Le moti a 2 tempi sono sparite dalla normale produzione, perché fortemente inquinanti. Forse, se le case motociclistiche avessero continuato ad investire su questa configurazione avremmo moto di nuova generazione in linea con le norme antinquinamento. Però una Suzuki RG 500 Gamma, non me la posso dimenticare.
Qualche giorno fa, camminando su una strada parallela in zona Viale Marconi di Roma, ho avuto una visione, quasi celestiale, una bellissima e perfetta Suzuki RG 500 Gamma, una delle moto a 2 tempi più incredibili e desiderate dai motociclisti sportivi d’un tempo, prodotta dal 1985 al 1989. Un oggetto del desiderio, qualcosa in più e di diverso da qualsiasi altra moto prodotta e immatricolata per l’utilizzo in strada. Straordinario modello, derivato direttamente dalla produzione delle moto realizzate dalla casa giapponese per i privati del Mondiale della classe 500 dal 1976 al 1984.
Una moto con caratteristiche tecniche estreme
Una moto con caratteristiche tecniche estreme, il peso a vuoto vicino a 170 kg, potenza di oltre 90 cv, telaio in lega di alluminio, ma soprattutto lo straordinario motore quattro cilindri a 2T ad ammissione a disco rotante. Ricordo con grandissima nostalgia quando Autodromo Vallelunga Piero Taruffi, le fantastiche RG 500 uscivano dalla curva parabolica Roma, e sfrecciavano sul rettilineo principale, un’emozione unica. Una moto difficile da utilizzare, cattiva come sono sempre state le due tempi, terribilmente esplosiva e scorbutica, ma che emozionava.
Il ricordo indelebile di una prova
Ricordo di aver avuto la fortuna di provarne una, anche se per pochi chilometri; incredibile quando fosse reattiva, e quanta emozione dava nel sentire la ruota anteriore che si staccava da terra quando si spalancava il gas. I ricordi legati a quel fantastico mondo dei 2T sono incredibili, e mi rendono nostalgico, soprattutto avendolo utilizzato nelle competizioni. Un propulsore estremamente semplice nella sua architettura, alimentazione a carburatore, pacco lamellare di immissione e scarico ad espansione. Queste erano le cose di cui si parlava quando si possedeva un 2T: carburazione, lamelle e scarico. Volevi andare più forte, cambiavi il terminale di scarico con un bel Polini, Giannelli, Proma e Malossi solo per citarne alcuni. Poi lavoravi sulla carburazione, che cambiava a seconda della temperatura esterna, altitudine, e altri mille parametri; solo i più bravi meccanici erano in grado di carburare a dovere un 2T.
Ricordo il continuo sbattimento, per riuscire ad ottenere una moto ben “carburata”, era un continuo smontare e rimontate la candela di accensione, che ti diceva se eri “magro o grasso”. Qualcuno raccontava metodi empirici e quasi comici per verificare la perfetta carburazione: iniziare con una bella bella tirata a motore caldo, poi piazzare la moto su cavalletto, posizionarsi nella parte posteriore della moto dando qualche bella sgasata. Se ti bruciavano gli occhi voleva dire che la moto era scarburata. Un metodo alternativo a quello più noto per perdere la vista…
Comunque sia il 2T è un motore eccezionale, ma che ha un grandissimo difetto: inquina. Questo lo portò ad essere praticamente abbandonato da tutte le case motociclistiche, che nelle metà degli anni ’90, ne decretarono praticamente la fine dell’utilizzo, ad esclusione del loro uso nelle piccole cilindrate o nelle moto specialistiche da cross/enduro.
L’ultima moto a 2 tempi
Forse, l’ultimo vero esperimento, di produzione di una moto a 2 tempi, che suscitò veramente tanta attenzione arrivò dalla piccola azienda Bimota, che realizzo la 500 Vdue. moto prodotta a partire dal 1997 alimentata ad iniezione elettronica. Un sogno per gli appassionati, ma che si interruppe velocemente, sia per i problemi di affidabilità del motore, ma anche per il fallimento dell’azienda avvenuta nel Marzo 2001. In realtà il progetto venne poi acquisito da Piero Caronni, che ne continuò lo sviluppo passando dal sistema ad iniezione elettronica ai classici carburatori.
Il modello a 4T che probabilmente si avvicinava – per caratteristiche emozionali delle moto anni ’80 / ’90 – fu probabilmente la Ducati 851, presentata nel 1987 e progettata dall’Ing. Massimo Bordi. Una moto straordinaria, che ebbe grandi risultati commerciali anche grazie ai risultati nel mondo delle competizioni SuperBike. Il “suono” prodotto dai due terminali di scarico era unico, lo riconoscevi indistintamente in mezzo a centinaia di moto. Probabilmente la Ducati 851 fu il modello che diede avvio alla rinascita commerciale della casa bolognese, in quegli anni di proprietà dei fratelli Castiglioni. Poi arrivò la 916…
Se si mette a confronto qualche dato tecnico, fra la Suzuki RG 500 Gamma e la Ducati 851, ne esce che:
-Peso a secco Suzuki RG 500 Gamma= 154 kg (dichiarato)
-Potenza dichiarata Suzuki RG 500 Gamma= 95 CV a 10.000 giri/min.
-Peso a secco Ducati 851= 180 kg (dichiarato)
-Potenza dichiarata Ducati 851= 105 CV a 9.000 giri/min (dichiarato)
Da questi dati emerge che il rapporto peso/potenza era di poco favorevole alla moto giapponese, ma sostanzialmente simile.
Ergo: Ognuno scelga la moto che più ha amato, ma io continuo a sentirmi un duetempista…