testo e foto Marco Ronzoni e Paola Bettineschi
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Dundrod è una tranquilla località immersa nella campagna nord irlandese della Contea di Antrim, pochi chilometri ad ovest di Belfast. Per cinquantuno settimane all’anno riposa serenamente, disturbata unicamente dal rumore dei trattori, dai muggiti dei bovini e dai belati delle bianche pecore.
Poi però, per una settimana, si trasforma in un luogo di culto motociclistico e la sua quiete viene straziata dalle urla di motori superperformanti e dalle scie colorate di bolidi su due ruote che percorrono le sue strade a velocità inimmaginabili. E’ il momento di uno degli appuntamenti più attesi dell’anno motoristico irlandese: l’ULSTER GRAND PRIX con il suo degno anticipo della DUNDROD 150.
Il GP dell’Ulster o più semplicemente “UGP”, nasce il 14 ottobre 1922 su iniziativa di Thomas Moles, uomo politico membro del Parlamento, giornalista e appassionato motociclista. La gara si svolse su un circuito stradale a Clady presso Belfast lungo un tracciato di 20,5 miglia (33 km) che in parte attraversava la pista in erba della base R.A.F. di Aldergrove (l’attuale Joint Helicopter Command Flying Station). L’originale linea di partenza era situata sulla statale B39 da Antrim a Belfast lungo lo spaventoso “Seven Mile Straight”, un rettilineo di 11 km. A quella prima edizione parteciparono 75 piloti, suddivisi nelle classi 250 cc, 350 cc, 600 cc e oltre 600 cc. Vincitore assoluto fu Hubert Hassall su Norton.
Nel 1935, 1938 e 1939 l’UGP fu valido per il Campionato d’Europa. Quell’ultima edizione vide vittoriosa la mitica Gilera Rondine sovralimentata guidata dall’italiano Dorino Serafini. In alcune edizioni presero vita duelli epici, tra i quali quello tra i piloti Ginger Wood e Bob Foster che nella gara delle 250 del 1926, dopo oltre 200 miglia di testa a testa, tagliarono il traguardo così appaiati da costringere la giuria ad assegnare la vittoria al primo per soli 15 centesimi dopo oltre un’ora di consultazioni, riconoscendo al secondo il giro più veloce. Dopo gli anni bui della Seconda Guerra Mondiale, la gara ricominciò nel 1947 sempre a Clady ma su un circuito ridotto a 16,647 miglia (26,5 km). Nel 1948 fu di nuovo valida per il Campionato Europeo e dalla stagione seguente divenne appuntamento del Motomondiale.
A causa della pericolosità del circuito di Clady, teatro di incidenti gravissimi tra cui quelli che nel 1951 videro la morte di Sante Geminiani e Gianni Leoni, nel 1953 la gara si spostò su quello di Dundrod, inaugurato nel 1950 per ospitare inizialmente gare automobilistiche non valide per il mondiale riservate alle monoposto di Formula 1, assegnando poi negli anni a seguire il Tourist Trophy riservato alle quattro ruote. Durante gli anni successivi il nuovo tracciato del UGP subì delle modeste variazioni, assestandosi poi sulle attuali 7,4011 miglia (12,067 km) articolate in 25 curve tra le quali lo strettissimo tornante a destra chiamato semplicemente “Hairpin”, uno dei punti più importanti e certo il più impegnativo del percorso che spesso ha fatto da giudice sull’assegnazione delle vittorie. Le prove del UGP restarono valide per il Campionato Motomondiale fino al 1971. L’anno successivo la gara non venne disputata a seguito dei luttuosi fatti del “Bloody Sunday” ed esclusa definitivamente dal Motomondiale. Ripresa dal 1973, tra il 1979 e il 1990 fu una delle prove del Campionato Mondiale Formula TT. La gara si è regolarmente svolta anche nel 2001, quando a causa dell’epidemia di Afta epizootica, la North West 200 e l’Isle of Man TT sono state cancellate.
