Passati due mesi dall’ultimo viaggio, nuova tappa nella capitale dell’India, verso un’avventura che – questa volta – si è rivelata non poco pericolosa…
Testo e foto di Giampiero Pagliochini
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È passato un mese da quando ho parcheggiato la moto a Delhi, ma ancora una volta il Pakistan mi nega il visto, questa volta la scusa non è l’incolumità, ma che non ho l’invito originale. Una volta in India deciderò la strategia.
Prendo lo stesso volo di due mesi prima e mi ritrovo proiettato di nuovo nella capitale indiana. Puntualmente chiamo Rajiv che ha in custodia la moto: appuntamento all’una nel suo ufficio.
Do una spolverata alla mia due ruote, giro la chiave e ci siamo, si riparte! Faccio rifornimento e controllo la pressione delle gomme, ma ho un altro lavorino da fare, sostituire i dischi della frizione, ben cotti nella prima parte del viaggio, specialmente nella bolgia di Delhi.
Di fronte all’hotel apro la corsia box, metto un telo di plastica sotto il motore per recuperare l’olio, inizio a smontare il coperchio della campana. Chi passa, si ferma, guarda e fa commenti; tra un disco di metallo e uno con riporto eseguo il cambio, sono accorto ad individuare l’ubicazione degli unici 2 differenti. Arno (al secolo Nicoli) mi ha dato dei ragguagli ed io come un bravo scolaro eseguo gli ordini. Rabbocco l’olio mancante e provo la bomberina, sono in contromano ma tanto non ci fa caso nessuno, anche la polizia lo fa.
Dopo un debito riposo faccio un salto in città, devo sostituire lo schermo del laptop rotto in precedenza, lo pagherò 28€ contro più del doppio dell’Italia.
Mi sveglio alle 6, carico la moto e dopo una bella colazione prendo a sud verso Jaipur.
Rajasthan, recita un cartello. L’habitat è cambiato, qui incontro i primi cammelli che vengono usati come traino di carretti. Sono in prossimità dell’Amber Fort, salgo per la strada a zig zag, dall’alto appare Udaipur e il lago Mansagar dove fa bella figura il palazzo Jal Mahal.
Dall’Amber Fort mi godo il panorama, incontro un gruppo di ragazzi che mi fa mille domande, sono motociclisticamente informati, mi accompagnano fino al lago, qui scatto 2 foto e poi via, verlo la città.
L’Hotel H.R. Palace è dislocato oltre il centro, supero il Palazzo dei Venti, di un rosa affascinante, non per niente Jaipur è considerata la Pink City. Al semaforo mi si avvicina un biker, mi chiede dove vado, lui senza esitare mi dice di seguirlo. Senza di lui ci sarei arrivato all’hotel, ma avrei sicuramente tribolato. Ricompensare con un grazie mi sembra poco così lo invito a cena. Seduti di fronte a una pizza, mi racconta dei sui studi di ingegneria dediti all’aereodinamica delle vetture. Quando mi mostra dei prototipi, foto, dal suo cellulare rimango attonito, la Ferrari e la Maserati sono la base degli studi. Da lì nascono progetti realizzati per vetture da produrre per la massa, naturalmente in India.
Il mattino dopo, faccio un salto al Palazzo dei Venti, bello davanti ma niente di che sul retro, sembra una di quelle scenografie da film western.
Scendo ancora a sud verso Udaipur, ora fa caldo, arrivo in città tra una bolgia di veicoli. L’Anjani Hotel è accogliente ma non lo è la città.
Saranno due giorni pieni, non ho scampo, devo tornare a Delhi ed organizzare il volo per la moto e il sottoscritto, non ho alternative vista la chiusura del Pakistan.
Udaipur incarna uno spaccato di India dove i Maharana davano libero sfogo alla creatività costruendo palazzi dal fascino unico. Il City Palace domina il lago Pichola, un palazzo costruito in più fasi e con progetti diversi ma maniacalmente nulla è stato lasciato al caso e tutto il complesso dà l’idea di un’armonia unica.
