di Kiddo
Pubblicità televisiva della gara di velocità di turno, non importa tanto se MotoGP o SBK. La voce calda del telecronista annuncia le prossime date di diretta TV, prove, gare. Mentre in sovrimpressione si incolonnano appuntamenti o orari, le immagini montate per lo spot dovrebbero essere quelle di sorpassi, highlights, sbandate riprese per miracolo, bandiere a scacchi, podi. Invece no. Con un brivido di paura e seria apprensione, ogni motociclista degno di questo nome, specie se ha mai frequentato un circuito, specie se disgraziatamente ha dovuto subire lo shock di una caduta, si vede proporre una sequenza lunghissima e ininterrotta di cadute ad alta velocità, voli per aria, highsides, motociclette in mille pezzi, mucchi di ferro, metallo e piloti che si sdrafanano in terra. Come se dentro a quelle tute non ci fossero uomini, ragazzi in carne e ossa che in quei momenti spesso si rompono pure ma bambole di pezza, oggetti di un basso divertimento, di un bieco istinto da soddisfare, di vedere andare tutto a puttane.
Mi domando ma perché?
Quanto siamo disposti a sacrificare allo spettacolo, al basso istinto, a ciò che richiama il “grande pubblico”, quello che a sua volta richiama sponsors, denaro e quindi benzina per alimentare lo sport che amiamo? Abbiamo davvero bisogno che la visibilità del motociclismo dipenda esclusivamente dalla quantità di piloti che volano in terra per ogni secondo di spot? Sentiamo davvero la mancanza del non appassionato, di quello che ha bisogno di vedere quelle immagini in sequenza serrata perché ci sia interesse per una gara, oppure è quella gara che non regala più emozioni, da quando i sorpassi sono diventati una merce così rara?
E ancora, possibile che anche i commentatori stessi, quelli che seguono le gare in pista, che vedono lavorare le tante persone che passano nottate, settimane, mesi a mettere a punto quelle moto non abbiano nulla da ridire in merito agli spot dove si vede esclusivamente quelle moto andare in frantumi? Quelle immagini non evocano immediatamente ricordi drammatici, pezzi importanti di vita ai quali abbiamo dovuto dire addio per sempre?
Lo sappiamo tutti che cadere può far parte del gioco, che andiamo in pista per cercare il limite e in gara per sfidare gli altri sul filo di quel limite, ma davvero tutto quello che possiamo proporre di noi stessi e della nostra passione è solo lo “spettacolo” di una caduta?
Chiudo questo sfogo ricordando una scena raccontata da mia moglie al Pisa Bike Expo, kermesse durante la quale mettevamo su delle manches di supermotard “all’americana”, ovvero a eliminazione degli ultimi due. Due ragazzetti scambiavano battute del tipo “allora andiamo a vedere le ragazze dentro i saloni?” e l’altro “si dai aspetta, si guarda un paio di boccate e poi si va”.
Un signore del pubblico, con bimbo sulle spalle per farlo vedere meglio le corse, si girò verso di loro apostrofandoli serio: “allora è meglio se andate subito”.