Nella “Hall-of-fame” dell’UGP sono iscritti nomi storici del motociclismo come Mike Hailwood (7 vittorie ed il primo pilota a superare la media delle 100 miglia orarie su una MV Agusta 500), Giacomo Agostini (7 vittorie), John Surtees (6 vittorie) e Phil Read (3 vittorie). Tra tutti in particolare spicca il mitico William Joseph “Joey” Dunlop, scomparso nel 2000, che con 24 successi rimane tutt’ora imbattuto. Dunlop è stato uno tra i più grandi piloti di tutti i tempi ed è l’indiscussa icona di questo evento. Specializzato nelle corse su strada, nella sua incredibile carriera, insieme ai trionfi nell’UGP, collezionò 5 titoli mondiali consecutivi nella classe “TT Formula 1”, 26 vittorie al “Tourist Trophy” dell’Isola di Man, 13 vittorie alla “North West 200” ed altre 162 vittorie in varie gare su strada. Oltre ad un grande pilota, “Joey” fu anche un grande uomo. Nel 1986 per meriti sportivi gli venne conferito il titolo di MBE (Member of British Empire) e nel 1996 quello di OBE (Officier of British Empire) per il suo straordinario e silenzioso impegno umanitario in Romania e Bosnia. Schivo e superstizioso, durante le gare indossava sempre una maglietta rossa ed un casco con livrea gialla bordata da filetti neri, divenuto un simbolo per gli appassionati di motociclismo. Dunlop morì il 2 luglio 2000 durante una gara su strada a Tallinn in Estonia quando, al comando della gara delle 125 cc, perse il controllo della sua moto a causa dell’asfalto bagnato, andando a urtare violentemente contro gli alberi. A Ballymoney, sua città natale gli è stato dedicato un parco ed una statua.
L’UGP si vanta a buon titolo di essere “The World’s Fastest Road Race”, la gara su strada più veloce al mondo. Basti pensare che l’attuale detentore del record sul giro, l’australiano Bruce Anstey, nel 2010 ha percorso il tracciato con la sua Superbike alla media di 133,977 miglia orarie, cioè 215,615 km/h, sulle stesse strade sporcate tutto l’anno dai mezzi agricoli e dal bestiame portato ai pascoli, rese viscide dall’immancabile pioggia e dalle strisce segnaletiche, contornate da alberi secolari protetti da balle di paglia e “rallentato” da un secco tornante. Il gap delle medie orarie tra le classi minori e le maggiori oscilla tra il record di Anstey e le 112 mph delle 400, passando attraverso le quasi 129 delle Supersport e le 134 delle Superstock. Si pensi che le “Classic” viaggiano tra le 100 e le 105 mph di media.
Normalmente si svolge in agosto, onorato dall’afflusso ordinato e paziente di non meno di cinquantamila persone, soprattutto britannici o irlandesi. Nell’arco della settimana, con il consenso delle attività agricole locali, un’area di diverse miglia quadrate viene letteralmente paralizzata per dare spazio alle prove ed alle gare. Il traffico ordinario viene deviato con una segnaletica non facilmente intuibile ma la disponibilità della gente della zona e dell’organizzazione colmano tale lacuna logistica. Il percorso viene sigillato da sbarramenti e transenne che contengono il grande pubblico, con un’unica apertura presso la start-line davanti alle tribune che viene resa disponibile all’attraversamento tra l’esterno del circuito ed il suo interno, dove si trovano i paddocks, solo tra una gara e l’altra, oltre ovviamente al termine della giornata e fino all’inizio della successiva.
