Dimmi che moto hai e ti dirò chi sei. E vabbè, fin qui non ci piove. Ma parafrasando si potrebbe anche dire: dimmi che abbigliamento usi e ti dirò che moto hai.
La mia montura da viaggio preferita è costituita (era, perché con l’età qualche chilo l’ho messo su) da giubbottaccio e pantaloni in pelle nera, di quelli alla tedesca, con i lacci di cuoio intrecciati dai fianchi alle caviglie, roba da concerto punk, il cugino di Terminator insomma. Tipo che anni fa arrivai ad Amsterdam, e dopo una doccia rigenerante me ne uscii dall’ostello tutto bellino profumatino in jeans e polo freschi di bucato, e ignaro mi avventurai a piedi in quartieri non proprio raccomandabili. Ogni cento metri venivo fermato da disadattati che mi offrivano sostanze non meglio identificate o mi chiedevano oboli per acquistarne loro, il più delle volte con aria non proprio amichevole. Capita l’antifona tornai in ostello e mi ribardai da motociclista punk: oh, non si avvicinò più nessuno!
Per la cronaca all’epoca guidavo una sport tourer made in japan, un po’ taroccata, con diverse primavere sui pistoni, e dall’aria vissuta ma ancora foriera di soddisfazioni, un po’ come certe signore, ormai troppo attempate per sedurti con minigonne e tacchi, ma ancora troppo giovani per ammainare bandiera. E devo dire che con quella mise bella aggressiva facevamo la nostra porca figura.
Da un po’ di tempo invece la scelta di caschi giacche e pantaloni sembra legata a doppio filo con la scelta del mezzo che si guida, non solo nell’abbinamento colori (io su questo ho una fissazione), ma proprio nella tipologia dell’abbigliamento più o meno tecnico.
Se aprendo l’armadio di un motociclista ci troviamo una tuta di pelle con le saponette consumate anche sui gomiti, è abbastanza scontato che appartengano uno che poggia le chiappe sull’ultima supersportiva da 300 all’ora e che lo si incontri a ragionar di traiettorie nei box del Mugello.
Se invece vediamo appesa una giacca triplo strato con membrana impermeabile, protezioni CE, tasche tattiche, ma soprattutto grigio/nera con inserti giallo fluo, sono pronto a scommettere che trattasi di proprietario di maxiendurona macinachilometri, probabilmente bicilindrica e tedesca. Spesso poi le giacche sono due assolutamente identiche, solo una un po’ più piccola, segno che il nostro è ammogliato, e lì accanto ci sono sicuramente i caschi, pure gemelli e ovviamente modulari.
Un altro cliché riconoscibile tra mille è quello composto da giubbotto di pelle, gilet in jeans ricoperto di patch e spille, e stivali similtexani. Se vi prendeste la briga di seguire il tipo, garantito al limone che lo vedreste salire su una Harley. In questo caso ci sono altri particolari rivelatori: se fa caldo la giacca sparisce e il gilet lascia scoperti decoratissimi bicipiti tatuati con teschi draghi e serpenti, dalla tasca posteriore dei jeans fa capolino un portafoglio assicurato all’immancabile catenella, e appesa alla cintura si fa notare una custodia rigida in cuoio contenente, immagino, una di quelle pinze multiuso o un coltellino svizzero.
Ultimamente poi va di moda il modello Hipster: barba e baffi curatissimi, camicia a quadrettoni, gilet in tessuto e pantaloni con risvolto d’ordinanza, un elegantissimo look d’altri tempi. Come pure la moto, sicuramente scrambler o cafè racer, meglio ancora se un modello di almeno un paio di decenni fa modificato e trasformato dalle magie di qualche officina, anzi, atelier.
Si assiste insomma a una specie di processo di identificazione e omologazione, e forse è in atto un cambiamento: se da Easy Rider in poi la moto ha sempre incarnato nell’immaginario collettivo lo spirito di libertà, adesso i motociclisti sembrano apprezzare il fatto di andare in giro praticamente in divisa. La sicurezza prima di tutto ovviamente, ma soprattutto spirito di appartenenza. Il che, anche alla luce di recenti provvedimenti legislativi, potrebbe essere un bene.