Prosegue il nostro tour seguendo le strade, gli amici, le opere, la vita di Andrea Pazienza. Seconda parte: da Gubbio a San Severo passando da Piano Grande, San Benedetto del Tronto e Pescara.
A malincuore e perdendo più tempo possibile ripartiamo, ci aspetta una tappa che ci porterà in luoghi importanti della vita di Andrea Pazienza: dobbiamo raggiungere San Benedetto del Tronto, la cittadina che gli ha dato i natali, e per farlo decidiamo di attraversare il Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Nuvole nere come presagi ci inducono a imboccare al volo la SS3 che scende verso Foligno. Ci lasciamo sulla sinistra la basilica di Assisi coi suoi pullman di pellegrini, proseguiamo per Spoleto, e da lì risaliamo verso Norcia. Ne costeggiamo le mura senza fermarci, ché siamo in ritardo, e imbocchiamo la strada delle “Tre valli umbre”, dove al bivio prendiamo la SP477 per Castelluccio. La strada sale, è un susseguirsi di ricordi, Forca Canapine è ancora irraggiungibile, andiamo su fino a svalicare su Piano Grande. Alla vista di quel panorama il cuore batte forte, la bellezza è indescrivibile, è un luogo a noi caro che evoca emozioni forti. Come per una forma di rispetto scendiamo lentamente a motore spento mentre le nuvole giocano a rincorrersi spazzate dal vento. Avvicinandoci ci coglie una fitta alla vista di una Castelluccio ferita che cerca faticosamente di rialzarsi in piedi, ma le cicatrici sono ancora tutte lì, aperte. E’ dura, durissima.
Ripartiamo, le indicazioni stradali portano alla mente le cronache dei giorni del terremoto, Visso e Ussita di qua, Accumoli e Amatrice di là. Ad Arquata del Tronto dobbiamo fare uno sforzo di lucidità passando accanto a cumuli di macerie e case sventrate. Sono passati due anni ormai, ma tutto sembra essersi fermato a quel momento. Una cosa ci colpisce come un pugno nello stomaco: dai muri aperti, orrende bocche spalancate, si vede l’interno delle case, una quotidianità violata fatta di armadi e carte da parati, copriletto e soprammobili di plastica, sedie e utensili da cucina, violenza nella violenza. E siccome “lacrime nella pioggia” non è solo una frase da cult cinematografico, proprio in quel momento Giove Pluvio decide che sarà una giornata da non dimenticare e ci mette su il carico da undici: scatena uno di quegli acquazzoni con tanto di grandine che i notiziari definiranno “nubifragio” e “bomba d’acqua”.
Forti dell’abbigliamento tecnico Hevik Titanium dal quale non passa una goccia, e protetti da parabrezza e paramani della Honda Africa Twin, scappiamo velocemente in direzione Adriatico, dobbiamo ritrovare quelle tracce che sono il filo conduttore del nostro viaggio, a San Benedetto del Tronto.
Sarà per la pioggia incessante, per i colori grigi, per lo spirito intaccato da cupi pensieri, la visita è breve, la cittadina ben poco fa per ricordare Andrea, la piazzetta a lui dedicata è quella dell’ex mercato. Del pesce – ci dicono – e appare dismessa, non c’è nessuno, potrebbe essere un posto in voga o anche un riparo di spacciatori, non si capisce. Decidiamo di non fermarci e corriamo lungo il mare verso Pescara, Alla nostra sinistra, sfilano uno dopo l’altro gli stabilimenti balneari, il SudEst c’è ancora, a destra le ville, Andrea Pazienza è nato qui, la madre lo mise al mondo in casa, nella villa dei nonni materni rimasta a lungo meta delle vacanze con la famiglia.
Continua a piovere e l’umore ne risente, ma a un certo punto si apre uno squarcio di tramonto e appare un bellissimo doppio arcobaleno. Ci voleva.
Pescara
La prima cosa che colpisce di Pescara è… la sua vastità. Ci immaginavamo una cittadina di mare come tante altre lungo la riviera, ma fin dal numero degli svincoli e dalla periferia urbana ci rendiamo conto di essere al cospetto di una vera e propria metropoli che meriterebbe una visita ben più approfondita della nostra toccata e fuga. Ma abbiamo una missione da compiere, a Pescara Andrea Pazienza ha studiato, facendo la spola da San Severo. Al liceo artistico (e dove sennò?) Giuseppe Misticoni in viale Kennedy, entriamo con circospezione.
L’anno scolastico è alle porte, alcuni studenti già affollano l’interno, sarebbe bello capire quali fossero le “sue” aule e magari darci un’occhiata, anche se dopo quarant’anni sarebbe difficile ritrovare qualcosa di più di un’aura di misticismo. Infatti non è possibile salire, e allora usciamo e ci dirigiamo nella via a lui dedicata, stavolta sì in qualche modo evocativa dell’artista, sia per la bella giornata di sole, sia per l’architettura colorata degli edifici. Chissà se li hanno fatti così per lui, o se è stato per la loro presenza che è stata scelta proprio quella strada.
Da notare la dicitura “autore di fumetti e pittore”, che tale era, ma come spiegava lui stesso “Prima di fare fumetti dipingevo, ma i miei quadri venivano comprati da farmacisti, che se li mettevano in camera da letto e li vedevano solo loro. Da qui il mio desiderio di fare fumetti”. Ci sembra il minimo, considerato che a Pescara Andrea Pazienza fondò – lui giovanissimo studente, con altri più noti – il Laboratorio Comune d’Arte Convergenze; e pare vendesse, alle mostre, e che la città sia piena di suoi quadri misconosciuti.
