Il nostro Franz dedica una lirica agli odori della nostra memoria, soprattutto quando si sale per la prima volta su delle moto nuove
Quell’odore che sentivate quando andavate a casa della prima fidanzata e che riconoscereste tra mille ancora dopo decenni.
Quel profumo di sano dentro le erboristerie. Quello polveroso e ovattato dei negozi di tappeti.
Quello fresco dell’erba bagnata, del muschio, della resina di una pineta.
La fragranza del forno sotto casa che d’estate all’alba si intrufola dalla finestra aperta.
Il profumo dell’arrosto la domenica tra i vicoli di un paesello. La brace di una grigliata.
L’odore dimenticato della gommapane o della coccoina, che ci riporta sui banchi di scuola.
L’odore della cera e dell’incenso che avvolge la penombra di una cattedrale.
Ma soprattutto quell’odore inconfondibile che sale su dal motore via via che si scalda la prima volta che lo mettiamo in moto nel piazzale della concessionaria.
La pelle della sella, le plastiche e i metalli, le gomme belle nere, tutto profuma di un misto di pulito e di ancora incontaminato.
Mentre le mani scorrono sulle forme e gli occhi si riempiono di quei volumi e colori che ve l’hanno fatta scegliere, mentre le orecchie di concentrano sul ticchettio delle valvole e sulla musica dello scarico, la moto appena acquistata sembra voler stabilire un ulteriore contatto emanando ferormoni.
E’ il classico odore di nuovo, che ancora alla centesima moto emoziona e mette anche un po’ di soggezione.
E’ il momento, infilo casco e guanti, mi specchio nella vetrina, che fico!, inserisco la prima, mi immetto in strada per i primi chilometri di conoscenza reciproca.
E mi accoglie anche un altro odore: quello tipico dell’asfalto bagnato, anzi quello dell’asfalto che si sta bagnando dopo settimane di barometro sul bello stabile, e il ticchettio delle valvole viene coperto da quello dei goccioloni sulla visiera.
Sì perché “primo giro con moto nuova” potrebbe essere un buon metodo da brevettare contro la siccità.