testo Claudio Falanga
foto Claudio Falanga e Gloria Leonesio
[wp_geo_map]Non ero più abituato ad uscire in gruppo ad esclusione delle prove di nuovi modelli di moto, dove la stampa viene convocata in massa e si parte per un tour di prova di una mezza giornata.
Così, ritrovarmi con altri viaggiatori per tre giorni di motociclismo nell’evento organizzato in collaborazione fra Moto On The Road e Motoexplora è stata una riscoperta di vecchie emozioni.
Certo, di viaggi in moto ne faccio diversi durante l’anno, ma sono quasi sempre reportage dove ci si muove da soli o al massimo in due.
Viaggiare senza nessuno ha il suo fascino, ci si sente cavalieri solitari. Si parte quando si vuole, ci si ferma quando necessita e si fa il passo che è più congeniale in quel momento.
Però, come tutte le cose che comportano pregi, si perde qualcosa.
Se dovessi usare una metafora direi che è come ascoltare un concerto perfettamente registrato nel proprio salotto di casa o vederlo dal vivo. A casa si è più comodi, si accende lo stereo quando si vuole e qualche volta il suono è migliore. Però l’energia che c’è nei concerti dal vivo è ineguagliabile. Quell’esperienza si ricorderà per tutta la vita, anche se meno comoda, nonostante le code, il pigia pigia, il troppo caldo o il freddo.
Il perché ha un solo nome: condivisione.
Ecco cosa ho riscoperto in questo weekend in Abruzzo, la condivisione degli orari, delle strade, dei ritmi di viaggio. E’ più faticoso lo ammetto, però ti lascia dentro una sensazione di ricchezza.
Chi ha viaggiato con te non ti sarà più estraneo, avrai respirato l’odore della sua benzina, ne avrai apprezzato lo stile di guida o ne sarai stato preoccupato. Avrai scherzato, riso e qualche volta fatto discorsi seri.
Ecco cosa ho riscoperto e apprezzato, la condivisione del viaggiare in moto e del fermarsi con i compagni di viaggio.
La storia
Dopo una lunga trasferta solitaria fino a Sulmona mi sono sistemato nella camera del bell’albergo scelto dal boss di Motoexplora, l’amico Peppe Pagano e poi, piano piano, sono arrivati gli altri, chi da nord e chi da sud. Poco dopo tutti a cena, nel momento forse più formale dell’evento, quando ancora non ci si conosce e si prendono le misure al carattere degli altri.
C’è chi si lascia andare subito, chi solo il giorno dopo, ma alla cena successiva la confidenza è già tanta.
A suggellarla i chilometri in una delle regioni più selvagge d’Italia, quell’Abruzzo legato a storie di orsi e lupi, ora relegati nello splendido Parco Nazionale. Si passano paesi arroccati su speroni di roccia, altri distrutti da terremoti lontani o più recenti. Ma la bellezza di questa regione lascia forti sensazioni. Gli orizzonti sono ampi e le strade poco trafficate, un paradiso che condividiamo con centinaia di altri motociclisti. Il passo di marcia è tranquillo e le soste consentono ogni volta la classica foto di gruppo. Nella seconda giornata la visita a Campo Imperatore lascerà tutti a bocca aperta.
Per quanto ognuno di noi ne avesse sentito parlare o avesse ammirato qualche scatto fotografico, in realtà nessuno si aspettava tale maestosità. L’ampiezza del panorama lascia senza fiato, le vallate si perdono senza che l’occhio scorga alcunché se non qualche volta il nastro di strada. Personalmente ho visto panorami montuosi così vasti solo in Idaho (USA), certamente diversi da quelli dell’Arizona o del Messico, perché anche lì le montagne sono le padrone. Nemmeno il Trentino, la Val D’Aosta o i territori oltre confine di Francia, Svizzera e Austria offrono tanto, pur avendo montagne ben più alte.
C’è chi chiama l’Abruzzo piccolo Tibet, e ora capisco perché.
