L’essere nato figlio di un motociclista della Polizia Stradale è stato uno dei maggiori impedimenti alla pratica della mia passione. Mio padre diceva sempre: “davanti alla moto c’è scritto morte!”. Un deterrente che però non mi impediva di nascosto di guidare i motorini dei miei amici, conscio che il rischio maggiore non fosse farmi male cadendo o che altro, ma che lui lo scoprisse. Giunto all’età di 18 anni la prima cosa che ho fatto è stata comprarmi una moto con i risparmi racimolati dai classici lavoretti da studente (cooperative di facchinaggio, ortomercato, ecc). Ed ecco che prima ancora di fare la patente avevo già la moto! La patente A mi vedeva incredibilmente passare alla prima prova, cosa per nulla facile presentandosi senza agenzia. Ma la voglia di andare in moto aveva messo le ali alla memoria e mi ero ben districato dai quiz a trabocchetto dell’esame.
La mia DKW 250 RT andava quasi più a olio che a benzina. Il meccanico che me l’aveva venduta, per mettere al sicuro la coscienza da eventuali grippaggi mi aveva consigliato una miscela al 5%.
Probabilmente inquinavo più di una centrale a carbone, ma allora nessuno ci faceva caso e nessuno si preoccupava del problema inquinamento. Sicuramente avrò contribuito anch’io a rendere il Duomo di Milano color carboncino, insieme alle raffinerie di Pero, che quando il vento tirava verso Milano c’era da chiudersi in casa per la puzza.
In questi 40 anni di motocicletta – tenendo anche conto di quelli furtivi – ho scoperto che in realtà andare in moto è una delle cose più corroboranti che possa fare. In moto sono felice, in moto mi spariscono i dolori, mi sento più giovane, in moto mi diverto. E quando la mia dottoressa, guardando gli esami mi ha detto: “Falanga, per la prima volta lei ha un po’ il colesterolo alto”, le ho chiesto: “Ma se facessi un po’ di moto cosa ne penserebbe?”. La dottoressa mi ha risposto: “Lei DEVE fare un po’ di moto!”.
Dottoressa, quanto le voglio bene!