San Severo, Calenella, Gargano
Accompagnati dall’esplosione di una nuova estate lasciamo Pescara e imbocchiamo la ss16, la litoranea che scende verso sud. La cosiddetta Costa dei Trabucchi, caratteristiche strutture simili a palafitte, soggetti prediletti degli acquarelli di Enrico Pazienza e dei dipinti di un giovanissimo Andrea. Pochissimo traffico, pochissima gente, la stagione turistica da queste parti si conclude presto, a dispetto di un meteo rimesso al bello stabile che regala temperature ideali sia per guidare che per tuffarsi in un acqua invitante. L’Africona macina chilometri, guidiamo tranquilli su quell’asfalto che anche Andrea percorreva da ragazzino in auto con i suoi e poi con la sua moto quando da Bologna tornava a casa. Ortona, Vasto, Termoli, ridendo ci accorgiamo dell’esistenza del Molise quando scorgiamo l’indicazione per Montenero di Bisaccia, e resistiamo a farci prendere dalla voglia di misticismo quando vediamo quella per il santuario di San Pio da Pietralcina. La nostra meta è San Severo, il paese dove Andrea è cresciuto.
E dove oggi riposa.
L’impatto non è dei più rassicuranti, le sensazioni, in parte dovute anche a una certa stanchezza che comincia a farsi sentire, sono contrastanti: da una parte l’eccitazione di annusare l’aria dei suoi luoghi più cari, dall’altra la scoperta di una terra vocata all’agricoltura, distese di campi coltivati punteggiate da case coloniche diroccate. Si percepisce un odore di mosto, di uva fermentata ed è un attimo capire che “San severo / la città del mio pensiero / dove prospera la vite / e l’inverno è alquanto mite” (“Il Partigiano”, 1980) è vicina.
Siamo fermi nella piccola piazzetta che porta il suo nome, stiamo cercando la casa della sua adolescenza orientandoci con le notizie che abbiamo a disposizione, quando una coppia si avvicina e ci offre aiuto. Scopriamo da Tommaso e Lidia che Andrea Pazienza e la sua famiglia appartengono profondamente a San Severo, ne sono patrimonio condiviso e protetto. Sono molto disponibili nel darci indicazioni e nel custodirci i bagagli intanto che ci rechiamo a visitare l’Archivio Splash!, una grande e bellissima raccolta di tutto ciò che riguarda l’attività di Andrea. Articoli, tavole, volumi, foto, tesi di laurea, il tutto catalogato e curato con smisurata passione da Antonello Vigliaroli, nel quale ritroviamo la solita grande attenzione e rispetto nel preservare e divulgare, anche con interventi presso le scuole, la memoria di Paz. La sala che ospita l’archivio dovrebbe presto ampliarsi, non un museo, ma una mostra permanente con le testimonianze dei tanti artisti che nel 60esimo compleanno di Andrea Pazienza vollero tributargli un omaggio.
Tra libri, ritagli di giornali, copertine di dischi, il tempo vola. Salutiamo Antonello, recuperiamo i bagagli, e ripartiamo nel tardo pomeriggio. Abbiamo appuntamento in un altro dei luoghi raccontati da Andrea: il camping Calenella, vicino a San Menaio, sul Gargano, piazzole di sosta, bungalow e case mobili immerse nella pineta, tanto che se non fosse per l’insegna lungo la strada la struttura sarebbe totalmente invisibile. Ci arriviamo a buio inoltrato, percorrendo l’ottantina di chilometri della SP89 e della SS93 prestando la massima attenzione al vento teso e ai camion, distraendoci di tanto in tanto alla vista di signorine in abiti minimalisti ferme sul ciglio della strada. Boh, chissà cosa ci fanno lì.
Mentre la famiglia Pazienza trascorreva le vacanze nella casa di San Menaio, Andrea girovagava in moto per il Gargano facendo base al campeggio, poco distante. E quante storie, quanti disegni, quanti personaggi ha raccontato!
E’ una bella sorpresa constatare che i proprietari del camping sono ancora gli stessi di quarant’anni fa. E sarà bellissimo parlare con Luigi Damiani, protagonista di alcune delle più belle pagine di Penthotal, che ci regalerà momenti intensi. Facciamo anche la conoscenza di “Pucci”, un altro compagno di quei tempi, che ci racconta un aneddoto motociclistico: “Un sabato sera eravamo andati in moto a Peschici, avevamo bevuto tantissimo, e al momento di rientrare lui non era assolutamente in grado di guidare. Allora… ho guidato io! Era la prima volta, non avevo idea di come si facesse, in piena notte con tutte quelle curve, non so grazie a quale santo riuscimmo a tornare con questo ‘chopper’ che mi pareva enorme (la Kawasaki 440 n.d.r.), con Andrea dietro appoggiato sulle mie spalle. Il problema fu all’ingresso del campeggio, col guardiano che esitava ad aprire la sbarra, entrammo, non sapevo come fermarmi, Andrea riuscì a scendere al volo ma io caddi con tutta la moto addosso”.
Luigi invece ricorda come le capacità di Andrea alla guida non fossero proprio rassicuranti, e ci racconta dei giri con la Renault 5 della madre: “Era negato proprio! Aveva una certa ritrosia a usare il pedale del freno, una volta che tornavamo da non so dove ci siamo girati in un paio di curve, e bada che nessuno ci inseguiva! Quando scendemmo dall’auto baciammo per terra”.
Però aveva uno spirito pratico non indifferente: “Un giorno andò al casinò di Venezia – è sempre Luigi che racconta – ma lo bloccarono perché non aveva la cravatta. Allora si tolse i calzini e si fece un nodo con quelli. Lo fecero entrare, e di quella trovata era molto orgoglioso!”
Fine seconda parte (continua)
Qui la prima parte: da Montepulciano alla Libera Università di Alcatraz
Qui la terza parte: oltre il Gargano e le sue moto