In cima al rifugio, passando fra due muri di neve, leggo sul Garmin l’altitudine di 2137 metri. L’aria è fresca e purissima, il cielo contrastato da nubi minacciose. Eppure siamo tutti sereni. Scollinando sul versante opposto lo scenario non è meno entusiasmante e ci dirigiamo verso l’Aquila. Un panino mangiato in gruppo, un altro momento di condivisione.
Da sempre avrei voluto visitare il capoluogo abruzzese e quando il terremoto l’ha sconvolto ho rimpianto amaramente di non averlo fatto per tempo. Poi, come preso da una sorta di pudore, dal timore di far parte di quella schiera di turisti dell’orrore, ho desistito.
Ma ora, trovandoci a due passi da questa famosa città, non potevamo esimerci dal farle visita.
Nonostante sapessimo, da quello che era stato più volte scritto o testimoniato da servizi televisivi, com’è lo stato del centro storico dell’Aquila, siamo rimasti tutti molto toccati dalla devastazione di un sisma terribile. La parte di accesso alla città è stata in qualche modo è resa agibile, ma è angosciante vedere i palazzi, ovviamente disabitati, messi in sicurezza con complicate gabbie fatte di telai di legno e travi di acciaio. Solo questo lavoro deve essere stato complicatissimo. Negozi con marchi anche prestigiosi, bar, botteghe, uffici, tutti abbandonati a se stessi. Le strade laterali transennate e nell’aria – in alcuni incroci con la zona rossa – ancora l’odore di terriccio, come quando si fanno i lavori di muratura in casa.
Era una città maestosa L’Aquila, non sarà facile recuperarla, ma si deve fare.
E la più grossa sorpresa è vedere che gli aquilani non l’hanno abbandonata. Il corso è un brulichio di gente che passeggia fra in palazzi ingessati. Giusto un tabaccaio aperto, un bar più avanti, ma dei fiorenti commerci nulla più. Una mamma con passeggino si ferma a scambiare due parole e ci racconta delle difficoltà. Un po’ si lamenta dello stato dei lavori ma è anche consapevole dell’immane impegno che ogni singolo palazzo richiede. Con lei c’è sua madre: tre generazioni a passeggio in una città che sarebbe fantasma se la forte volontà degli aquilani non la tenesse strenuamente viva. “Questo che vedete non è nulla” ci dice senza enfasi drammatica, ma solo come testimonianza oggettiva – “La zona rossa è un cumulo di macerie”. Ci lascia sorridente e grata del nostro interesse. Nella piazza centrale una miriade di carretti carichi di dolciumi provenienti da tutta Italia anima lo spazio. Tutt’attorno ancora palazzi bellissimi, ma ingabbiati come fossero malati di mente cui è stata messa la camicia di forza.
A tutto questo si ribellano le donne dell’Aquila, confezionano variopinti drappi fatti ai ferri o all’uncinetto con cui decorano la città. Panchine, corrimano, scale, cabine del telefono, sono addobbate allegramente. Il messaggio è chiaro: la città è viva, il grigiore della polvere non la prenderà!
Ci viene detto che i giovani soprattutto, frequentano gli sparuti locali del centro fino a tarda notte e questa cosa indica la speranza in un futuro di vivibilità. Ci vorrà tempo e tanti soldi, ma L’Aquila deve rinascere.
Riprendiamo le moto per tornare a Sulmona, attraversiamo ancora vallate, paesini e il traffico nei centri è più attivo. Un’ultima serata di buon cibo, ottimo vino e tante risate. Peppe è una fonte inesauribile di aneddoti, battute e barzellette. Uno show man perfetto, che durante il giorno diventa un inflessibile direttore della carovana di moto.
La via del ritorno in compagnia di Ulderico e Gloria è veloce nonostante una fitta spruzzata di pioggia. Un saluto prima che le strade si dividano e un ultimo eloquente sguardo di nostalgia per le belle ore trascorse in gruppo, prima che le moto si allontanino.
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