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Moto Guzzi: “non è un marchio per vecchi”

di Kiddo

L’appartenenza ad un determinato marchio, a volte diviene come una religione.

E’ un credo, un modo di essere, una chiesa nella quale entri e influenza anche una parte della vita, delle persone che frequenti, dei posti dove vai.

La ricerca di una identità che contraddistingue una determinata Casa produttrice operata magari a livello sub-occulto dagli specialisti del marketing si riflette in qualche modo sul modo di essere, agire e interagire di chi acquista e ama modelli di quel marchio. Sempre più spesso è la fidelizzazione ad un prodotto, specie in ambito motociclistico, che fa si che quando si entra nella comunità si venga coinvolti in iniziative, raduni, presentazioni di nuovi modelli, come se oltre ad aver speso per entrare nella famiglia, si debba continuare col promuoverla.

Bmwisti, harleysti, kappisti, ducatisti sono così convinti e fieri di ciò che sono, che si possono delineare le caratteristiche di ciò che ricercano in maniera precisa: funzionalità, ipertecnologia e affidabilità l’uno; spirito americano dei grandi spazi l’altro; combattività racing i terzi; passionisti della velocità e dell’estetica stradale gli ultimi. Canoni dettati da ricerche di mercato ben precise, mirate a creare una identità forte nella quale riconoscersi.

Una categoria a sé, anche perché molto più difficile da inquadrare, sono i guzzisti!

Non so se posso definirmi guzzista, non vorrei offendere nessuno: ho una Moto Guzzi V11 Sport (anzi, UN V11, qualcuno si sarà già inalberato..) da poco tempo e, benché ne sia innamorato come quasi mai mi è successo in quasi trent’anni che vado in moto, non posso dire di aver frequentato raduni, né di conoscere a fondo questo mondo. Quindi ho una Guzzi, non so se sono guzzista. Mi chiedo: ci vorrà un patentino?! Ma poi, come già detto per gli altri marchi, cosa identifica un guzzista? A giudicare dalle reazioni di molti smanettoni amici miei, il guzzista viene identificato come un motociclista piuttosto sfigato e anziano (giovane, comunque, mai) per cui con i miei quarantadue anni suonati sono davvero al limite, forse per il Kiddo un pensionamento anticipato? Chissà.

“Grande” in senso anagrafico, dicevo; poi, decisamente “fermo”, perché guida un cancello di ferro, con pochi cavalli e un telaio (il mio V11 in questo non aiuta a contraddire) che pare fatto da uno che monta ponteggi, di solito un quadrello di ferro dove sta appeso il motore. Valori di interasse da pullman di linea, motore con tanta coppia ma poco allungo.

Benché modelli come la Griso o la Stelvio in tempi recenti abbiano decisamente tentato la strada di un discreto rinnovamento, vengono riproposti anche ai Saloni, o sulla crepuscolare brochure della Scuderia con piccole differenze di colorazione, al massimo si mettono i cerchi a raggi sulla Griso. Botta di vita! Assente totalmente la 1200 Sport, mentre i tre modelli proposti qualche anno fa su disegno di Terblanche, decisamente rivoluzionari in impatto estetico e probabilmente funzionalità sono spariti del tutto, nonostante denunciassero una precisa volontà di svecchiare l’immagine Guzzi, conservando giustamente un motore-monumento, che potrebbe forse esporsi accanto ad una statua equestre dell’incontro a Teano come simbolo nazionale. I modelli più recenti, i V7 Classic, sono dei neo-retrò che, salvo forse un piccolo numero di amanti del vintage modaioli, riscuotono successo solo presso un pubblico di nostalgici.

L’immagine proposta da Moto Guzzi, forse volutamente per non pestare i piedi ai modelli del marchio Aprilia appartenenti allo stesso gruppo, è senza dubbio rivolta ad attirare un pubblico adulto, che ha posseduto motociclette Guzzi negli anni ’70 ed ’80 quando erano competitive anche a livello agonistico, ma questo indirizzo non appare forse come una strada senza uscita? Non è pericoloso dare alle proprie moto la sola possibilità di venir considerate da uno zoccolo duro di appassionati o di motociclisti inadatti a moto dalle forti emozioni? Le Daytona, le V7, erano moto fatte per dare emozioni forti, per chi le amava nonostante e forse proprio perché vibravano, puzzavano, erano difficili da guidare ma regalavano grandi sensazioni! Comunque, moto al passo coi loro tempi, fatte per attirare un pubblico di giovani.

Se l’identità di altri marchi si può delineare con pochi ma rapidi tratti, una sorta di caricatura, di bozzetto, quale identità presenta il marchio Moto Guzzi?

Io non so se sono guzzista, ma di sicuro non sono vecchio, e adoro il suono, le vibrazioni, la spinta del mio V11. Non mi importa fare centinaia di chilometri per fermarmi ad ammirarla felice come un bambino, spesso mi basta andarci al lavoro o arrivare in cima al Passo, tirarla fuori per portarla a fare una sparatella, anche se non va forte e per stare dietro a supersportive recenti rischio l’osso del collo. La magheggio con tuning un po’ arditi che a volte sono un po’ titubante a rendere pubblici, poiché pare che il Guzzista non sia un grande amante dei taroccamenti a favore di un rispetto della deontologia estetica della storia del marchio. Invece anche le preparazioni ardite, le modifiche non classiciste sarebbero un ottimo impulso alla riscoperta di una casa che rappresenta meglio di ogni altra l’Italia e la sua storia motociclistica. Si capisce perfettamente che non è questo il momento di gettare il cuore oltre l’ostacolo nella ricerca di allargare la propria fetta di mercato con investimenti arditi, personalmente sono affascinato dalla nuova e stupenda California, ma cosa non avrei dato per provare quella Guzzi Motard intravista nell’ormai lontano 2009, una cosa veramente nuova e rivoluzionaria, ma che sembra lontana dallo spirito che identifica Moto Guzzi, purtroppo.  

 

 

La foto di copertina è per gentile concessione degli amici del direttore, Moe e Ryan di Cycle Garden (California).

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