La settimana dei motori inizia con la preparazione del circuito, alla quale tutti vengono invitati a partecipare. Il mercoledi tra le 13:30 e le 21:30 le strade vengono chiuse per la prima volta per lasciare spazio alle qualifiche delle varie classi per assegnare la posizione sulle griglie di partenza. Il giovedi si chiudono tra le 10:30 e le 20:30 per le ulteriori prove dell’UGP del mattino e per le gare pomeridiane della Dundrod 150 con le varie classi. Si inizia con la National Race delle 600cc, poi le 125, le 400 & Supertwins, l’UGP Classic Race, il Dundrod 150 Challenge e la Dundrod 150 Superbike. Il venerdi piloti ed irlandesi possono riposare, nonostante nella zona restino piccole manifestazioni, in attesa del gran finale del sabato con la disputa dell’UGP. La viabilità si chiude alle 09:30 per riaprire non prima delle 20:30. Il pubblico, già numerosissimo, si moltiplica, dando ulteriore risalto all’importanza dell’avvenimento. Si parte con la Superstock, poi a seguire Gara 1 della Supersport, la 250CC e le Supertwins, Gara 1 della Superbike, Gara 2 della Supersport ed infine Gara 2 della Superbike.
Il programma delle due giornate di gara si articola su diverse prove, normalmente di sei giri percorsi in senso orario. Gli iscritti alle gare spesso sono così numerosi da venire disposti alla partenza in gruppi separati distanziati da un minuto gli uni dagli altri. A differenza di altre gare, qui non partono uno alla volta ma in gruppo, come in un normale gran premio. Molti piloti partecipano a più gare nella stessa giornata in sella a moto di tutte le maggiori case motociclistiche come Yamaha, Suzuki, Kawasaki, BMW, Honda, Aprilia. Alcuni sfoggiano team con sponsor roboanti, caravan superaccessoriati ed officine mobili. Ovviamente le “ombrelline” sulla griglia di partenza sono tutte per loro. Altri sono presenti con un piccolo van tuttofare e l’amico compiacente che si presta a dare una mano. I piloti presenti arrivano da tutto il mondo, plurivincitori e debuttanti, professionisti e semidilettanti, attempati nostalgici e giovani rampanti, mischiati tra loro con un insospettabile spirito di collaborazione che si manifesta apertamente almeno finché, disposti sulla griglia di partenza, non appare loro il cartello di “ENGAGE GEAR” e diventano nemici. Tutti sono animati dal fuoco sacro della velocità su strada, incoscienti quanto basta ma altrettanto pronti a rinunciare a partire se le condizioni non sono accettabili. Si scambiano pareri, consigli, sensazioni. Sebbene sia un tipo di gara particolarmente pericolosa, l’organizzazione è molto attenta alla sicurezza dei piloti, pronta ad interrompere, sospendere o annullare una gara se le condizioni atmosferiche peggiorano o se accadono incidenti. Spesso è l’instabilità del clima a giocare brutti scherzi. A volte, sebbene il diametro del circuito sia di pochi km, in un punto piove in altri c’è addirittura il sole, quindi tutti fermi ad adeguare gli pneumatici. In caso di interruzioni, le moto vengono riallineate sulla griglia di partenza per portare a termine i giri mancanti nello stesso ordine in cui si erano qualificate e non in quello in cui si trovavano al momento della sospensione. Nessuna polemica, nessuna protesta. La regola è questa, uguale per tutti. Prendere o lasciare. Le moto arrivano sul rettilineo davanti alla tribuna e si ridispongono ordinatamente al proprio posto. I meccanici si avventano sui mezzi come cavallette ed iniziano una danza di “slick, rain o intermedie”, sulla base delle informazioni meteo dell’organizzazione. Se le condizioni lo permettono si riparte, sennò tutti a casa.
L’attuale astro delle classi “top” è Michael Dunlop, giovane nipote del famoso Joey, il cui padre, anch’egli deceduto in una “road race” ne era il fratello. E’ il pilota da battere. A contendergli i titoli vi sono nomi come Guy Martin, Bruce Anstey, Gary Johnson, Ian Lougher, Keith Amor, Conor Cummins, Ryan Farquhar, John McGuinness ed il fratello William Dunlop. In ogni categoria vi sono nomi eccellenti che hanno brillato numerose volte in questo tipo di competizioni. Come esempio, nelle “classi minori” spicca Ian Lougher, pilota di straordinario talento capace di 10 vittorie al Tourist Trophy, 42 al Billown Circuit, 9 alla North West 200, 17 all’UGP e 20 al Dundrod Circuit (secondo soltanto a Joey Dunlop). Un cenno particolare meritano moto e piloti della “Classic Race”, dedicata ai miti meccanici che hanno fatto la storia delle gare motociclistiche. Le velocità raggiunte dalle moto su microscopici pneumatici sono tanto sorprendenti quanto la “maturità” dei piloti che si manifesta solo al momento in cui si tolgono i caschi mostrando rughe e capelli grigi. In questa classe, nel 2011 ha vinto una Royal Enfield Bullet, portando a termine un’impresa storica in quanto il glorioso marchio inglese non vinceva a Dundrod dal 1925.
