Cronaca di un evento motociclistico che è una tradizione, la Motobenedizione di Capodanno a Montesenario, tra il sacro e il profano
La motobenedizione di capodanno a Montesenario più che una tradizione, è un rito!
Il luogo è un santuario/convento su una collina a nord di Firenze, uno di quei posti che ti affacci e domini la vallata sottostante a 360 gradi, nella fattispecie quella del Mugello. D’altra parte i frati hanno sempre avuto occhio per le location, si è mai visto un convento sullo svincolo della tangenziale?
L’appuntamento è nel primissimo pomeriggio per sfruttare le ore più “calde”, e non dovessero essere sufficienti i raggi di sole basta fare un salto alla distilleria annessa alla chiesa per procurarsi un po’ di calore.
Poi alle 14.30, puntualissimo, il priore esce col suo aspersorio, e comincia a benedire tutti girando per il piazzale e il viale di accesso pieno di moto. Che poi a un mangiapreti come me l’acqua benedetta dovrebbe provocare ustioni. e invece tutti gli anni mentre il parentado si mette a tavola io mi vesto a strati di lana e pelle e saluto tutti per andare su per la collina. Che poi oh, è vero che io alle benedizioni e tutte quelle cose lì non ci credo, però lascia stare, male non fa, e poi… ‘un si sa mai.
Più che un vero e proprio raduno, è un ritrovo di amici, non hai appuntamento con nessuno in particolare ma sai che di sicuro troverai qualcuno che ti dirà “Guarda chi si vede, Ciao Franz, buon anno!”. E sono strette di mano, pacche sulle spalle, racconti di bagordi della sera prima, e resoconti di pieghe e di viaggi da un anno all’altro.
La fauna è varia, sia umana che meccanica. Trovi lo smanettone in tuta di pelle e ginocchiere alla frutta, quello che sporge il culo dalla sella anche per mettere la GSXYZZR SuperTurbo sul cavalletto. Trovi l’harleysta che sfoggia il giubbottaccio pieno di spille e patacche ma da domani torna un inquadratissimo impiegato di banca. Trovi il ragazzino col Ciao e la “su’ mamma” tutta orgogliosa che il Ciao era il suo di quand’era ragazzina. Trovi il baffone con una spettacolare Terrot del ’25 e ancor più spettacolari calzettoni a losanghe e scarpe bianche.
Trovi il guzzista col cappello da cowboy il giubbotto con le frange e i pantaloni di gabardina con la piega fresca di stiratura. Trovi l’espertone che si accovaccia accanto a ogni moto tutto assorto in contemplazione di chissà quale particolare, trovi quello con casco e abbigliamento fuori dal tempo che mette in moto il tre cilindri Kawasaki con la pedivella, trovi una MotoBi 650 che ne devono aver vendute tre in tutto e quella pare uscita ieri dalla concessionaria, trovi una Aspes 125 Yuma, sogno proibito dell’adolescenza, e accanto una Panigale 1299 R, sogno proibito di qualche decennio dopo, trovi uno che chiede a un altro se gli fa sentire il rombo del suo attrezzo e l’altro che si schernisce ma gli brillano gli occhi dalla gioia di poterlo condividere e spiegare e raccontare, e non riesco a immaginare quanto gli sorrida il cuore.
E io gironzolo tra ferrivecchi e personaggi, gioielli e amici, e gli anni passano ma il primodellanno son sempre lì, magari con un maglione in più, ma sempre con la stessa aria del bambino nel paese dei balocchi.