Immersi in un paesaggio surreale sulle pendici dell’ Etna, per rendere omaggio a “Idda”, la Montagna, la vera padrona di casa della Sicilia.
Buona educazione insegna che quando si entra in casa d’altri bisogna salutare per primo il padrone di casa. Così, una volta messo piede in Sicilia, che ci si arrivi via terra da Messina, via aerea da Catania, o anche via mare da Palermo, sarebbe indelicato non rendere omaggio a “Idda” – come la chiamano qui – la Montagna, sua maestà Etna. La quale d’altro canto non fa niente per passare inosservata, anzi sta lì con la sua imponente mole e dall’alto dei suoi oltre 3000 metri di altezza ti guarda sorniona e incute timore e rispetto, e lo capisci subito che questa è casa sua. E se per caso qualcuno se lo dimentica, ci pensa lei, con un colpo di tosse, a ricordarglielo.
Qui comanda la Montagna
Ma Idda sa essere anche un gigante benevolo, la fertilità dei terreni che la circondano hanno da sempre favorito gli insediamenti umani, fino ai mille metri di altezza il suo versante sudorientale è ampiamente urbanizzato, anche troppo a dire il vero, tant’è che ogni tanto l’Etna si riappropria dei suoi spazi. E quando lo fa non chiede il permesso.
Occhio all’escursione termica
Dirigersi verso Nicolosi per uscire dall’agglomerato urbano catanese è più noioso e stressante del previsto, ma appena la strada comincia ad appoggiarsi sull’enorme fianco del vulcano si entra in una dimensione che prima ricorda il tipico paesaggio montano fatto di boschi, e poi, via via che si sale, si trasforma in un impressionante quanto affascinante ambiente lunare, anzi marziano, in cui predominano i colori scuri e rossastri della lava solidificata.
La strada sale dolce per una ventina di chilometri, ampie curve si susseguono e inviterebbero anche a una guida bella sportiva, tanto più che grazie a recenti passaggi del Giro d’Italia l’asfalto è di quelli belli goduriosi, solo che si rimane ammirati da un paesaggio che suscita forti contrasti. La strada sale fino ai quasi 2000 metri del rifugio Sapienza, dall’alto si vede la vallata sottostante baciata dal sole, il mare da Catania fino a Taormina, la calura estiva, poi ci voltiamo a guardare di fronte a noi e ci troviamo immersi in un oceano di roccia nera, monti e crateri e crinali, e ci sentiamo minuscoli al cospetto del vulcano e della forza primordiale della natura. E pure infreddoliti, ché l’escursione termica tra il livello del mare e quello della montagna è cosa che abbiamo preso colpevolmente sottogamba.
Incontri
Viste le nuvole che oscurano la cima e, appunto diciamola tutta, la mancanza di una felpa adeguata sotto il giubbotto di pelle, rinunciamo a salire verso i rifugi a piedi per qualche sentiero o a prendere la funivia fino alla sommità dei crateri. Dopo una sosta spuntino ci lasciamo alle spalle gli onnipresenti e inevitabili pullman di turisti e scendiamo sulla SP92 verso Zafferana. Un’indicazione, “colata lavica del 1991”, ci spinge a deviare verso il monte Pomiciaro dove, alla fine della strada, facciamo conoscenza con Santo Cavallaro, gentilissimo venditore di souvenir direttamente dal bagagliaio della sua auto, che non solo ci indica un breve sentiero che porta a un belvedere da urlo, ma ci invita anche al Motoraduno dell’Etna che si tiene ogni anno i primi di agosto, prendete nota.
Le discese ardite e le risalite, tutte da guidare
Con un paio di ninnoli di lava in tasca ci congediamo e torniamo sui nostri passi per scendere fino a Milo e Fornazzo, e da lì risalire per la mitica strada Maremonti, che ci porta prima con un bel misto veloce fino a Piano Provenzana, e poi, in discesa, con un bellissimo toboga che non fa rimpiangere i nostri amati passi appenninici, fino a Linguaglossa.
Un altro Cavallaro, Marco, di professione attore, ci aspetta a Giarre dove, di fronte a granite e cannoli, festeggeremo i suoi 25 anni di carriera. Ma questa è un’altra storia.