Il parcheggio del passo della Raticosa è pieno di moto, normale per una domenica di maggio. Mi fermo sul lato della strada del bar, in modo che non ci sia da attraversare. I miei bambini adorano venire in moto con me, ma devo sempre ricordarmi di non esagerare coi chilometri, e ho promesso ad Axel un gelato a metà strada. Per questo scende facendo leva sulla pedana, gli do i soldi e trotterella verso lo Chalet.
Io come al solito mi concentro su qualche modello parcheggiato: se mettessimo lo stesso morboso interesse nel guardare le forme di una bella donna le nostre compagne ci prenderebbero a calci, invece il nostro disdicevole atteggiamento da guardoni è giustificato dall’interesse per le caratteristiche dinamiche, per qualche dettaglio tecnico o per un interessante accessorio per il turismo. Tre modi diversi, questi, di intendere il vivere la motocicletta.
Credo infatti che ci siano tre diverse categorie dei cosiddetti “motociclisti”, con un certo margine di osmosi fra un tipo e l’altro ma comunque abbastanza distinte.
La prima, quella che viene in mente d’acchito anche a chi non naviga nel nostro mondo è quella dello smanettone. Non importa se gli date in mano una Ducati Panigale, uno scooter elettrico o un chopper con le frange. Lui ci darà il gas. Appena montato in sella e acceso il mezzo girerà tutta la manopola, lo metterà su una ruota, arriverà alla prima curva impiccato sulla ruota davanti e porterà al limite qualsiasi cosa, spesso e volentieri anche ignorando totalmente le caratteristiche tecniche di ciò che sta guidando. É il tipo che se viene a fare un giretto quasi sempre non ha idea di dove si trovi, quanto tempo potrebbe volerci o che strada dovrebbe fare per tornare a casa. Non ci ha potuto pensare: ha dato il gas, lui. Allo stesso modo, non saprà dire quando ha fatto l’ultimo tagliando, o a che pressione tiene le gomme. Che gli frega? L’importante è andare forte.
La seconda categoria è quella dei meccanici. Spesso non solo non sanno neanche come si esce dal garage, considerano le pedane dei semplici poggiapiedi e non sono minimamente interessati a qualsiasi genere di itinerario che non includa il tragitto casa-ricambista. Sui forum caricano foto di modifiche, trasformazioni, upgrades, mai di un bel paesaggio o di quando si son sparati una pinna. Conosco uno che ha comprato la moto nuova e, portata a casa sul carrello l’ha spippolata tutta, motore compreso, e poi l’ha rimontata meglio che in fabbrica. Alla prima giornata di bel tempo è caduto uscendo dal garage e si è distrutto un ginocchio. Oppure ci sono quelli che vanno in moto mezz’ora alla volta ma solo per avere la scusa per poterla lavare, operazione che eseguono con una minuzia spossante, da esaurire una persona “normale” solo a parlarne. Un amico con la scusa di lavare meglio la 1098 smonta anche le carene, la lava in tre volte, cera e svitol. Ancora devo vederla, la moto.
E poi ci sono i turisti. Non i viaggiatori, attenzione, lì parliamo di gente che ripara con un martello e un pò di fil di ferro centraline bruciate o imbiellaggi mangiati dalla polvere del deserto. Più semplicemente, quelli che si commuovono davanti ad una bella cartina della Norvegia e sono capaci di stare a studiarla per ore filate, che conoscono a memoria i nomi di tutte le frazioni di comune per un raggio di 300 chilometri da casa e che partecipano ad eventi con semisconosciuti semplicemente perché “lì, non c’ero mai stato”. La pista è la cosa che capiscono meno in assoluto, trovano incredibile che qualcuno possa trovare interessante fare lo stesso giro per più di un paio di volte di fila, e se proprio trascinati da qualche amico al Mugello si fermano in cima alle Arrabbiate per fare una foto panoramica del circuito. Non che non sappiano guidare più che bene, d’altronde le strade polverose della Spagna, il ghiaccio dietro le curve della Foresta Nera o le curve delle Dolomiti hanno formato dei motociclisti più che sgamati. Ma non chiedete dov’è il limite dell’aderenza, del motore o delle sospensioni. Manterranno sempre, istintivamente, un notevole margine di sicurezza: quello che, di solito, ti permette di tornare a casa. Allo stesso modo, affidandosi di solito a mezzi più che affidabili conosceranno poco o niente di meccanica e non prenderanno un cacciavite in mano se non per montare un portatelepass.
Chiaramente, sto generalizzando, un vero pilota deve essere per forza anche un mezzo ingegnere, così come un vero viaggiatore conoscerà bene almeno gli interventi di manutenzione e quelli necessari per ripartire in caso di sosta forzata. Comunque, però, vuoi per formazione di come è iniziato il nostro approccio alla motocicletta, vuoi per indole innata, ci sarà sempre una parte che prevarrà delle tre.
Vedendo mio figlio di ritorno dal bar col gelato, mi viene naturale chiedermi se e quale tipo di motociclista potrebbe diventare. Con la pit è molto timoroso, ne è attratto ma non sarà uno smanettone. Di sicuro non gli interessa la meccanica, neanche il Lego mi monta.
“Babbo” – mi chiede indicando la cartina dell’Appennino – “ma noi che strada si è fatto per arrivare qui?”
Ho capito, il sangue non è acqua. Magari ti toccherà smontare le ruote per portarle dal gommaio, o vorrai provare a girare al Mugello, almeno una volta. Mi sbaglierò, ma ecco un altro esploratore.