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Il sorpasso, quando non ti frega più di essere davanti

C’è un età per ogni cosa e giunto “nel mezzo del cammin di nostra vita”, me la prendo più calma e non ho più la fregola del sorpasso

Anche per chi, come il sottoscritto, non è mai stato un fulmine di guerra, c’è stato un tempo in cui un sorpasso in mezzo a un tornante era un affronto che doveva essere vendicato prima del valico (lo so che la strada non è una pista, ma chi è senza peccato scagli la prima pietra), e a ripensarci erano momenti belli ma in cui l’Angelo Custode era costretto a fare gli straordinari fin da quando, ragazzini, ci buttavamo a rotta di collo per le discese col Ciao a motore spento “così siamo ad armi pari”, ovviamente in maglietta e senza casco.

O quella volta sulla volterrana che in una curva a doppio raggio tirai dritto nell’aia di un contadino seguito a ruota dai miei due compagni di scorribande. O quel giorno che al Mugello puntai uno, lui bravo, dicendomi “o lo passo o mi sdraio”, e indovinate come andò a finire.

Poi arriva un momento nella vita di ogni motociclista in cui certi pensieri cominciano a frullarti dentro al casco, sarà per via della maturità acquisita col passare degli anni, sarà per la maggiore consapevolezza nel valutare le cose, sarà, raccontala giusta Franz, per il fatto che stavolta gli amici sui passi ti hanno dato una gran paga. E sì che sotto le chiappe avresti una motona dall’anima racing con una mandria di cavalli, ma quando ti accorgi che i riflessi non sono più quelli di un tempo, che il caldo lo soffri più del previsto, che oltre a farti vedere il cruscotto sfuocato la vista comincia a fare cilecca anche da lontano, che insomma sei un rottame e quelli di cui tenevi agevolmente il passo adesso li perdi dopo tre curve, cominci a pensare che forse è arrivata l’occasione per sotterrare dignitosamente l’ascia di guerra e cominciare a entrare nell’ordine di idee di adottare, da qui in avanti, una guida rilassata a velocità panoramica.

E si entra in un’altra dimensione.

Magari in fondo un po’ ti rode, ma vuoi mettere la soddisfazione, anzi la liberazione, di non dover attingere ogni volta alle “scuse del fermone”? Per chi non lo sapesse trattasi di quel famoso file che gira in rete e che elenca tutte le giustificazioni possibili e immaginabili che noi motardi diversamente veloci siamo soliti sciorinare allo Chalet Raticosa o al bar sul Bracco intanto che ci togliamo il casco mentre gli altri, cicchino in bocca, sono già in coda per il caffè. Aperta parentesi: ho prove certe che qualcuno tiene nel pacchetto una mezza sigaretta smezzata apposta, così che quando l’accende sembra  che sia arrivato già da un bel po’. Chiusa parentesi.

Insomma dicevo, una mattina si parte in gruppo, si comincia a salire su per le curve con calma, piano piano tasti il terreno e azzardi qualche piega, poi tieni una marcia in meno e aumenti i giri del motore, controlli negli specchietti e… nulla, son tutti lì appiccicati, anzi pare quasi che gli fai da tappo. Cioè, no pare, glielo fai proprio.  Allora li lasci sfilare e provi a seguirli “per studiarli intanto che conservo le gomme”.

E finché sei su quel tratto di strada che conosci come il tuo salotto ancora ancora, ma quando poi questi allungano e ti rendi conto che per stare dietro a quel trabiccolo con la metà dei tuoi cilindri e cavalli cominci a uscire dalle curve pericolosamente vicino alla linea di mezzeria, ecco che l’istinto di conservazione prende il sopravvento su quella che un tempo era incoscienza, ed ecco che il coltello che eri solito tenere tra i denti lo riponi nel fodero, molli l’osso e ti metti a guidare come si suol dire “del tuo passo”, cioè in quella modalità, assolutamente soggettiva, che ti consente di gustarti la strada, di curvare in scioltezza e piena sicurezza, di annusare l’aria, di ascoltare il motore, di godere dell’essenza stessa della motocicletta. E quindi rinunci al sorpasso.

Il Sasso di San Zanobi, che non avevo mai notato essendo sempre alle prese con qualche sorpasso

Che poi noi siamo anche fortunati, abitando in una famosa città d’arte del centro Italia chi scrive frequenta abitualmente i più famosi passi appenninici, voglio dire ci sono scorci, panorami e dettagli che tanti frenetici smanettoni non hanno mai visto, ieri per esempio mi sono accorto per la prima volta della presenza di un enorme masso sul ciglio della strada che dalla Raticosa porta a Firenzuola, e che sembra piovuto dal cielo (il Sasso di San Zanobi, in effetti c’è chi sostiene sia un meteorite).

E alla fine in tutto questo ci sarà anche un po’ della favola della volpe e l’uva, ma chissenefrega se il tuo passo è più lento degli altri e li raggiungerai che ti stanno aspettando a metà sigaretta, la moto è bella perché è varia. Come pure il modo di viverla.

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