di Carlo Nannini (Kiddo)
Abbiamo seguito tutti con molta apprensione le recenti vicende che hanno portato il marchio automobilistico Volkswagen al centro dell’attenzione a causa della mega-multa inflittagli dagli Stati Uniti per aver truccato con un software in grado di modificare i dati delle emissioni di gas inquinanti al momento dei controlli.
Non solo il marchio tedesco ha subito dei danni economici a causa del crollo in borsa, le multe per aver fatto uscire milioni di veicoli comunque molto più inquinanti dei limiti consentiti dalla legge in USA ma anche in Europa, danni di immagine quasi irreparabili in termini di fiducia nel brand, ma tutto il sistema automobilistico in generale e tedesco in special modo ne sono stati danneggiati. Senza considerare che al marchio VW sono collegati molte altre Case come Seat, Skoda e Audi, proprietaria come ben sappiamo del marchio Ducati.
Ovviamente, adesso dubitiamo sulla veridicità dei dati sulle emissioni inquinanti non solo di questi marchi incriminati, ma di tutto il sistema produttivo automobilistico e motociclistico. Volete che mentre alcuni facevano i furbetti, gli altri siano stati a guardare?
Ma soprattutto, quello che un po’ per tutti era un dogma, una sorta di credo religioso, ovvero che sul fatto che un prodotto fatto in Germania rappresentasse in assoluto l’affidabilità, la sicurezza, la solidità è naufragato miseramente.
Un altro marchio tedesco non coinvolto nello scandalo in tempi recenti ha fondato la propria campagna pubblicitaria sullo spot, pronunciato con la sicurezza ammiccante di una top model degli anni ’90 ma evidentemente ben conservata in qualche sorta di criostasi, tanto risulta ancora oggi assolutamente un gran bel pezzo di gnocca come Claudia Schiffer, “è una tedesca!”, come a dire avete visto che facciamo anche le cose gnocche, qui in Germania? No, scusate, questa era l’interpretazione intrinseco-istintiva; quella sottintesa doveva essere “state tranquilli, siete in una botte di ferro, se viene dalla Germania è un prodotto all’avanguardia tecnologicamente, affidabile e serio, costruito con materiali indistruttibili e scusate tanto se facciamo le scarpe a tutti quei barboni con le loro scatoline di latta magari belline a vedersi, si, ma che si accartocciano come stagnola, che si fermano ogni tre per due e chissà cosa ci mettono dentro, secondo me le fanno con le ossa dei morti, mah…”
E invece un furbetto che mette un programma in una centralina e puff! Tutto svanito. “E’ una tedesca”, invece di significare qualcosa di positivo, è diventato sinonimo di truffa, di imbroglio. “E’ una tedesca”, “bella inculata”, viene da pensare.
Purtroppo non ho dati per confermare questa ipotesi, ma sembra che sia sparita anche la Schiffer dagli spot televisivi del marchio concorrente a pronunciare la sua frase magica. Siccome però per noi motociclisti la Germania significa moltissimo, in termini di affidabilità, sicurezza, tecnologia, design, e vorremmo continuare a vedere la signora Schiffer, che nei tempi della mia gioventù ha addobbato col suo algido sorriso le pareti della mia cameretta ispirando non pochi pensieri (e atti) impuri e ci piacerebbe continuare a vederla ispirare sicurezza e gnoccosità, ci auguriamo di vederla tornare al più presto come testimonial pubblicitario, magari di qualche marchio motociclistico, un mondo che ci auguriamo non intaccato da scandali di questo genere.