Amarcord: quella volta che di ritorno da Capo Nord…

In questi giorni di clausura forzata si possono fare tante cose, tipo fantasticare sui viaggi prossimi venturi, ma anche frugare tra i ricordi e gli aneddoti dei viaggi passati, per esempio quello a Capo Nord di tanti tanti anni fa.

Col mio compagno di avventure Leonardo partimmo alla ricerca del sole di mezzanotte, quattro cilindri io, uno solo lui, tenda e sacchi a pelo e via, palla lunga e pedalare, verso Capo Nord, una di quelle mete che qualsiasi motociclista almeno una volta nella vita

Partimmo la mattina presto,

ci aspettavano 4500 km, e viaggiammo spediti e senza contrattempi per almeno… cinque. Alla stazione di servizio Firenze Nord per il primo pieno, un orecchino galeotto pensò bene di impigliarsi nel rivestimento interno del casco, e ci volle del bello e del buono per non far fare all’amico Leo la fine di Paul Getty Jr. (i più giovani cerchino su Google), o in alternativa tutta la vacanza senza mai togliersi il Nolan di testa.

Circolo Polare Artico
Al Circolo Polare Artico. Ma il bello doveva ancora venire.

 

Con qualche ritardo sulla tabella di marcia

attraversammo Germania e Danimarca, salimmo su su per tutta la mitica E6 norvegese, e un bel giorno mettemmo piede sull’isolotto di Nordkapp, io tra l’altro senza nemmeno pagare il biglietto, che manco mi accorsi della sbarra e la oltrepassai a palla tanta era l’euforia di essere arrivato. Il tempo delle foto di rito e ci rendemmo conto che era sì giorno, ma in realtà era notte fonda. Era tutto chiuso e dormimmo allo stato brado nei corridoi dei bagni del Kiosk, beata giovinezza.

Giaciglio di fortuna nel Kiosk di Capo Nord
Quella volta che passammo la notte nel corridoio dei bagni del Kiosk di Capo Nord

 

Archiviato Capo Nord scendemmo da Finlandia e Svezia.

Attraversando paesi dai nomi buffi (ma che razza di lingua parlano lassù?), arrivammo nella zona dei laghi, Mosquito Coast praticamente, ci accorgemmo che era un posto particolare perché ogni pochi chilometri dovevamo fermarci a pulire le visiere dei caschi. E una volta fermi le zanzare ci mangiavano vivi! Insomma, eravamo in quel di Ivalo in una stazione di servizio che stavamo valutando l’acquisto di una damigiana di Autan o in alternativa di un lanciafiamme, quando cartina alla mano (navigatooori? PRRRRR!!!) realizzammo di essere a 50 km dal confine con la Russia. Ma Russia Russia, U.R.S.S., C.C.C.P. per capirsi, che all’epoca il muro di Berlino era ancora in piedi e Michail Gorbaciov non aveva ancora avviato i processi di glasnost e perestroika.
E quando ci ricapita?

Raja-Jooseppi
La strada, all’epoca sterrata, che da Ivalo portava a Raja-Jooseppi

 

La strada era sterrata,

parcheggiai la mia FZ e salii dietro a Leonardo sul Teneré. Una terra bellissima e selvaggia, tutt’intorno solo boschi e null’altro, non incontrammo anima viva, e ogni tanto ci assaliva il pensiero era che se ci fosse capitato qualche inconveniente non sarebbe stato proprio bello, ecco. Ma arrivammo velocemente a Raja-Jooseppi (dicevamo dei nomi buffi?), al confine con la Grande Madre Russia.

Raja-Jooseppi border
Il confine tra Finandia e Russia oggi (immagine da Google Street View)

 

Oggi Street View ci restituisce la strada asfaltata,

le corsie, i semafori, ma quando arrivammo lì c’era giusto una sbarra, una recinzione col filo spinato, e un casottino scalcagnato dal quale uscì un soldato che aveva la faccia di chi vede atterrare un disco volante sull’uscio di casa. Che poi perbacco, io mi sarei immaginato un cosacco col colbacco, e invece che smacco, era arruffato e mezzo sbottonato, pareva John Dunbar nell’avamposto di Balla coi Lupi.

Io, che ero scemo già allora,

chiesi se era possibile mettere non dico una ruota, ma almeno un piede sul suolo sovietico, “Tovarisch tovarisch!” gridavo, mentre il compagno Ivanov di là, passato lo stupore, mi guardava malissimo. “Piccì, Berlinguer, Togliatti!”, intanto che la mimica facciale del Breznev de noantri mi suggeriva di desistere. Ma non desistevo e, come non si dovrebbe mai fare in certe situazioni, cominciai ad agitare il pugno chiuso, sempre declamando a memoria tutta la nomenklatura del PCI nostrano. Un deficiente proprio.

Il nipote di Krushov

rientrò nel casottino – “ci apre la sbarra vedrai” – e ne uscì un minuto dopo con la divisa bella sistemata, stivaloni e cappello d’ordinanza, ma soprattutto col mitra in mano. “Ok ok, torniamo indietro, grazie lo stesso, è stato bello, hasta la victoria quasi siempre, arrivederci eh”.
Non facemmo nemmeno una foto.

Nordkapp
Sotto il globo di Capo Nord con Leonardo, condivisore di migliaia di chilometri

 

Non solo Capo Nord

Nel prosieguo del viaggio ci fermammo ad Anderstorp per seguire il Gran Premio di Svezia, e trovammo anche il modo di fare una puntata nella Berlino ancora divisa dal muro. Ma questo magari lo racconto la prossima volta.

(Chiedo scusa per la qualità delle foto, ma all’epoca avevo giusto una Kodak)

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2 comments

  1. Bellissima avventura, faresti innamorare delle moto anche me che, dopo la vespa p125x non ho voluto più averne una!
    Paolo S.

  2. Pietro Platania

    Complimenti bel viaggio

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