Passeggiare per le vie di Udaipur fa respirare un’atmosfera senza pari, personaggi che riportano ad un’India mistica; in questo contesto il palazzo Jagadish Mandir è il fulcro della vita spirituale della città. Costruito da Maharana Jagat Singh I nel 1651, il tempio costudisce una pietra di Lardo Vishnu. C’è un’immagine di ottone di Garuda, simbolo dell’ uccello Signore. L’esterno e lo zoccolo dell’edificio sono coperti con bassorilievo di alligatori, elefanti, cavalieri e musici celesti. Canti, campane e musica possono essere ascoltati in tutta la giornata. È il più grande e splendido tempio di Udaipur.
Arriva l’ora di riprendere la strada per Delhi, il tempo è tiranno, ho un appuntamento al salone Eicma a Milano, l’esperienza mi dice che sarà tutta un’avventura far arrivare la moto in Iran. Nella sede dell’agenzia di Rajiv approntiamo una cassa mettendo insieme due pallets, mi viene da ridere perché in nessuna parte del mondo è possibile usare legno non fumigato. È tarda sera quando lascio Rajiv, la moto è pronta ad essere spedita.
Una giornata campale mi aspetta in dogana; come quando sono arrivato è un fare e rifare. Penelope e la sua tela mi fanno un baffo, ma finalmente alle 21 tutto è a posto, un altro po’ e chiudevo io la dogana.
Nei seguenti 5 giorni accade di tutto; l’idea è quella di spedire la moto a Dubai e da lì risalire l’Iran traghettando dagli Emerati, ma la doccia fredda arriva da Tehran, il mio visto non è stato spedito a Roma ma all’ambasciata a Parigi, quindi posso solo prenderlo all’areoporto della capitale. Si cambia compagnia, l’amico iraniano Roozbhe contratta il volo con la Mahan, una compagnia iraniana. Non pone problemi, ma 3 giorni dopo, all’ennesima richiesta di documentazione che mi pone, scoprirò che non ha l’autorizzazione a spedire la moto, che è considerata merce pericolosa, come se fosse un carro armato.
Con l’amico Rajiv passiamo al piano inferiore dove c’è l’Emirates, 10 minuti ed è tutto fatto, finalmente, ma non è finita, la cassa deve superare il test dei raggi X, non ci deve essere olio, carburante e batteria, che ho smontato onde evitare problemi.
Tutti a visionare lo schermo, non c’è traccia a detta loro, ma all’interno delle borse ho 4 litri di olio oltre a quello nel motore, c’è carburante nei serbatoi, non so cosa sia accaduto tra loro e chi mi gestisca le pratiche, immagino ma non ne sono sicuro.
Sono mattiniero, l’aereo per Tehran fa scalo a Doha Qatar, arrivo alle 11. Finalmente mi rilasso, qui è giorno di festa faccio, due passi in centro, la parte vecchia, un mosaico di negozi e prodotti locali. Siamo nella penisola Arabica, ma qui l’idea è di tanta laicità, di sicuro un paese emancipato, lo è anche lo sportello della banca, finemente rivestito in legno, poi un salto al Bazar, odori di spezie, colori e tanta atmosfera orientale, e penso a domani quando volerò in Iran.
Dall’oblò dell’aereo scruto il mare del golfo persico, poi le montagne dell’Iran. Sono a casa mi dico dentro di me, non resta che ritirare la moto, ma prima devo fare il visto che mi viene concesso all’arrivo, prendo i bagagli e dopo il ceck-in trovo Roozbhe e Kiana, la segretaria, ad attendermi, che storia.
