genitori del pilota.
Guarda come gli hanno ridotto la strada, fosse la mia mi incazzerei di brutto.
Le macchine parcheggiate un po’ dappertutto sul vialetto di accesso alla casa della famiglia Simoncelli hanno scavato dei solchi sui fianchi della strada in cemento che passa sopra un ponticino e sale fino al casolare di campagna. La giornata di novembre non è fredda, un po’ umida, decisamente triste. Io e mia moglie siamo gli unici bischeri, pare, che sono arrivati a Coriano in moto, due giorni dopo il funerale di Marco. Abbiamo girato un po’ per il paese dell’entroterra riminese senza riuscire a trovare la strada per la casa, sempre titubanti che andare a ficcare il naso e disturbare due genitori che hanno appena perso il figlio sia una buona idea.
Ma un tipo in piazza, facente parte del perfetto servizio di accoglienza istituito in occasione dell’evento luttuoso, mi ha consigliato caldamente di portare di persona la copia del mio libro a Paolo e Rossella, che si sono raccomandati di mandare chiunque ne manifestasse l’intenzione da loro. Mi era sembrata un’idea buona, un pensiero gentile, una testimonianza di quanto il mondo della motocicletta possa essere grande e importante, ai genitori di una persona che per questo mondo ha significato così tanto.
Sulla scalinata che arriva alla chiesa che ha ospitato il funerale, si rinnovano continuamente mazzi di fiori, bigliettini, oggetti di ogni tipo che il personale raccoglie, incaricandosi di consegnarlo ai familiari di Marco. Decine e decine di persone si avvicendano in chiesa, sulla scalinata, lasciano qualcosa, si fermano a leggere messaggi lasciati da altri. Ognuno trova il suo spazio per un momento di riflessione, rivivere le terribili immagini dell’incidente, può pensare a qualche attimo della vita del Sic, che in quei giorni viene riproposta in immagini televisive sempre più toccanti. Marco era come un amico anche per chi, come noi, non lo conosceva. Era il pilota lungo e capellone, capace di grandissime gesta e colossali scivoloni, quello che prometteva tantissimo, che ci avrebbe fatto gioire, mangiare le mani ma che vedevamo solo in televisione, . Lontano dal cliché del pilota-star, irriverente, cazzone al limite della scorrettezza, divertente e sensibile.
Il paese è piccolo, ma la casa dei Simoncelli è appena fuori e giriamo un po’ in tondo prima di intuire la stradina giusta, quando in fondo sarebbe bastato seguire le poche macchine che circolano, e che formano una processione quasi costante. Il timore mio e di mia moglie è di rompere le palle, di venire scambiati per quei curiosi morbosi o per turisti della tragedia.
Ma vogliamo portare la nostra solidarietà, come motociclisti, come genitori. Abbiamo pianto e sofferto per uno sconosciuto. Siamo rimasti scioccati quando abbiamo visto increduli quelle immagini terribili e abbiamo temuto il peggio. Quando quella sera stessa abbiamo abbracciato i nostri figli immaginando il dolore di un padre e di una madre per una cosa così ingiusta e innaturale, come un figlio che muore prima dei genitori. E’ per questo che siamo qui. Per stringere in un abbraccio, anche solo ideale, un padre e una madre che hanno perso quello che avevano di più caro al mondo.
Ci arrampichiamo sulla stradina e parcheggiamo la moto da una parte, davanti alla casa. Il cane lupo è accucciato davanti alla porta, forse sfinito dall’andirivieni di gente. Mi chiedo se sia stata una buona idea presentarci in moto, ma ormai ci siamo. Rossella ci viene incontro, accompagnata da altre persone. Mi stringe la mano e abbraccia mia moglie, che forse per via della tuta di pelle è decisamente più rigida di lei. Arriva in auto Paolo: è andato a riprendere la figlia, che scivola velocemente in casa. Gli consegno la copia del mio libro, sul quale ho scribacchiato una timida dedica. Lui ringrazia, chiedendo da dove veniamo. “ Siamo Toscani. Di Firenze”. “Motociclisti duri, eh?” Ci dice sorridendo. “Duri e puri”, rispondo io. E mi sento un bischero. Sembrano persone serene, nonostante tutto, e pare che siano loro a consolare gli altri. Spero sinceramente che sentano il calore e l’affetto della gente anche fra qualche giorno, quando sarà più dura, quando il cordoglio lascerà spazio alla consapevolezza della perdita.
Fra quelli a far loro visita, un babbo tiene in collo il figlio piccolo, forse di solo un anno. Paolo gli sorride: “Tienitelo stretto” dice guardandolo come vedesse immagini lontane.
Noi infiliamo velocemente il casco, rimontiamo in sella e scappiamo percorrendo in discesa la stradina di cemento, mentre alcune macchine slittano nel fango ai lati.
Scappiamo per non mostrare i nostri occhi pieni di lacrime a chi siamo venuti a consolare.