Da una rimpatriata tra vecchi amici vengono fuori un sacco di ricordi e una proposta per il raduno invernale per eccellenza, l’Elefantentreffen
Sarà capitato a tutti voi di incontrare per caso un vecchio amico, uno di quelli conosciuti sui banchi di scuola e col quale avete diviso gli anni dell’adolescenza, e lo sapete come vanno le cose, guarda chi si vede, come stai cosa fai, dai incontriamoci qualche volta, lo scambio dei numeri di cellulare, e la consapevolezza che per qualche altro decennio non ci ritroveremo. E invece stavolta è diverso, potenza di facebook e di whatsapp, una sera arriva un messaggio: “Ho rintracciato un po’ di gente, ci troviamo per una cena questo giorno a quest’ora, ovviamente al solito posto!”. Il solito posto è la piazza dei nostri pomeriggi passati a smontare carburatori, a ragionare delle interrogazioni e dei compiti in classe del giorno dopo, a sognare viaggi in moto, Elefantentreffen compreso, a discutere di manifestazioni e cortei di quei periodi caldi, a tenere a bada tempeste ormonali provocate dalle ragazze in camicette a quadri e jeans scampanati.
Arriviamo all’appuntamento alla spicciolata, tre, cinque, dieci, qualcuno in scooter, il sottoscritto sulla Vespa di allora (in primo piano nella foto sopra, n.d.r.) riesumata e assicurata per l’occasione. Il gruppo riprende forma, pacche sulle spalle, qualche chilo di troppo qua e là, sfottò sui capelli un tempo da rockstar e ora alla Bruce Willis, abbracci e apprezzamenti alle signore belle come allora, qualcuna in camicetta a quadri e jeans scampanati, e sono pronto a scommetterci, anche qualche batticuore mai sopìto.
Il tempo di un antipasto e già al primo boccale di birra è tutto un susseguirsi di aneddoti e ricordi che tornano prepotentemente a galla, pagine di vita che come fogli impolverati cominciano a volteggiare al soffio del vento.
Come quella volta che Vanni si presentò in piazza a fine estate col Bravo (in secondo piano nella foto) tutto arrugginito e confessò di essere finito in mare, causa una staccata un po’ troppo lunga quando, dopo essere sceso lungo una rampa di scale che portava in spiaggia, imboccò a tutto fòco uno scivolo di alaggio delle imbarcazioni. Il tutto per far colpo su una ragazza.
Che, finalmente ha confessato, non giela fece nemmeno annusare.
O quella volta che Roberto aveva elaborato – sacrilegio! – un Motom 50, quello a quattro tempi, con tanto di scarico artigianale e parafanghi alti da endur… ops… Regolarità, e per provarne l’efficacia non trovò di meglio che mettersi a derapare tra i pini della piazza senza accorgersi della Volante che si era fermata a osservarlo. E noi a urlargli chi di fermarsi, chi di scappare, chi di costituirsi, e quando finalmente si accorse della situazione e si fermò dichiarò candidamente ai poliziotti che i documenti li aveva lasciati a casa e che abitando lì vicino sarebbe andato a prenderli. E infatti lo fece, inforcò il primo motorino a caso e prese di corsa la strada di casa.
Contromano.
Tornò davvero coi documenti e questo gli salvò la fedina penale.
O quando io e Arturo tornavamo in Vespa, in piena notte, da una serata un po’ etilica e fummo fermati dai Carabinieri in assetto poco rassicurante. Erano gli anni di piombo, e il mio amico aveva in mano un foglio di carta che durante il controllo fece in mille pezzi forse per allentare la tensione, e quando mosse un passo per andare a gettarli in un cestino uno dei Carabinieri, mitra puntato, gli intimò di non muoversi, e allora lui, in un moto nervoso, li gettò in aria tipo coriandoli di carnevale, facendomi raggelare.
Ancora ringraziamo il sangue freddo dell’appuntato.
O quando io e Saverio andammo al Salone di Milano (allora non si chiamava ancora EICMA) un giorno che saltammo la scuola, e lui si innamorò di quelle strane moto leggere e dalla sella striminzita, e durante il viaggio di ritorno in treno era stranamente pensieroso, e all’improvviso sbottò: “Ho deciso: la faccio da trial!” Intendeva la sua Gori 125 col motore Sachs 7 marce, un delitto oltre che un’impresa impossibile, ma lui non si perse d’animo e a forza di segare e saldare realizzò un esemplare unico di moto da trial dalla coppia e potenza altissime. Ovviamente inguidabile. E del cui scempio non esistono foto. Per fortuna.
E tra un bicchiere e l’altro di Morellino di Scansano gli aneddoti si sprecano, si ricorda e si ride, ci si scopre cresciuti ma nemmeno troppo, e alla fine viene fuori che l’affermato manager e il bravo commercialista, i belloni della combriccola, che all’epoca più che ai motori erano interessati a far valere il proprio fascino (chiamali scemi!), oggi sono inaspettatamente incalliti e rudi motardi e mi invitano a unirmi a loro per il prossimo Elefantentreffen.
E chissà che presto non avremo un’altra storia da raccontare.