di Carlo Nannini (Kiddo)
Tutti ne abbiamo uno, e se non è così si è motociclisti tristi. Anzi, questo ve lo dico con certezza, se non avete il vostro non siete motociclisti proprio.
Sto parlando del garage ideale, quello che contiene le moto che avete avuto e che rimpiangete, o che non avete mai potuto avere, o che vorreste aver provato almeno una volta o ancora, se siete fra i pochi fortunati che hanno la possibilità, che in questo momento stanno occupando felicemente il loro posto nel vostro box e che aspettano il loro turno per fare un bel giro.
Quelle due, tre, quattro o quante ve ne pare a voi di motociclette che vi farebbero pensare che siete realmente a posto, che vi renderebbero felice e che usereste a turno.
Nessun limite di spesa o di consumi, solo la fantasia più sfrenata, immaginatevi ricco e affamato di emozioni come lo siete adesso: cosa formerebbe il vostro garage Ideale?
Siccome ho gettato il sasso non nasconderò certo la mano, e metterò dentro il mio garage perfetto le tre moto che in più di trent’anni di carriera mi hanno dato più emozioni, e che vorrei adesso, nuove di pacca fiammanti. Sono tre moto per tre generi diversi: una maxienduro, una naked e una maximotard. Tutte europee, tutte bicilindrici, perché per me la moto è così. Il garage ideale è personale, opinabile e assolutamente discutibile. Ma è il nostro.
La prima è il BMW r1100gs giallo acido; perché quando uscì fu una rivoluzione, perché ti faceva sentire il mondo in tasca, pesante e stabile come un trattore, che quando l’accendevi sbatacchiava a destra e sinistra e a cinque all’ora stava in piedi da sola; perché proteggeva poco dall’aria in confronto ai giesse di oggi; aveva una coppia trainante e dava un gusto nel guidarla, se capivi che bastava assecondarla senza mai forzarla, che le tedesche di adesso non sanno neanche cosa sia.
La seconda è una Moto Guzzi che ho tenuto a suo tempo solo un anno perché l’ho presa tardi, ed era malmessa, ma credo sia la moto perfetta, per il suo genere, ovvero la V11. Bella, soprattutto se magheggiata col manubrio alto, gnudata di un sacco di plasticoni, coi filtri di carta e i Lanfranconi aperti. Un suono che a ripensarci viene la pelle d’oca. Le teste dei cilindri che facevano da battuta alle ginocchia, e infatti guidavo con quelle, un cardano che non perdonava nulla in staccata, una moto che non girava se non ti buttavi giù appeso al manubrio neanche di un centimetro e che non potevi distrarti a guardare il paesaggio neanche un attimo, perché lei andava dritta. Un motore che aveva solo coppia, poi finiva, ma che gusto, che bellezza ritrovarsi a danzare su quelle pedane con quel missile lunghissimo sotto il sedere. Potevi starci una giornata sopra tanto era comoda ma bastava fare due chilometri per poter dire : “cazzo oggi si che sono andato in moto!”
La terza moto che completerebbe il mio garage ideale è il kappone, il KTM Sm 950. Carburatori, una impostazione di guida con le gambe troppo larghe per un motard ma capace di girare in kartodromo, scomoda per viaggiare soprattutto in due, protezione aerodinamica zero, ma con un po’ di cupolino e due borse morbide ci abbiamo fatto anche il turismo.
Perché al Kappone gli perdonavi tutto, voleva fare la moto totale ma la morte sua era uscire dalle curve a cento all’ora in terza e metterla a bandiera con un colpo di frizione, una moto tanto stupida quanto avrebbe voluto essere intelligente, che con un ktm 640 con la metà dei cavalli e del peso facevi meglio le stesse cose, ma evitando di squartare trenate di gomme, un grammo di olio motore al chilometro e senza passare diversi anni a darle del voi prima di potergli dare mezza manopola del gas. Ma quando la capivi, quando l’avevi finalmente domata, sempre dandole del lei, la 950 Sm diventava un appendice del corpo, con la quale danzare fra le curve come su una sportiva, che schiacciavi sul tornante come una supermoto e con la quale infilavi sul ghiaione di una strada bianca a cento all’ora.
Poi chiaramente i tempi cambiano e così le moto, e solo casualmente ho scelto tre moto del passato recente, che adesso sono diventate dei ferri vecchi e che insieme non farebbero l’uso di una sola moderna.
Però a rivederle li tutte insieme, che tuffo al cuore sarebbe!