di Carlo Nannini (Kiddo)
La prima volta che vidi mio fratello salutare un altro motociclista che incrociavamo in senso opposto rimasi un po’ sorpreso, e pensavo che fosse un suo amico, riconosciuto al volo.
Giulio, in sella alla sua Africa Twin, era davanti a me di ritorno da una girata fuoristrada in Secchieta, io lo seguivo col mio Dominator, ancora provato per la dura esperienza dal momento che io, a fare off, sono sempre stato una pippa!
Lo affiancai e gli chiesi chi fosse quel suo amico, e se lo aveva salutato tanto calorosamente perché non ci fossimo fermati; lui mi rispose stringendosi nelle spalle come a dire “e chi lo conosce!?”
Da allora, quella del saluto fra motociclisti, è rimasta per me una cosa incredibile, che ha contribuito in maniera fondamentale a farmi entrare definitivamente e in maniera granitica in questo mondo così pericolosamente affascinante, avventurosamente romantico, emozionalmente incomparabile.
Pensare che con un semplice cenno della mano incrociando un altro motociclista si potesse stringere un patto di fratellanza con una moltitudine di persone accomunate dalla stessa passione, far parte di una setta segreta, essere una sorta di iniziato; poter contare, in qualsiasi parte del mondo tu ti trovassi, sulla solidarietà di chi come te ama la motocicletta. Una roba bellissima, da perderci la testa, da sentirsi cittadino del mondo solo perché motociclista!
Con gli anni, e con i viaggi, ho potuto constatare di persona cosa significasse, in termini reali, quel piccolo gesto della mano, oppure della testa nei paesi con guida a sinistra ( http://www.moto-ontheroad.it/blog/guida-a-sinistra/ ). È vero, qualcuno purtroppo ha sostituito il cenno della mano con un lampeggio del flash, cosa che ho sempre deprecato perché, per noi della vecchia guardia, quello ha sempre significato “occhio c’è la madama”, e solo dopo trenta chilometri di strada sgombra capivi che quello che avevi incrociato reputava troppo sforzo staccare quattro falangi dal manubrio per salutare come si deve. Però sono state tante le volte che mi sono trovato in mezzo al niente, in un quadrivio in Andalusia, nella Foresta Nera, al confine fra Ungheria e Cecoslovacchia, fra Tampere e Mjccheli in Finlandia, con la cartina in mano cercando inutilmente di orientarmi e vedere un perfetto sconosciuto invertire la marcia e fermarsi per aiutarmi; e io credo di aver fatto sempre lo stesso, quando ho visto un forestiero nella stessa situazione perso nel complicato labirinto delle strade della Val d’Orcia oppure fermo per un guasto meccanico o un problema ai bagagli.
Sarà che tutti questi problemi sono di altri tempi: adesso ci sono i navigatori e nessuno si perde più, i set di valige rigide e impermeabili irrinunciabili anche solo per una giornata al mare; nessuno si trova più la mattina dopo un acquazzone a dover usare il Teneré come stendibiancheria, con te che, gagliardo cavaliere, ti fermi a chiedere alle due signorine in biancheria intima al lato della strada se hanno bisogno del tuo aiuto. Loro sono già a posto, ti rassicurano, e dell’”aiuto” che offrivi tu non ne hanno assolutamente bisogno, fanno già da sole.
Il guasto meccanico, poi? Ora tutti partiamo con l’Europe Assistance, i numeri verdi, che se ti si ferma la moto ti vengono anche a imbiancare il garage.
Forse è proprio la tecnologia, quell’evoluzione della sicurezza che abbiamo tanto ricercato che ha un po’ ucciso la precarietà dell’essere motociclista e con essa il senso di un saluto fra appassionati. Però vi scongiuro, anche se avete la più megagalattica delle astronavi a due ruote da millemila euro di accessori, non fatemi mancare quel piccolo gesto della mano, perché il mondo è grande, ed è bello sentirsi in qualche modo parte della stessa famiglia, dovunque la moto ci abbia portato.