di Kiddo
Qualche giorno fa nella piazza di Fiesole, una sorta di salotto buono di Firenze dove si va a fare la giratina la domenica pomeriggio, prendere un caffè allo storico “Numero 5” o a portare la tipa a fare una passeggiata fino al bellissimo parco di San Francesco, ho potuto assistere all’arrivo di due centauri che hanno parcheggiato le moto accanto a “Vinandro”, altra trattoria rinomata e modaiola, meta di sgamati turisti e locali buongustai.
I due guidavano l’uno una vecchia Suzuki 500, bicilindrica a giudicare dal rumore, roba anni ’80, non saprei dire il modello, specchiettiesente; l’altro sfoggiava una delle moto che prediligo da sempre: una meravigliosa Yamaha Xt 500, serbatoio cromato, chettelodicoaffare, perfetta, stupenda. I due si sono incamminati in direzione della piazza e del poco struscio del mercatino domenicale, per cui ho potuto osservarli con attenzione: sembravano usciti da una di quelle immagini pubblicitarie che cercano di ritrarre splendidi fotomodelli/e che si sparano le pose che dovremmo avere noi motociclisti, o che si vedono in alcune riviste patinate.
Tenevano al braccio il casco jet, di quelli che io non riesco neanche a fare due chilometri che mi metto a piangere come un vitello, giubbotti in pelle presi a qualche mercatino di roba usata o vintage, un po’ fuori misura (si sa, non è detto che trovi proprio la tua taglia…), jeans stramodaioli dentro stivaloni di pelle neri ovviamente non protettivi, come il resto dell’abbigliamento comunque non tecnico. Due figurini, e sinceramente mi è sembrato naturale accostarli alle immagini degli infiniti motociclisti che ho conosciuto in tanti anni: sporchi, grattati, sudati dentro a tute tecniche di pelle, oppure magari eleganti alla partenza con pance stipate in tute di cordura da turismo, sporchi e sfatti a fine giro, con quella meravigliosa luce di soddisfazione totale che brilla negli occhi, ma comunque sempre naturali, vivi, veri.
Ora lo so che vi aspetterete che io voglia stroncare a priori questi due che neanche conosco, per quanto ne posso sapere sul loro conto sono due viaggiatori incalliti che stanno partendo per il giro del mondo e non due tizi che se la tirano da motociclista per raccattare qualche americana in vacanza, anche se l’impressione era proprio quella. Anzi, per dimostrarvi che non intendo criticarli arriverò a dire che anche il loro atteggiamento può avere un perché, e reclamerò per la loro categoria una reale dignità e motivo di essere.
Consideriamo le specialità e le tipologie motociclistiche come dei settori variopinti e multiformi, ma decisamente suddivisi: il turismo, la velocità, il cross, il motard, il custom, il dirt track e chi più ne ha più ne metta, e non tutte prevedono per forza che si debba correre, anzi; qualcuna fa proprio della lentezza e della contemplazione la sua principale filosofia. E allora io chiedo: perché non considerare una nuova categoria, un nuovo modo di vivere la moto, che non solo non prevede la velocità, ma anzi non consideri essenziale neanche il saperla guidare ma unicamente lo scenderci, starci intorno, inforcarla facendo brumbrum con la bocca ma sempre e comunque sempre vestiti da motociclisti, con abbigliamento retrò o finto retrò, moto vintage restaurate o meno, a volte anche rottami non marcianti perché non è necessario che lo facciano. Pensate soltanto all’incredibile vantaggio in tema di sicurezza stradale: non ci si deve neanche andare, in strada!
Come ogni creazione la nostra nuova specialità ha bisogno di un nome: lo chiameremo FASHIONING.
Ovviamente avrà i suoi ritrovi, i suoi raduni; gli appassionati potranno scambiarsi su appositi forum le impressioni dell’ultima sfilata di moto-fashioning tenutasi a Pitti Motociclista, oppure i consigli su come invecchiare Belstaff troppo nuove prestandole a qualche amico endurista. Presto avremo una pagina facebook sulla quale potrete iscrivervi, e anche Moto On The Road seguirà attentamente con servizi dedicati l’evolversi della nuova tendenza, oltre a segnalare dove si ritrovano gli appassionati del Fashioning.
Almeno, sapremo con esattezza dove non andare.
Si riassume in poche parole: il mensile Riders di Roberto Ungaro