di Pier Peio
Lasciamo da parte il periodo sperimental-clandestino compreso fra i 12 e i 14 anni e parliamo di quella che per me è stata la prima moto e il primo viaggio.
Il mio compagno di avventure si chiamava Malanca 50 Testa Rossa, eravamo coetanei. entrambi classe 1966. C’è però un antefatto: avevo 4 anni e all’epoca i miei genitori abitavano a Banengo, una piccola frazione dell’astigiano. Mia mamma mi chiudeva in bagno in castigo, io uscivo dalla finestra e scappavo nel campo vicino a casa dove i più grandi giocavano a pallone, uno di loro aveva il Malanca e lo appoggiava al palo del telefono di legno. Io rimanevo lì, letteralmente in contemplazione, fino a quando mia madre, accortasi dell’evasione mi veniva a recuperare, ad ogni passo, dal campetto a casa prendevo uno scopaccione ma intanto io ero felice: avevo visto il Malanca con il lungo serbatoio bianco, con la striscia tricolore.
Ora a 48 anni ho le idee un pò confuse, non so’ se il destino ce lo creiamo noi o se è già scritto e noi altro non siamo che comparse esistenziali che recitano un copione già elaborato da altri ma fatto sta ed è che le mie prime ali della libertà si materializzarono dieci anni dopo sotto forma di un Malanca Testa Rossa. Mi piace pensare che fosse proprio lui, quello delle mie contemplazioni, anche se lo ritengo piuttosto improbabile. Presentato il mezzo, vi racconto il viaggio. Dunque, il percorso: Treville Monferrato – Genova, motivo del viaggio: la fidanzatina conosciuta al mare. Di lei non ricordo neanche più il nome ma si chiamava come una delle mie zie, per cui o Claudia o Laura.
Proseguiamo con i ricordi: partenza ore 9.00 di una domenica mattina, serbatoio pieno, uno zainetto legato sul serbatoio con un elastico da bagagliera con all’interno una confezione di Castrol Biolube, un paio di candele di scorta, un paio di lattine di birra, un cacciatorino e 2 rosette di pane e l’immancabile coltellino multiuso. Nel portafoglio avevo un ingente somma di denaro, per me: ben 10.000 lire, in banconote di piccolo taglio. Fino ad Alessandria la strada la conoscevo, da lì in poi chiedevo informazioni nei bar lungo la strada.
Nel primo bar entrai senza togliere il casco, spaventando a morte la barista, il casco non era obbligatorio e girarsi e trovarsi all’improvviso un Driver Alien nel campo visivo poteva effettivamente spaventare un po’. Chiedere senza prendere niente al bar non era bello, così ad ogni sosta andavo di ghiacciolo, costava 100 lire e dissetava, per cui verde menta a Novi, giallo limone a Serravalle, rosso arancio a Gavi, al tamarindo a Voltaggio. Arrivato in cima al passo della Bocchetta mi fermai, mi sentivo come Mesner in cima all’Everest, davanti a me si apriva la Val Polcevera, un pò a destra il monte con il santuario della Guardia e all’orizzonte il mare. Scesi fino a Campomorone in folle, per far riposare e raffreddare il motore ma surriscaldando i 2 poveri freni a tamburo. A Pontedecimo massima cautela, ci abita la sorella di mia mamma e se lei o lo zio mi avessero avvistato e quindi riconosciuto, sarebbe stato un bel casino. La versione ufficiale che avevo raccontato ai miei era che andavo a fare una scampagnata con amici alla Madonna di Crea, a 20 chilometri di distanza dal paese. Se venivo intercettato da forze ostili a 100 km da casa, potevo sempre dire che ero alla Madonna della Guardia, che in fondo che sarà mai, avevo solo sbagliato Madonna!
A Pontedecimo che avrei voluto attraversare a velocità curvatura, mi fermarono i vigili, probabilmente incuriositi dal mio stile: mezzo vintage e casco simil guerre stellari. Fornisco i documenti, il vigile li guarda e dice: “dal Monferrato con sto coso ?? belin che coraggio!” Galvanizzato riparto e mi tuffo dentro Genova. Mi fermo nell’ultimo bar a chiedere informazioni, vado in bagno e dopo una decina di ghiaccioli color arcobaleno, meraviglia, sto pisciando in tecnicolor! Arrivo a destinazione, mi fermo chiamo la fanciulla da una cabina a gettoni, lei scende e mi raggiunge, al bar dietro l’angolo, ai suoi non andavo a genio .. chissà perché? Il malanchino rimase al bar. io e lei utilizzammo l’autobus e poi passeggiatina romantica a Bocca d’Asse, sul lungo mare, mano nella mano, bacini ed effusioni soft ma dopo un’ora mi ero già rotto i maroni. E poi ero preoccupato per il mio bolide, abbandonato in una città straniera in riva a un bar, sinceramente non vedevo l’ora di ributtarmi in strada, perchè quello era quel che volevo, la fanciulla era stato solo il pretesto per il viaggio.
Il ritorno lo feci dal passo dei Giovi, sbagliai strada, seguendo un’indicazione Serravalle a Pontedecimo ma giunto a Serravalle la strada la sapevo. Arrivato a Spinetta Marengo cominciò un forte temporale, mi riparai dentro una cabina del telefono e chiamai casa, mi rispose papà Nando, e ho dovuto dire dov’ero: “Ciao Pà, son fermo a Casale aspetto che spiova” e se a Casale non pioveva? Per cui: “Ciao Pà, sono a Spinetta come spiove riparto”. Mio padre: “Ma sei matto? fino a Spinetta in motorino?” Chissà se avesse saputo la reale portata e chilometraggio del giro in questione! Da allora mi son sentito sdoganato e libero, libero di viaggiare e sognare, soprattutto con mezzi poca spesa e tanta resa. Good bike, by Peio.
Stupenda storia…. Complimenti