Sempre, tra la fine di un anno è l’inizio di uno nuovo, ci si chiede come sarà il prossimo.
Fatti i debiti scongiuri, nessuno può sapere se quello che arriverà sarà l’ultimo della sua esistenza, qualsiasi età si abbia.Tra le varie incertezze della fragilità umana – salute, amore e vita stessa – si sono aggiunte altre componenti che fino a qualche anno fa erano sicurezze consolidate per molti: la casa (la possibilità di comprarla e mantenere senza enormi sforzi) e il lavoro.
Scampata l’ennesima fine del mondo i problemi restano, ben reali e palpabili.
Come tutti sto cercando di farmi un’idea sulla crisi economica e politica del nostro Paese.
Per chi come me è nato nel boom economico, pareva impossibile una situazione dove trovar lavoro per molti fosse così difficile. Devo dire però che negli ultimi 20/25 anni ero molto turbato dall’egemonia culturale, anzi, direi comportamentale, che vedeva molti attenti più alle cose futili che alle cose concrete. Abbiamo trascurato gli aspetti migliori del nostro essere, siamo stati spesso superficiali, non abbiamo investito nel futuro con la ricerca, lo studio, la serietà. Siamo stati cretini come un cinepanettone, sfiduciati per una politica che al tempo stesso appoggiavamo, conniventi con l’imbroglio degli imbroglioni, in attesa di qualcuno che mettesse le cose a posto come un nuovo messia. Questo mi viene da pensare guardando a noi italiani, che siamo come all’estero ci vedono: imbroglioni e scansafatiche, gente che pensa solo a se stessa e mai alla comunità in cui vive, furbi e pagliacci.
Eppure, tra le pieghe di questo disastro, vedo continuamente cose belle. Scopro piccole industrie che producono tecnologie apprezzate in tutto il mondo, posti di una bellezza incredibile, nuovi sapori mai gustati, gente dalle capacità fantastiche, che silenziosamente e caparbiamente continua a fare il proprio dovere, facendo il loro bene e il bene altrui.
Siamo seduti su un tesoro che è la nostra cultura millenaria, siamo custodi di patrimoni artistici come nessun Paese al mondo, abbiamo una cucina straordinaria, abbiamo capacità e fantasia. Ma non abbiamo per nulla senso della cosa pubblica.
Terra sottomessa a mille conquiste, abbiamo associato allo Stato il conquistatore, e come al conquistatore a lui resistiamo, senza mai pensare che la cosa pubblica siamo noi, lo Stato la nostra comune casa. Se solo acquisissimo questa coscienza saremmo veramente il gran popolo che potremmo essere. Al tempo stesso lo Stato (o meglio chi lo ha gestito) ci ha trattato come figli immaturi, lasciando spazi di mediazione e interpretazione alle norme. Basti guardare la segnaletica stradale, che vede spesso limiti di velocità improbabili, impossibili da rispettare, ma posti con l’intenzione di moderare una velocità che sarebbe troppo alta. Scrivono 30 perché sanno che vorresti andare a 120, così la media sarà di poco più di 70, la velocità giusta. Il nostro è il paese delle regole mai rispettate, che un bel giorno diventano inflessibili, lasciando interdetto il cittadino, abituato a ampi spazi di interpretazione della normativa.
Il mio augurio per il 2013 è che riusciamo a trovare la giusta via per valorizzare quanto abbiamo e quanto siamo capaci di fare. Mi piacerebbe vedere prodotti di eccellenza che competono con i migliori manufatti stranieri. Auto e moto, belle e affidabili, prodotte con criteri che si confrontino alla pari con quelli delle aziende europee e non con criteri produttivi da terzo mondo. Operai pagati come nel resto d’Europa, diritti sindacali, ma anche elasticità mentale da parte di tutti. Mi piacerebbe per il meridione lo sviluppo delle eccellenze del territorio, i prodotti alimentari, il turismo, quel “petrolio italiano” che abbiamo trascurato lasciando si passasse dal primo paese al mondo negli anni settanta a posizioni di rincalzo.
Abbiamo bisogno di fiducia e sostegno reciproco, serietà, ma anche la voglia di ritrovare la nostra naturale allegria e la leggerezza del buon vivere.
Che la moto sia con voi.
Buon anno.
Claudio Falanga