Inutile dire quanto sia affascinante, per un appassionato, assistere a tanta esternazione di potenza, coraggio ed abilità. Se aggirare il circuito non è così intuibile, raggiungerlo è piuttosto semplice. Agli incroci ed alle rotonde si trovano decine di cartelli che ne indicano la direzione. Alle transenne di sbarramento lungo le strade, centinaia di cortesi e disponibili addetti informano gli spettatori sulle varie aree di parcheggio o di campeggio, disposte a raggiera intorno all’anello di gara. Da lì basta scegliere il punto più idoneo o la collinetta più strategica per poter vivere un’intera giornata di adrenalina, così vicini alla “pista” da sentire lo spostamento d’aria ad ogni passaggio delle moto o il tipico nostalgico profumo degli scarichi delle “due tempi”. Il rumore è assordante ma è anche pura musica.
I punti nevralgici del percorso sono “The Flying Kilo”, il lungo rettilineo oltre la “Start/Finish Grid”, dove si superano le 190 miglia orarie (oltre 300 km/h) ed al cui termine si trovano le curve di “Rock Bends” che culminano con la potente frenata di “Leathemstown Corner”. Gas spalancato poi verso “Deer’s Leap” e giù all’incrocio di “Cochranstown” per poi giungere a quello di “Quarterlands” ed al successivo di “Ireland’s Corner” con la prima impegnativa e velocissima curva a sinistra. Si sale poi a “Loughers”, che anticipa le difficili curve di “Joey’s Windmill” e di “Wheeler’s Corner”. Tocca poi al terribile tornante di “Lindsay Hairpin” dove i piloti sono costretti ad una frenata ed una ripartenza spaventose e dove spesso si sono vinte o perse le gare. Il tracciato procede poi serpeggiando attraverso “Flowbog Crossroads” e “The Quarries” per poi affrontare l’ultima curva di “Dawson’s Bend” che immette sul rettilineo finale e chiude il circuito. Molti di questi punti sono supportati da tribune con superba visione sul passaggio delle moto, ma è anche altrettanto spettacolare vagare lungo il perimetro di gara e guardare attraverso le reti di contenimento o meglio ancora a bordo strada.
E’ un appuntamento da non mancare anche perché l’atmosfera che si respira nelle “Road Races” è così diversa da quella che si coglie nell’asettico ambiente del moto-professionismo su pista. Qui c’è ancora una realtà genuina, semplice, non celata dietro contratti e compensi faraonici, strategie e tecnologie da fantascienza, isterismi da signorine. I piloti guidano e sudano nelle loro tute sbiadite e spellate, negli stivali e nei guanti deformati, nei caschi graffiati. Saltano giù dalle moto nelle interruzioni per urinare oltre il guard-rail, aiutare i meccanici a sostituire gli pneumatici, correre a rimettersi vecchi stivali perché i nuovi non hanno abbastanza grip.
Lasciano il piccolo trofeo appena vinto per salire su un’altra moto, per un’altra prova in cui rischiare la vita, per compensi assegnati ad una vittoria che al massimo arrivano a 4.000 sterline. Parlano tra di loro, con cordialità, confrontandosi anche a pochi minuti dalla partenza. Sono più uomini che piloti ed emanano un carisma notevole fatto di ammirazione non di invidia.
Forse è uno degli ultimi momenti rimasti di puro motociclismo e chi ama davvero la moto non può perderlo.
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