Dopo 170 km siamo a casa sua a Qazvin. Roozbhe è un appassionato, fino a poco tempo fa era importatore per l’Iran di KTM, ora non più; la cosa lo irrita perché non sa cosa sia accaduto. Nel suo negozio di accessori è un via vai, noto che è un personaggio del mondo delle 2 ruote. In Iran i mezzi che possono circolare non devono superare i 200 cc, poi c’è un mondo che non deve apparire e allora ti ritrovi a che fare con persone che hanno KTM 450, Yamaha e Honda da enduro. Certo, se l’embargo finisce qui, ci sarà un mercato fiorente, riflessioni che mi accompagnano all’indomani quando andiamo in dogana dell’aeroporto per ritirare la moto. Un giorno non basta, ma all’indomani riesco a ritirarla. Mi viene vietato di rimontarla in dogana, così affittiamo un pick up e via fuori, su un parcheggio. Con due ruote di un camion in terra e la cassa legata a un guard rail la sfiliamo dal cassone, tempo un’ora e la moto è pronta per partire, saluto Roozbhe, ci si rivede tra 3 giorni, e punto a sud.
Supero Qom, poi fa notte. A Kasan faccio rifornimento, controllo la catena e le gomme, un segnale premonitore, fatti 40 km sono al centro delle 3 corsie, il davanti diventa inguidabile, da subito capisco che la gomma mi ha stallonato, la moto mi tira verso il guard rail, cosa che voglio evitare, cerco di riportarla al centro ma evidentemente la gomma si accartoccia di nuovo, il davanti se ne va, cado sul lato desto, le valige mi danno la possibilità di svincolarmi dalla moto, lei avanti che striscia e cozza contro il guard rail, che Iddio fulmini tutti coloro che l’hanno inventato! La seguo strisciando in terra a braccia aperte, un pensiero in questi attimi mi accompagna, chi ho dietro, diventare un frittella non è nell’ordine delle mie idee, poi mi giro su me stesso e vedo che non c’è nessuno. Come un gatto salto in piedi e sbraccio in mezzo alla strada. Si fermano tutti, che cu….. concedetemelo!
Dei ragazzi mi aiutano a portare la moto al lato della strada, il cerchio anteriore è piegato, la valigia destra ha retto, ma un bel po’ è rimasto sull’asfalto, anche parte della pelle della mia coscia dove ho una ferita, ma è il male minore.
Uno di loro mi dice cosa deve fare, sono tutti preoccupati, hanno visto la caduta e sono spaventati, mi chiedono se va tutto bene, ed io, sono vivo questo è importante, la pelle crescerà. Chiamo Roozbhe, che prontamente mi dice di restare lì, tra un po’ arriveranno dei suo amici. Una coppia di ragazzi resta lì fino all’arrivo degli altri, c’è un pick up per caricare la moto e un’auto. Vengo accompagnato ad un pronto soccorso e medicato, poi spedito a casa per un pasto. Qui arrivano gli amici, ed è subito festa. Pensare che 2 ore prima ero sdraiato sull’asfalto ed ora accudito e riverito, non fa che confermare ancora una volta quello che dico da anni, l’Iran è un paese stupendo, fatto di gente sana e ospitale senza un secondo fine.
È circa mezzanotte quando arriva il ragazzo con il pick up, la moto è coperta, si parte, saluto e ringrazio.
Con una pausa di più di un’ora per recuperare un po’ di sonno, giungiamo alle 7 del mattino a Qazvin, Roozbhe mi aspetta nel capannone dove ha il negozio, e dove dormo in un appartamento ricavato per i motociclisti che passano da queste parti.
Alle 8 arrivano due suoi amici, uno di loro è un meccanico che ha lavorato in Europa. Smontiamo la ruota anteriore, certo vederla così e poi nel pomeriggio rimessa a nuovo fa pensare, in Italia ti avrebbero detto di buttare tutto e acquistarne una nuova. Qui invece la manualità, e la materia prima che non si trova, causa l’embargo, esaltano l’ingegno, questo popolo che di arabo non ha nulla ma è molto occidentale, ha dalla sua la fierezza e una dignità particolare.
Ho fatto installare, oltre la gomma nuova, la camera d’aria; non si sa mai, il cerchio ha subito un colpo violento. Nel tardo pomeriggio andiamo di nuovo ad un pronto soccorso per la medicazione e il rifornimento dei medicinali. La ferita è profonda, ma non mi preoccupa, per precauzione mi danno anche degli antibiotici per l’infezione.