di Carlo Nannini (Kiddo)
Credo di aver tenuto questa scatola di mezzi toscani nel borsello agganciato al manubrio per diversi mesi. È incredibile la capacità che hanno i sigari di bagnarsi sotto la pioggia, essere lasciati al sole, alla polvere o dimenticati per tanto tempo e poi risultare comunque fumabili; anzi, in questo momento, non mi pare di aver mai assaporato aroma migliore. Neanche fra quei Montecristo che portai da Cuba nel ’95, in due scatole da venti, pagati pochi dollari da un tizio dove ci accompagnò un ragazzo del posto che trafficava con gli stranieri, e che ci venne ad aprire la porta imboscando un enorme machete dietro la schiena.
Non che io sia questo gran fumatore, giusto un sigaro quando capita l’occasione; oltretutto puzza, richiede tempo e poter stare all’aria aperta senza nient’altro da fare. Una condizione, per una merda iperattiva come me, decisamente rara.
Ma questa è una di quelle volte in cui ti attacchi a quella punta incandescente come se fosse la tua migliore amica, una fiammellina accesa, un barlume di compagnia mentre sono solo in uno slargo per la sosta di emergenza della superstrada Firenze Siena, aspettando che quel sant’uomo del mio babbo venga a prendermi col furgone. Le numerose auto dei pendolari del fine settimana al mare mi sfrecciano accanto, ognuno rassegnato al rientro in città mentre il sole della lunga giornata estiva sparisce dietro la collina di San Donato, e mi lascia sempre un po’ più disperato nella mia condizione di appiedato.
La botta infatti l’ho presa! Non sono cascato ma la paura, lo shock e il dispiacere per quella povera bestia ferma immobile al lato della strada è stato tanto; poi, sicuramente molto più rincoglionito di quanto potessi rendermi conto, col radiatore che già gocciolava liquido appiccicoso, ho visto che la moto andava bene e sono ripartito subito, in considerazione dell’insegnamento ricevuto da bambino che “bisogna rimontare subito in sella, così passa la paura!”
È una minchiata, non passa una bella mazza, per giorni ho rivissuto la scena del capriolo che sbuca dalla macchia e, per quella frazione di secondo che mi accorgo dell’animale, sembra deciso a centrarmi, nonostante stessi andando piano sulla strada di collina e con la paura proprio di un incontro del genere.
Credo di aver anche provato a frenare, chi potrebbe dirlo, e sicuramente ho fatto in tempo a pensare “ora volo, distruggo me e la moto, forse non la racconto”.
Invece sento una gran botta, vedo il capriolo che rimbalza da dove è venuto, e invece di vedere il mondo impazzire nelle dimensioni, nel sopra e nel sotto, nella gravità e nel dolore fisico, rimango seduto in sella, come se avessi preso una buca, accorgendomi dello strano suono che viene dalla ruota davanti. “Chissà cosa ho piegato” invece è solo il parafango basso che rompendosi, è andato a strusciare sulla ruota. Il radiatore invece gocciola perché si è staccato dal supporto e ha battuto sulla staffa del telaio. Sembra anche poco danno, per fortuna; il povero capriolo, un bel maschio giovane con due bei cornetti è rimasto stecchito sul colpo, e la cosa mi provoca un senso di colpa devastante.
Lo so che non potevo farci nulla, che non è colpa mia, che andavo pure piano su una strada dritta, però essere causa della morte di una bestia delle dimensioni di una persona è comunque traumattizzante, anche se poi dovevo farci il sugo, dovevo chiamare un sacco di amici per far posto nel congelatore, dovevo legarlo sulle borse per portarlo a casa. Bastava un attimo prima, o dopo, e lui era ancora a cercare di ingropparsi una bella femmina giovane e profumata di selvatico, e io non dovevo fermarmi sulla superstrada con la spia della temperatura che lampeggiava, nonostante abbia rabboccato il radiatore con l’acqua dei turisti tedeschi che mi guardavano increduli che stessi finendo la loro bottiglia di Uliveto per lavare dentro la carena della moto.
Davanti a me, dopo la botta, si ferma il furgoncino arancione che mi precedeva; l’uomo alla guida, che ha assistito alla scena dallo specchietto retrovisore è sorpreso quanto me di vedermi illeso e mi consola raccontandomi di un amico suo che è stato centrato in bici da un capriolo e si è rotto la clavicola. Essere in buona compagnia però, chissà perché non mi conforta, e rassicurando il mio nuovo amico sulle mie condizioni psicofisiche e sulla moto che sembra quasi a posto decido di ripartire, lasciando il povero animale a lato della strada. “Tanto, tranquillo! Qualcuno lo prende di sicuro.”
E così eccomi qui, fermo sulla Firenze Siena con la moto in blocco mentre invidio tutti quelli che sfrecciano in direzione di casa, qualcuno magari mi vedrà e penserà “poveraccio chissà perché è fermo, come tornerà a casa, chi avrà potuto chiamare” o più semplicemente un umanissimo “meno male che non è capitato a me, di rimanere fermo”.
Mentre cala la sera, finita anche la compagnia dell’ultimo mezzo toscano, un sacco di paure, di paranoie, di timori che dal bosco possa arrivare un branco di cinghiali ” motociclista assalito da cinghiali al lato della superstrada, tutti i particolari in cronaca”, di sensi di colpa si fanno strada.
Sarò stato cattivo, mi sarò meritato di beccarmi il capriolo fra ruota e radiatore, sarà una punizione per qualcosa che ho fatto di male?!
Sarò stato presuntuoso, avrò offeso qualcuno magari vantandomi di fare stupendi viaggi con moto da sogno per lavoro?! Sarà questa la giusta punizione per la mia immodestia?! Sarà un segno divino che mi avvisa di abbassare la cresta, che come diceva il babbo di un mio amico ” t’ho fatto e ti disfo”, che come ti ho dato posso toglierti. La salute, i tuoi lavori che ami tanto, la sicurezza che dai alle persone che ami. È un attimo e… puf! Tutto svanito.
Un sacco di paure riescono a prenderti, se ti trovi solo al buio, dopo un incidente, anche se senza gravi conseguenze. Anzi, forse le conseguenze ci sono, e non sono né fisiche, né materiali.
E forse, rimontare subito in sella potrà servire ad attenuare la paura, prima che diventi insostenibile, che mi impedisca di tornare a fare una delle cose che amo di più al mondo, ma sicuramente non la fa dissolvere del tutto come se niente fosse successo, come la nebbia prima di una bella giornata di sole.
La moto sul furgone, gli amici di Nova Moto che me la rendono dopo pochi giorni perché “mi serve per lavorare”, e sembra che davvero non sia successo niente. O quasi.
Solo un po’ della mia spensieratezza è rimasta al lato della strada, insieme al capriolo morto.
Speriamo che almeno, qualcuno ci abbia fatto il sugo.